Abbiamo approcciato la recensione di The Blackout Club essendo già a conoscenza delle sue caratteristiche principali. I mesi di accesso anticipato (ai quali comunque non avevamo preso parte) sono serviti un po' a tutti per capire come fosse gestito questo particolare progetto. Titolo stealth, cooperativo, competitivo, fortemente narrativo, legato a doppia mandata ad una struttura che ricorda in qualche modo anche i "monster game" di questo periodo e che non disdegna di soffermarsi su stilemi di serie come Stranger Things, così come su tematiche anche fortemente impattanti. Messa in questi termini, sembra di trovarsi di fronte ad una minestra che difficilmente possa trovare la propria quadratura e sarebbe ingiusto affermare che il titolo non rischi in più di un'occasione di deflagrare su se stesso per le troppe meccaniche. Questo nonostante sia comunque in grado di mettere sul piatto alcuni interessanti spunti, sia dal punto di vista del gameplay che della narrazione, piagate purtroppo da una realizzazione che risente molto del bassissimo budget a disposizione.
La ridente Redacre
Il team alle spalle di The Blackout Club, tale Question Games, vanta un notevole pedigree, essendo formato da ex esponenti di Irrational Games (i ragazzi dietro a giochini del calibro di System Shock 2, Bioshock e Bioshock Infinite) e altri di Arkane Studios (Dishonored, Prey). Nonostante il gioco in questione si distacchi fortemente dalle opere appena citate, di queste riprende un paio di elementi fondamentali: l'immersività della visuale in prima persona e un modo edulcorato ma allo stesso tempo diretto di toccare tematiche spesso scomode e importanti. The Blackout Club parte infatti a Redacre, ridente sobborgo che sta vivendo eventi particolarmente sospetti. Da qualche tempo, nel corso della notte, gli adolescenti si addormentano e si risvegliano in una versione strana e particolare della loro cittadina, del tutto identica alla controparte alla luce del sole, se non fosse per il comportamento degli adulti. Questi ultimi si aggirano per le strade della città come inanimati, simili a zombie, divisi anche in diverse tipologie di elementi. Inconsapevoli delle ragioni di questo strano evento, i ragazzi decidono di unire le forze per raccogliere le prove di ciò che stanno vivendo e tentare costantemente di venirne fuori tutti d'un pezzo. Analizzeremo a breve le implicazioni di gameplay che ne scaturiscono, ma ciò che è interessante mettere in luce è la capacità del gioco di investigare su una tematica importante come quella del rapporto genitore-figlio. È evidente che ciò che accade ai ragazzi, oltre che innescare eventi da classico teen horror, vuole anche andare a fondo di quelle incomprensioni che da sempre caratterizzano questo importante rapporto umano. Chi di noi, da adolescente, non ha mai guardato un adulto con l'occhio del disprezzo, domandandosi a volte se quella specifica persona non stesse addirittura effettuando scelte talmente in controtendenza con noi da sembrarci premeditate e totalmente fuori contesto, come uno zombie che cammina nel buio senza una meta.
Le differenti tipologie di avversari vanno dallo sleeper che non si accorge visivamente dei nostri atteggiamenti, ma è più come un vero e proprio sonnambulo, per arrivare al "The Shape". Quest'ultimo non è altro che un particolare mostro che vive nelle menti dei ragazzi e che, come un provetto mind flayer o un incubo sullo stile di Freddie Kruger, accompagna il giocatore in maniere fantasiose e meccanicamente interessanti. Tutta la prima parte dell'esperienza, che funge da prologo e da tutorial, rappresenta anche la situazione più lineare e convenzionale, seppur la meglio riuscita. Rigorosamente in giocatore singolo, saremo chiamati a vestire i panni di chi per primo ha tentato di scoprire i misteri di Redacre, salvo poi finire dispersi. Come detto la narrazione funziona e, nonostante la natura cooperativa e la proceduralità delle singole partite, si mantiene su discreti livelli fino alla fine, a patto di approfondire quella famosa "lore", che ormai sembra un tratto imprescindibile del "saper narrare".
La singolarità del gameplay
Permetteteci il gioco di parole del titolo del paragrafo. Quella singolarità sta ad indicare due importanti dettagli di The Blackout Club: uno certamente positivo, l'altro molto meno. La natura multiplayer e procedurale dell'esperienza crea nel gruppo di giocatori una sensazione di singolarità interessante. Modificare posizione e ricerca delle prove è alla base della longevità di un titolo che deve basare la sua stessa esistenza sull'invogliare a tornare e tornare ancora a spaventarsi con il gioco. Qui però entra in partita il primo degli annosi problemi di The Blackout Club: la pochissima varietà. Redacre è una cittadina minuscola, che vi richiederà pochissimo tempo per essere visitata nella sua totalità e che non spicca certo per un'alta densità di luoghi diversi da esplorare. A rendere il tutto ancor peggiore ci pensa una ripetitività disarmante delle missioni. Nonostante lo spostamento delle prove, si tratta sempre e comunque di effettuare le stesse cose, stando attenti a non farsi trovare e utilizzando con coscienza il cellulare e i vari strumenti a disposizione. Di per sé questo non risulterebbe neanche essere un problema così esorbitante, considerata appunto la natura multiplayer, ma si riscontra facilmente una certa stanchezza e un senso di tedio, proprio perché il gioco vorrebbe spingere ad approfondire gli avvenimenti che fanno da sfondo, ma allo stesso tempo allontana da questo stesso approfondimento. La sua duplice natura è probabilmente anche il suo peggior difetto, che si riscontra poi nella poca varietà di nemici. Questi spaziano tra coloro i quali sono in grado di sentire solo i rumori a quelli che vi vedono anche quando siete riparati, per finire con un boss, il "The Shape" appunto, che rappresenta probabilmente l'unica vera trovata geniale di questo grande minestrone. La necessità di passare all'oscurità della palpebra calata innesca una serie di paure insite nell'uomo dettate proprio dall'impossibilità di vedere intorno a sé. Dividere la realtà tra la notte densa di adulti zombie, e l'oscurità di due occhi chiusi ma in grado di osservare gli spostamenti della più grande minaccia del gioco, aggiunge al tutto anche un discreto livello di organizzazione tra i giocatori.
L'arrivo dell'entità è gestita tramite le azioni che ogni singolo giocatore può compiere durante le partite. Compiere i cosiddetti "peccati" contro gli adulti, porterà all'ira del mostro, che a quel punto darà la caccia al "bambino cattivo" e, nel caso in cui riuscisse ad acciuffarlo, lo lascerebbe in uno stato catatonico dal quale solo gli altri giocatori potrebbero risvegliarlo. Anche questo elemento è importante per comprendere quanto The Blackout Club fondi la sua stessa essenza sull'annoso problema del rapporto tra adolescenti e adulti, che un po' come succede con Godzilla nel caso delle nostre colpe relative al nucleare, si ripercuote qui in questa essenza incorporea. Ultime, ma non ultime, due caratteristiche molto interessanti in aggiunta al gameplay nudo e crudo. Da una parte sarete chiamati a modificare alcuni parametri del vostro alter ego con un sistema di potenziamenti gestiti da carte. Queste possono modificare sia attivamente le singole partite, attivando caratteristiche e specifiche azioni che il vostro personaggio potrà compiere nel corso della missione; così come quelle passive, in grado di aumentare la salute o consegnarvi strumenti utili in partenza. L'altra è invece quella relativa all'Enhanced Horror System, che preferiamo non rovinarvi raccontandovene troppi dettagli, ma che rappresenta probabilmente la più disturbante e intrigante caratteristica del gioco. Questa consiste in una sorta di registrazioni effettuate dal giocatore con la propria voce, che possono tornare utili per ricevere indizi ed elementi che raccontano i fatti e gli incubi dei personaggi. Come se non bastasse, queste registrazioni vengono utilizzate in gioco per i cosiddetti rituali, che possono essere attivati tramite specifici oggetti e che vi richiederanno poi di registrare qualcosa con la vostra voce. È un sistema talmente particolare e originale che è difficile da spiegare, certamente più che lasciarlo provare a voi stessi, ma che rivela facilmente il grande estro dei ragazzi di Question Games.
Ciao, sono uno stalker
Un'altra caratteristica interessante, ma che allo stesso tempo tende a creare dei problemi nel bilanciamento del gioco, è quella relativa allo stalker. Una volta raggiunto uno specifico livello, sarà possibile prendere parte ad avventure leggermente diverse. Quando lo stalker è attivo il titolo si trasforma in un cooperativo/competitivo. Uno dei quattro giocatori, all'insaputa degli altri, si troverà ad essere complice del mostro. Il suo obiettivo sarà quindi quello di rovinare la partita degli altri giocatori, raccogliendo prove dei loro peccati, così da spingere il The Shape ad entrare più velocemente in partita. Questo elemento è facilmente disattivabile dalle impostazioni della stanza, nonostante si tratti di un dettaglio estremamente affascinante. Il problema si riscontra nel suo bilanciamento. Lo stalker è attualmente troppo forte e si rischia di avere davvero più paura di lui che delle entità presenti in gioco.
Conclusioni
The Blackout Club ha dalla sua un'originalità e una serie di caratteristiche che lo rendono unico e irripetibile. La produzione a basso costo e alcune scelte forse infelici ne smorzano però il valore complessivo, riducendolo ad un'esperienza forte e coesa solo per poche, spaventose ore. Il rischio di sentire la noia presentarsi alla porta, come fosse il mostro del gioco, è talmente vivida che ci risulta difficile non annoverarlo tra i problemi gravi del titolo. Ad aggiungersi a questo ci pensa un comparto tecnico non certamente esaltante, seppure in alcuni frangenti azzeccato. Se voleste provare qualcosa di diverso dalla miriade di horror multiplayer tutti uguali di questo periodo, il consiglio è certamente quello di dargli una chance. Se nel tempo il team riuscirà a risolvere alcune magagne ancora presenti, ciò che ne resterebbe è comunque un titolo dal grande appeal e in grado di contare su alcune meccaniche (stalker e horror system su tutte) che da sole potrebbero valere il prezzo del biglietto.
PRO
- Originale ed intrigante
- L'Enhanced Horror System
- Affronta temi importanti con un pizzico di leggerezza da teen horror
CONTRO
- Il bassissimo budget putroppo si accusa tutto
- Lo stalker è ancora mal bilanciato
- La varietà degli obiettivi è disastrosa