In lavorazione da anni - pensate che l'annuncio risale al 2018 - quella di Devil May Cry per Netflix non è neppure la prima serie animata ispirata alla serie di videogiochi omonima: in precedenza era stato lo studio Madhouse ad avere avuto questo onore, con una miniserie in dodici episodi del 2007 che raccontava un'avventura di Dante a cavallo tra il primo e il secondo videogioco.
Il poliedrico produttore Adi Shankar, fan sfegatato della serie Capcom, ha invece optato per un trattamento à la Castlevania, un altro dei suoi successi su Netflix: si è solo ispirato alla mitologia imbastita nei cinque videogiochi, scrivendo una storia sostanzialmente inedita, come ambientata in un universo paralleo, che rappresenta un punto di ingresso ideale anche per chi non ha mai masticato Devil May Cry prima d'ora. E qui, in un certo senso, è cascato l'asino: abbiamo guardato questa prima stagione in otto episodi e, sui titoli di coda finali, ci siamo trovati sospesi come in un limbo a domandarci se ci aveva convinto oppure no. Cerchiamo di mettere in ordine le idee, vi va?
Cosa funziona
Il fatto che non serva conoscere assolutamente nulla di Devil May Cry depone sicuramente a favore della produzione Studio Mir, che peraltro vanta un comparto tecnico di prim'ordine: non solo la regia è sempre attenta e in certi momenti davvero creativa - basti pensare all'episodio 6, davvero incredibile - ma le animazioni sono di ottimo livello, specialmente nelle scene d'azione più acrobatiche dove la fluidità raramente perde colpi e la coreografia resta sempre chiara e comprensibile. Il character design potrebbe far storcere il naso ai puristi della serie Capcom, essendo fortemente influenzato dalle origini coreane della produzione Netflix, ma tutto sommato si sposa bene col ritmo e le atmosfere frizzanti.
Essendo un ideale accesso all'universo di Devil May Cry, i primi episodi soffrono della sindrome dello spiegone: i personaggi tendono a perdersi in elucubrazioni mistico-fantascientifiche per giustificare l'esistenza dei demoni sulla Terra e il ruolo che la tecnologia svolge in rapporto ai fenomeni paranormali, incarnata perlopiù dalla Darkcom, un'agenzia che si occupa di tenere a bada le creature ultraterrene che sconfinano nella nostra dimensione da quello che comunemente chiameremmo "inferno".
Dante, quando comincia questa storia, fa il cacciatore di demoni già da qualche tempo e ancora non sa nulla del suo vero retaggio: è uno spaccone proprio come nei giochi, anche se in certi frangenti la sua ironia autoreferenziale ricorda più un personaggio come Deadpool che la sua controparte videoludica. Shankar - che ha scritto ogni singolo episodio della miniserie - riesce comunque a trovare un buon equilibrio, ritagliando anche lo spazio necessario a qualche gag più o meno riuscita (come la già iconica scena di Dance Dance Revolution).
Superati primi episodi eccessivamente didascalici, Devil May Cry prende finalmente piede grazie anche e soprattutto a un nutrito cast di comprimari su cui spiccano principalmente Mary Ann "Lady" Arkham e l'antagonista principale, l'inedito Bianconiglio. La prima è in realtà una figura controversa: Shankar rimaneggia la storia del personaggio videoludico, costruendo una guerriera incredibilmente versatile grazie ai suoi gadget hi-tech che ruba la scena al protagonista in più di un'occasione, al punto da sembrare effettivamente lei l'attrice principale in questa storia.
La sensazione che Shankar abbia una certa predilezione per Lady sembra confermata dal summenzionato episodio 6, un lungo flashback praticamente senza dialoghi che chiude l'insospettabile cerchio che lega la coprotagonista ancorché Dante al malvagio Bianconiglio. Quest'ultimo è un avversario davvero riuscito, grazie anche e soprattutto al doppiatore italiano Massimo Lodolo, che gli conferisce un'aura ancora più sinistra e flemmatica. Tuttavia, sebbene il Bianconiglio sia a tutti gli effetti il "cattivo" di questa stagione, l'anime di Devil May Cry stabilisce praticamente da subito una serie di zone d'ombra tutte da esplorare, confini tra bene e male che sovvertono le aspettative dello spettatore in maniera forse stucchevole ma dannatamente intelligente.
La serie animata di Devil May Cry è infatti tinta da una critica sociopolitica neppure troppo sfumata, specialmente alla classe dirigente statunitense, rappresentata da un fanatismo religioso al limite del parodistico che fa il verso al partito repubblicano conservatore e al movimento MAGA. In questo senso, il finale della stagione - sulle note di American Idiot dei Green Day, nondimeno - è un pugno nello stomaco che arriva al culmine di una storia incentrata in larga parte sull'immigrazione e sull'espansionismo in cui non è difficile cogliere i parallelismi con il nostro mondo reale.
Ma a dirla tutta American Idiot è solo una delle numerose canzoni su licenza che punteggiano la serie animata: Shankar ha scelto il metal d'autore, perciò si passa dagli Evanescence ai Rage Against the Machine, dai Limp Bizkit a Casey Edwards. Ogni canzone calza a pennello, ha perfettamente senso nella scena che accompagna e sposa alla perfezione lo spirito della serie animata e del videogioco di riferimento.
Cosa non funziona
La nostra opinione è che l'anime targato Netflix di Devil May Cry potrebbe scontentare i fan più sfegatati del videogioco proprio per le libertà che si prende nei suoi confronti: Shankar ha rimaneggiato pesantemente la storia per dare uno spazio sensibilmente maggiore proprio a Lady. Questa scelta avrebbe avuto senso se la coprotagonista fosse stata caratterizzata a dovere; invece Lady, pur essendo carismatica e potenzialmente interessante, ci è sembrata dopo qualche episodio assai monotona, peraltro affossata da battute gratuitamente taglienti che poco aiutano a consolidare la sua posizione in prima linea nella storia.
Anche il flashback nel sesto episodio aiuta poco, in tal senso, ed è uno di quei momenti in cui saltano maggiormente all'occhio alcune voragini logiche nella scrittura della serie per cui non esistono spiegoni metafisici o altre giustificazioni: semplicemente certi passaggi non hanno molto senso. Devil May Cry non è che sia l'Amleto di Shakespeare, e non serve che abbia senso ogni cosa in una serie animata dove una specie di supereroe con la bocca larga le suona di santa ragione a demoni e mostri vari, ma Shankar ha condensato nella sua storia - che pesca diversi spunti narrativi in Devil May Cry e Devil May Cry 3, soprattutto - una risma di personaggi secondari che finiscono per diventare carne da cannone senza che a nessuno importi granché del loro destino.
Questo approccio fa pesare maggiormente la gestione discutibile di Dante, ridimensionando i momenti decisivi nello sviluppo del personaggio rispetto ai videogiochi di riferimento, a cominciare dalla scoperta del Devil Trigger passando per la (svogliata) introduzione di suo fratello Vergil, che avrà sicuramente un ruolo di primo piano in un'eventuale seconda stagione ma che questa prima imbastisce appena. Devil May Cry è Dante: trasformarlo in una macchietta per gran parte della serie non è stata la scelta più saggia del mondo.
Praticamente Devil May Cry è un Castlevania al contrario: un adattamento che, invece di soffermarsi esageratamente sullo sviluppo dei personaggi principali, li sacrifica in favore della costruzione certosina dell'immaginario in cui questi personaggi esistono. Proprio per questo, le tematiche politiche sollevate nella serie potrebbero risultare indigeste ai fan dei videogiochi, ma è chiaro che dietro questa scelta c'è un disegno e che Shankar abbia solo gettato le basi per raccontare un Devil May Cry tutto suo in eventuali annate future.
La domanda sorge spontanea: hanno senso quest rimaneggiamenti di personaggi e storie tanto amate, anche se soltanto da uno zoccolo duro? I videogiochi di Devil May Cry non hanno mai avuto chissà quali trame, spesso pretesti per giustificare l'azione sopra le righe e le tamarrate di Dante, Nero e soci, quindi ben venga un anime che sfrutti quelle idee per raccontare qualcosa di nuovo, anche di diverso. Se questo Devil May Cry su Netflix riuscirà nell'impresa lo sapremo solo in futuro, per adesso ci sentiamo di promuoverlo con riserva: forse ci ha intrattenuto più del dovuto proprio perché non siamo fan sfegatati della serie videoludica.
Conclusioni
Multiplayer.it
7.0
Devil May Cry è una serie animata controversa: ineccepibile dal punto di vista tecnico, scivola su una serie di problematiche a livello di scrittura, specialmente per quanto riguarda il protagonista Dante, scalzato nel suo ruolo centrale da alcuni comprimari invadenti e non sempre riusciti. Siamo abbastanza sicuri che i fan più appassionati del videogioco Capcom avranno da ridire sui rimaneggiamenti del creatore Adi Shankar, ma noi forse l'abbiamo apprezzata proprio perché l'abbiamo vista con maggior distacco. Questo adattamento animato è provocatorio, intelligente e, sul finale, davvero intrigante: siamo curiosi di scoprire in che modo si evolverà questa storia parallela, sempre che Netflix decida di confermare una seconda stagione.
PRO
- Animazioni e regia di ottimo livello
- Il Bianconiglio è un antagonista memorabile
- Le tematiche sorprendentemente profonde che affiorano negli episodi
CONTRO
- Il personaggio di Lady non ci ha convinto del tutto
- Molti personaggi secondari rubano lo spazio a Dante
- Alcuni passaggi della storia appaiono abbastanza frettolosi