Agatha All Along era la miniserie su cui non avrebbe scommesso nessuno. La bravura di Kathryn Hahn poteva reggere solo fino a un certo punto un'intera produzione incentrata sul personaggio di Agatha Harkness, già non particolarmente popolare nei comics e diventato famoso più per una canzoncina meme che per il suo ruolo di antagonista nella miniserie con cui i Marvel Studios hanno esordito su Disney+ tre anni fa, WandaVision.
Eppure il successo di pubblico e di critica ha spinto Disney e i Marvel Studios a promuovere Agatha All Along come migliore serie comedy ai prossimi Emmy: la nuova miniserie è davvero valida, probabilmente una delle migliori produzioni targate Marvel per il piccolo schermo e il paradosso è che il Marvel Cinematic Universe lo sfiora appena, preferendo concentrarsi su personaggi inediti, su storie più intime e su temi molto più cupi che in passato. Nelle prossime righe vi racconteremo le nostre impressioni su Agatha All Along, ma state attenti agli spoiler, perché dovremo inevitabilmente approfondire alcuni aspetti della storia.
Le streghe di Westview
Che dietro Agatha All Along ci sia Jac Schaeffer, già showrunner di WandaVision, si capisce dal primo episodio, che prende in giro i true crime con tanto di sigla artefatta e cast basato sui cittadini di Westview che abbiamo già conosciuto nella miniserie summenzionata. Agatha All Along stabilisce così il suo collegamento primario un po'... caotico - scusate il gioco di parole - con il Marvel Cinematic Universe, riportando la strega in carreggiata dopo che Scarlet Witch l'aveva confinata in un'identità fittizia. Senza più il Darkhold, Agatha fa squadra con un enigmatico ragazzino per mettere insieme una congrega e sfidare la leggendaria "strada delle streghe".
Il ragazzino, interpretato dal bravissimo Joe Locke di Heartstopper, si scoprirà essere Billy Maximoff, il defunto figlio immaginario di Wanda, reincarnatosi in modo contorto ma non troppo dissimile dai fumetti nel corpo di un adolescente, ora in cerca del fratello ugualmente sperduto. Già questo aspetto del personaggio - il futuro Wiccan nei giovani Avengers dei comics e, forse, dei film - avrebbe dovuto rendere l'accoppiata con l'ambigua Agatha una delizia ma, nonostante i colpi di scena soprattutto nel finale della serie, che stringono la miniserie al Marvel Cinematic Universe con una promessa di futuri sviluppi, dobbiamo ammettere che aa ammaliarci sono state soprattutto le altre streghe.
Consolidate da una scrittura brillante che le tratteggia attraverso dialoghi e retroscena disseminati con intelligenza nel corso degli episodi, le streghe della nuova congrega di Agatha sono personaggi che non hanno bisogno di fanservice e collegamenti multimediali per funzionare in una miniserie Marvel. In particolare, stravince questa sfida la Lilia Calderu della leggendaria Patty LuPone, grazie soprattutto a un episodio (il settimo) diretto magistralmente dalla stessa Schaeffer, che inchioda alla poltrona dall'inizio alla fine.
Si difendono bene anche le altre streghe Alice (Ali Ahn) e Jen (Sasheer Zamata), sebbene la serie indugi meno sui loro personaggi, riuscendo comunque a renderli tridimensionali abbastanza perché allo spettatore importi del loro destino. A completare la congrega sono poi la povera, ma esilarante Sharon (Debra Jo Rupp, già comparsa in WandaVision) e Rio Vidal, una strega misteriosa interpretata dall'incantevole Aubrey Plaza: un personaggio dall'identità segreta molto complicata da gestire, che Agatha All Along incastra un po' maldestramente nei primi episodi per poi caratterizzarla meglio solo a fine corsa.
La scelta di mantenere un cast ristretto di personaggi funziona, garantendo alla storia un'aura più intima e significativa. Due episodi flashback - uno dedicato a Billy, l'altro ad Agatha - escono dalla "strada delle streghe" per raccontare meglio i personaggi, richiamando brevi comparse come il Ralph Boner di Evan Peters già apparso in WandaVision sotto le mentite spoglie di Pietro "Quicksilver" Maximoff: un cammeo intelligente che ci ricorda che siamo in una trilogia televisiva da completarsi nel futuro Vision Quest.
Non funzionano per niente le antagoniste, purtroppo, sebbene abbiano una funzione di puro MacGuffin: le streghe di Salem che inseguono Agatha e le sue compagne di viaggio sono anonime predatrici senza caratterizzazione che fanno pensare a un rimaneggiamento della sceneggiatura, per come entrano ed escono di scena a più riprese senza rappresentare una minaccia concreta.
Una serie TV diversa
Agatha All Along, dopotutto, si chiama così perché alla fine la cattiva è sempre lei, Agatha Harkness, un personaggio che Kathryn Hahn si è cucita magistralmente addosso, conferendole una profondità inimmaginabile grazie al suo talento espressivo. È una villain impossibile da odiare anche nei suoi momenti peggiori, la cui umanità risalta soprattutto nello strano finale di serie (o di stagione?) in cui finalmente si scopre tutta la verità sul suo rapporto con Rio e col figlio prematuramente scomparso Nicholas. È un finale strano perché arriva dopo un climax straordinario nel penultimo episodio, rinforzando l'idea che qualche piano sia cambiato all'ultimo momento, tant'è che i due episodi conclusivi sono stati caricati insieme sulla piattaforma di distribuzione digitale Disney.
Le porte restano aperte, insomma, per una seconda stagione, una nuova avventura in Vision Quest o un film incentrato sugli Young Avengers, che cominciano a essere piuttosto numerosi (a questo punto abbiamo Ms. Marvel, Kate Bishop, Cassie Lang, Ironheart e Wiccan sparsi tra piccolo e grande schermo). In questo senso, però, Agatha All Along si distacca enormemente dai cinecomics nei toni e nell'esecuzione, nonostante una breve "battaglia finale" abbastanza supereroistica. È una serie scritta per un pubblico più adulto, non solo nel look, ma anche nei significati e nei messaggi che cerca di trasmettere.
L'ormai temutissima componente queer c'è, ma è contestualizzata e integrata delicatamente in una storia di amore, odio, vita e morte in cui contano più i personaggi che gli effetti speciali in computer grafica. E infatti la messinscena di Agatha All Along è praticamente tutta affidata al set, ai costumi e al trucco. In continuità coi cambi di look di WandaVision, la Schaeffer si inventa una sorta di diabolica struttura a "escape room" in cui ogni nuova prova che le streghe devono affrontare cala il cast in un'epoca o un mood diverso.
Dal rock anni '70 alla TV anni '80 passando per l'horror, la commedia e il musical, la nuova miniserie Marvel cambia costantemente registro, pur mantenendo una coerenza praticamente perfetta dall'inizio alla fine, grazie a un cast dalla grande affinità, che sembra divertirsi un mondo col materiale a disposizione. Chi si aspettava una produzione vicina ai fumetti o in pieno stile cinecomic potrebbe restare deluso; tuttavia, Agatha All Along dimostra ancora una volta il potenziale sperimentale del ramo Marvel Television che, tra alti e bassi, ci ha comunque già consegnato perle come WandaVision e Loki: serve una combinazione di talenti molto precisa, è vero, ma possiamo solo sperare che i Marvel Studios proseguano su questa strada delle streghe.
Conclusioni
Multiplayer.it
8.0
Agatha All Along non è una serie TV per tutti, inclusi i fan dei fumetti e dei cinecomics, ma forse è proprio in questo che risiede la sua forza: si collega al Marvel Cinematic Universe senza aggrapparcisi, concentrandosi su personaggi minori o secondari che prendono vita grazie a un cast talentuoso, una visione brillante e una regia sopra le righe soprattutto nel settimo episodio. Nonostante qualche sbavatura, dovuta probabilmente alla confusione di fondo che regna sovrana nel recente Marvel Cinematic Universe, siamo rimasti piacevolmente sorpresi e non vediamo l'ora di rivedere Kathryn Hahn nei panni di un personaggio che è riuscita a rendere iconico.
PRO
- Il cast praticamente perfetto, Kathryn Hahn in primis
- L'episodio 7 è davvero memorabile
- È una miniserie Marvel decisamente diversa dal solito
CONTRO
- Le streghe di Salem sono praticamente inutili
- Alcune sottotrame sono un po' confuse
- Il personaggio di Rio è gestito in modo abbastanza maldestro