Ci sono serie tv che vogliono fare ridere e altre che vogliono insegnarci qualcosa, Players, la nuova serie dedicata agli esport in esclusiva su Paramount+, nasce come prodotto comico ma, tra le risate, riesce a nascondere un'importante lezione di storia sul mondo del gaming competitivo. Lo show segue le vicende dei Fugitive, un team esportivo fittizio che compete nella LCS, la massima competizione di League of Legends nel Nord America.
Lo show, creato dagli autori di American Vandal Dan Perrault e Tony Yacenda, è prima di tutto una presa in giro dei molti documentari sportivi che popolano i servizi di streaming, e per farlo usa l'irriverenza e l'assurdità tipiche del mondo degli esport. Ci sono rivalità, amicizie tradite, analisi tecniche di partite di LoL e gare di shot di salsa piccante, tutto nello stesso episodio e (quasi) perfettamente amalgamato.
In questa recensione di Players andremo ad analizzare come lo show della Paramount+ riesca a comunicare perfettamente le dicotomie, i controsensi, la passione e le emozioni che danno vita al mondo degli esport, riuscendo anche a pungolare dei nervi scoperti del settore che ancora oggi sono fonte di acceso dibattito tra chi lo vive e chi lo studia.
Creamcheese e Organizm
I protagonisti della serie TV sono due giocatori dei Fugitive: Creamcheese e Organizm. Il primo è lo storico fondatore del team che, a partire dal 2015, ha scalato tutti i ranghi delle classifiche americane con una squadra di suoi amici per poi approdare alla LCS, il tutto dallo scantinato della casa dell'AD Carry. Il secondo è una giovanissima promessa di LoL con milioni di follower su Twitch, un talento incredibile e una pessima attitudine a giocare in squadra. Creamcheese (interpretato magistralmente da Misha Brooks) ha 27 anni, la sua carriera nei videogiochi competitivi è sulla via del tramonto e i Fugitive non sono ancora riusciti a vincere un campionato. La sua missione è riuscirci a qualunque costo, ma il management ha altri piani.
Come un fulmine a ciel sereno, nella vita della squadra viene catapultato Organizm (interpretato da Da'Jour Jones) per incrementare rapidamente i guadagni del team grazie alla sua incredibile visibilità. La tensione è alle stelle perché Creamcheese gioca support e Organizm è il nuovo AD Carry, questo vuol dire che devono stare a stretto contatto tanto nel campo di battaglia quanto nella vita reale. L'abitudine della giovane promessa di giocare da sola, però, non fa che mettere distanza tra i due giocatori in un classico scontro tra pura abilità tecnica ed esperienza sul campo. La storia di Players non stupisce per originalità perché si fonda sulla premessa che questa rivalità verrà lentamente risolta per portare la squadra a nuove altezze. Nel corso di questo viaggio, però, la serie riesce a distinguersi dagli altri prodotti sugli esport perché spiega molti retroscena di questo mondo senza mai diventare didascalica.
La storia dei Fugitive le origini dei primi player
Gli esport, ma soprattutto League of Legends, hanno una barriera linguistica che per un novizio è difficilissima da superare e Players potrà essere usato come esempio di come spiegare il mondo di LoL a chi non lo conosce senza farlo sentire in una puntata dei Teletubbies. Chi non mastica di esport capirà poco di quello che succede nella prima puntata ma, per la fine della serie, avrà un'idea generale di cosa sia un Baron, cosa significhi gankare e perché Yumi è sempre nel cuore di ogni appassionato di LoL. Tutto questo avviene grazie a un sistema di salti temporali che alterna ciò che succede nel presente (la serie è ambientata nel 2021) e ciò che è successo nei 6 anni precedenti, dallo scantinato dell'AD Carry a una gaming house multimilionaria.
Molto indicativa della rivoluzione culturale che hanno portato gli esport è la storia di Creamcheese e di come sia nato il nome Fugitive. Trevor, questo il vero nome del player, è nato in una famiglia molto tradizionalista che quando ha scoperto il suo desiderio di voler diventare un pro-player, lo ha cacciato di casa rifiutandosi di rivolgergli la parola. Questo a Creamcheese andava bene ma i genitori si erano tenuti la sua tastiera fortunata (una Logitech G-15 del 2005), quella con cui aveva vinto tutti i match più importanti. Allora Trevor decide di fare irruzione in casa sua per riprendersela, ma i suoi genitori lo denunciano alla polizia per effrazione. È così che diventa il fuggitivo, battezzando ufficialmente il suo team. Anche se leggermente romanzata, questa storia risuona nei cuori di molti pro-player della vecchia scuola che hanno dovuto affrontare stigma e tanti pregiudizi prima di vedere la propria professione riconosciuta.
Il rapporto tra streaming e competizione
Sempre rimanendo fuori dal reame degli spoiler, l'altro grande pilastro attorno a cui ruotano le vicende di Players è il rapporto tra streaming e competizione, una questione identitaria per il mondo degli esport. Non ci sono modi carini di dirlo, ma la realtà dei fatti (sempre meno per fortuna) è che le competizioni da sole non tengono in piedi un'organizzazione esportiva. Le vincite e gli sponsor legati esclusivamente ai match e ai tornei non coprono i costi di gestione, gli stipendi di giocatori, allenatori e staff e tutte le altre spese che una squadra normalmente affronta. Per questo, soprattutto negli ultimi 5-7 anni, gli esport si sono dovuti appoggiare al mondo dello streaming e dei content creator per mettere insieme pubblici abbastanza grossi da attirare i soldi degli sponsor più importanti.
In Players, i Fugitive si ritrovano a un simile crocevia, incarnato dall'arrivo di Organizm. La dirigenza, pur di aumentare la visibilità della squadra, manda via un giocatore esperto per dare subito un ruolo da titolare al nuovo arrivato che, come si dice in gergo, le mani ce le ha (quindi è davvero bravo dal punto di vista tecnico), ma comunica pochissimo e non riesce a coordinarsi con i suoi compagni. In un flashback ambientato pochi anni dopo la fondazione dei Fugitive, poi, uno dei loro player ha fatto il percorso inverso: dopo una carriera competitiva ha deciso di diventare un content creator grazie alla sua personalità bombastica e arrogante. Così facendo ha messo insieme milioni di follower e di dollari, ma è malvisto dalla community competitiva. Le storie raccontate in Players riecheggiano quelle di grandissimi nomi come Ninja, xQc e altri conte creator dal passato competitivo, così come le carriere meteoriche di giovanissimi player che, in un modo o nell'altro, ora sono star dell'industria.
La storia dei Fugitive e degli esport
Oltre ai temi identitari, Players cita, omaggia, critica e prende in giro decine di altri aspetti tipici della cultura di internet, del gaming, di Twitch e degli esport. C'è un intero episodio che ruota intorno a un meme, maratone streaming come andavano di moda qualche mese fa, approfondimenti su come un coach sia indispensabile a tenere unita una squadra e persino una spiegazione del processo che ha portato i grandi dello sport a investire decine di milioni negli esport. Ripercorrendo la storia del jungler dei Fugitive, poi, la serie si fa leggermente più seria del solito per parlare della discriminazione che i giocatori di origine asiatica hanno subito nei primi anni che hanno iniziato a giocare in Nord America. La testimonianza di Nightfall, questo il nome jungler, è ancora più rilevante perché il player è interpretato dall'ex professionista di LoL Youngbin Chung.
Lo stile da mockumentary (che prende in giro i documentari sportivi) ha lasciato tanta libertà creativa agli autori sia dal punto di vista della fotografia, con inquadrature appositamente brutte perché dovrebbero essere situazionali, sia dal punto di vista della regia, con le classiche interruzioni del flusso narrativo per passare alle interviste personali. Le battute sulla vita sregolata di un mucchio di nerd appassionati di videogiochi si sprecano ma non offendono mai perché si sente che chi le ha scritte sapeva quello di cui stava parlando e gli attori sono molto bravi nel catturare l'adrenalina ingenua e la disillusione malinconica che caratterizzano i giocatori nei primi anni di competizioni e alla fine della loro carriera.
Le partite mostrate sono coerenti con il periodo raccontato e fanno vedere metagame e campioni che i fan di LoL non giocano da anni. In più, potete scordarvi situazioni alla Piemonte Calcio: Players ha una partnership con la LCS quindi i team affrontati e le rivalità create sono con squadre vere come i TSM o i Cloud9. Persino l'unico vero difetto della serie è coerente con l'estetica del mondo esports, ovvero un product placement davvero aggressivo. Proprio come nei broadcast delle partite o nei video dei player, i marchi tipici dell'ecosistema dei videogiochi competitivi sono quasi sempre in camera, che sia una sedia, delle cuffie o dei loghi su una maglietta. Nonostante questo, Players è accurata, emozionante, divertente e sentita, in poche parole, uno dei migliori show in circolazione per raccontare gli esport.
Conclusioni
Anche se le storie di Players sono tutte inventate, chi le guarderà non farà fatica a immaginarsele nel mondo reale se è appassionato di esport. Chi fosse alla ricerca di un'esperienza introduttiva ai videogiochi competitivi, poi, troverà nella nuova serie di Paramout+ una splendida avventura che ripercorre le tappe principali dell'approdo di questo ecosistema nel mainstream. Infine, gli amanti di League of Legends troveranno in Players una lettera d'amore al loro videogioco preferito e alla passione viscerale che anima i suoi pro-player e tutti coloro (caster, analyst, coach ecc...) che hanno deciso di dedicargli la propria vita.
PRO
- Storie personali che risultano autentiche
- Ecosistema degli esport ben raccontato
- Partite realistiche e lessico accurato
CONTRO
- Product placement aggressivo
- Alcune battute tipiche del mondo anglosassone si perdono in traduzione