Non è difficile rispondere alla domanda che ci siamo posti nel sottotitolo con un secco e perentorio "no". Lo studioso, autore de "Lo Hobbit" (1937), della trilogia de "Il Signore degli Anelli" (1954), de "Il Silmarillion" (1977, pubblicato postumo) e, più in generale, creatore della mitologia della Terra di Mezzo, non amava molto le trasposizioni delle sue opere, anche se le tollerava per motivi commerciali, come fece capire chiaramente quando gli fu proposto di dare la trilogia in licenza per un film a cartoni animati. Siamo nel 1957, J.R.R. Tolkien è un affermato professore universitario, linguista amante della filologia, della storia e della mitologia, studi che gli sono stati indispensabili per scrivere i suoi libri. La sua paura maggiore era di vedere le sue opere volgarizzate, ossia, proviamo a interpretare, private di tutti quegli elementi culturali che gli erano così cari, per essere trasformate in prodotti di massa. Per questo motivo difficilmente avrebbe amato il trattamento riservato negli ultimi anni ai suoi libri, trattamento dovuto soprattutto all'uscita dei film di Peter Jackson che ne hanno sedimentato e soffocato l'immaginario, trasformandolo in brand. Comunque, nonostante sia giusto riportare il punto di vista del padre della Terra di Mezzo sulla questione trasposizioni, è indubbio che la sua influenza sul mondo dei media, e dei videogiochi su tutti, sia stata immensa. Se provassimo a scrivere una storia dei titoli influenzati dalla lettura dei suoi libri, potremmo scrivere un paio di volumi enciclopedici, includendoci praticamente ogni titolo fantasy (e non solo) uscito dagli albori del medium a oggi. Invece ci limiteremo a parlare dei videogiochi con licenza ufficiale, restringendo di molto il nostro campo d'azione.
Primi passi nella Terra di Mezzo
Sembrerà paradossale, ma i giochi su licenza tratti dalle opere di Tolkien non furono moltissimi nei primi anni di vita del medium videoludico. Il primo in assoluto, l'avventura grafica "The Hobbit" per sistemi 8-bit (potete giocare a questo indirizzo la versione per ZX Spectrum), fu realizzato da Beam Software e pubblicato nel 1982 da Melbourne House.
Certo, prima non erano mancati titoli, come "Middle Earth" e "The Shire" (1979), o "LORD" e "The Lord of the Rings" (1981) che prendevano a piene mani dal suo immaginario, ma si era trattato di produzioni molto piccole, spesso legate ad ambienti universitari, che non si erano premurate di chiedere le autorizzazioni necessarie al detentore dei diritti, ossia Christoper, il figlio dello scrittore. Com'era prevedibile, The Hobbit diventa subito un successo, vuoi perché il nome che si porta dietro è di quelli pesanti, vuoi anche perché su sistemi come lo ZX Spectrum e il Commodore 64, per la prima volta in assoluto un'avventura testuale mostrava della grafica ad accompagnare la descrizione dei vari ambienti. L'avventura in sé è rispettosissima delle fonte, al punto che lo si può definire come il videogioco che più di tutti ha rispettato le opere di Tolkien, evitando il più possibile di alterarle. Nonostante la grande risposta commerciale, bisognerà attendere fino al 1985 per vedere l'uscita di un altro titolo ambientato nella Terra di Mezzo. Si tratta di "The Fellowship of The Ring" o "Lord of the Rings: Game One", un'altra avventura testuale del duo Beam Software e Melbourne House, che fu aspramente criticata, pensate un po', perché più semplice di The Hobbit. Sì, all'epoca la semplificazione non era vista di buon occhio e la rimozione di alcuni aspetti, come la presenza di personaggi non giocanti dalla vita autonoma, che in realtà causava non pochi problemi, come ad esempio dei personaggi essenziali per finire il gioco che venivano uccisi, non piacque ai videogiocatori. In realtà va specificato che tra The Hobbit e The Fellowship of The Ring ci fu un altro tentativo di trasformare la trilogia in videogioco. Stiamo parlando di Lord of the Rings: Journey to Rivendell (1983) dei Parker Brothers per Atari 2600, realizzato ma mai pubblicato. Il prototipo è stato riscoperto nel 2001 da Atari Age ed è liberamente scaricabile ed emulabile. Nel 1987 Beam Software e Melbourne House ci riprovano con Shadows of Mordor, altra avventura testuale per sistemi a 8-bit e seguito di The Fellowship of The Ring.
Si trattava di un miglioramento rispetto al predecessore, ma non era ancora in grado di rivaleggiare per complessità con The Hobbit. Fu comunque un successo tale che convinse il publisher a riaffacciarsi più volte nella Terra di Mezzo. Nel 1988 viene pubblicato lo strategico "War in Middle-earth" per sistemi a 8 e 16-bit, sempre di Melbourne House. In realtà le versioni per computer minori erano molto differenti da quelle per le macchine più potenti, ma in entrambi i casi si trattava di ottimi titoli con combattimenti tra eserciti su larga scala e con un occhio di riguardo per gli eroi della trilogia. Il solo Gandalf poteva sterminare interi eserciti di orchi. L'obiettivo era quello di condurre Frodo al Monte Fato per permettergli di distruggere l'unico anello. Non mancavano le battaglie più famose dei libri, come quella del Fosso di Helm o quella di Minas Tirith. L'ultima avventura testuale tratta dalle opere di Tolkien fu "The Crack of Doom", che concluse la serie iniziata con Lo Hobbit mettendo il giocatore alla guida di Sam Gamgee fino alla distruzione dell'anello. Sviluppata sempre da Beam Software e pubblicata dall'immancabile Melbourne House, non ottenne un grosso successo, probabilmente perché in un'epoca di pieno fulgore dei sistemi da gioco a 16-bit, si decise di pubblicarla soltanto su Commode 64 e IBM PC, quest'ultimo decisamente poco adatto ai videogiochi (a differenza di oggi).
La trilogia di Jackson
È innegabile che la trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli (La Compagnia dell'Anello - 2001, Le Due Torri - 2002, Il Ritorno del Re - 2003) di Peter Jackson sia stata il volano per la rinascita della produzione videoludica legata alla serie, oltre che della sua definitiva colonizzazione culturale.
Tanto le produzioni precedenti erano state attente a non violare i testi di partenza, rispettandoli anche nella scelta di forme ludiche affini, quanto a partire da "The Lord of the Rings: The Fellowship of the Ring", titolo di Vivendi del 2002, iniziò un'escalation che oscurerà la fonte Tolkien, facendola diventare secondaria rispetto al marketing legato ai film di Jackson. Paradossalmente proprio il titolo di Vivendi è il più chiaro esempio di quello che offrirà il futuro: basato sulla licenza letteraria e non su quella cinematografica, era un action adventure di mediocre fattura uscito su PC e console (Xbox e PlayStation 2), che provò a sfruttare l'onda lunga del film per farsi pubblicità gratuita. Lo stesso anno uscì il primo gioco con licenza ufficiale del film, che riportava Aragorn, Gimli e Legolas in copertina. Realizzato da Stormfront Studios per Electronic Arts, "Il Signore degli Anelli: Le Due Torri" era un picchiaduro fantasy con protagonisti i personaggi del film che se le davano di santa ragione con gli orchi. La stessa formula fu ripresa per il titolo successivo, "Il Ritorno del Re" (2003), che proseguiva sulla falsariga del predecessore. Non si trattava sicuramente di brutti videogiochi, ma altrettanto sicuramente erano delle riduzioni limitate di quella che era la complessità del testo tolkeniano e, incredibilmente, anche dei film. Purtroppo da allora la tendenza non è stata più invertita e tutti i videogiochi dedicati al mondo di Tolkien hanno scelto di toccare la fonte solo in superficie, limitandosi a riprodurne gli aspetti più folkloristici, buoni per vendere gadget agli appassionati, adagiandosi letalmente nell'immaginario dettato dai film. Così anche il discreto strategico in tempo reale "The Lord of the Rings: War of the Ring" di Liquid Entertainment e il terribile action "The Hobbit" di Midway Austin, pubblicati entrambi nel 2003 da Sierra, il primo per PC, il secondo per PC e console e basati sulla licenza letteraria, non fecero molto per cercare di differenziarsi dalla trilogia cinematografica, la cui potenza di fuoco nell'immaginario collettivo era ed è ormai inarrestabile.
La produzione apocrifa: l’era Electronic Arts
Dal 2004 in poi inizia quella che possiamo definire la produzione di videogiochi apocrifi dedicati alla trilogia cinematografica de Il Signore degli Anelli. I film sono passati, ma la licenza è di quelle che vanno sfruttate. Così iniziano a uscire titoli derivati, "ispirati" ai film, come il mediocre gioco di ruolo "Il Signore degli Anelli: La Terza Era" del 2004, pubblicato da Electronic Arts su PlayStation 2, Xbox, GameCube e Game Boy Advance, che presentava una vicenda parallela a quella della trilogia, con protagonisti differenti.
Oppure i due strategici in tempo reale "Il Signore degli Anelli: La Battaglia per la Terra di Mezzo" (2004) e "Il Signore degli Anelli: La Battaglia per la Terra di Mezzo II" (2006), entrambi pubblicati da Electronic Arts su PC, con il secondo dotato di una lunga espansione (nel titolo e nel gameplay) "Il Signore degli Anelli: La Battaglia per la Terra di Mezzo II: The Rise of the Witch-king", sempre del 2006. Sicuramente si trattava di buoni titoli, ma altrettanto sicuramente gli sviluppatori furono più preoccupati dal compiacere i fan dei film che dal mantenere un minimo di coerenza con la trilogia originale, cercando di renderla al meglio. Lo stesso discorso è fattibile per The Lord of the Rings: Tactics, gioco di ruolo tattico del 2005 di Electronic Arts per PSP, di fattura davvero banale a causa di un gameplay superficiale e una realizzazione frettolosa, che lambiva appena i classici del genere come Final Fantasy Tactics. Insomma, lo sfruttamento del brand in quegli anni era ai massimi livelli e l'attenzione era tutta verso la quantità, più che verso la qualità. L'ultimo titolo di Electronic Arts con licenza ufficiale dei film è "The Lord of the Rings: Conquest" di Pandemic Studios. Uscito nel 2009 era un mediocre clone di Star Wars: Battlefront, un prodotto superficiale con i personaggi della serie buttati nel mucchio senza un minimo rispetto dei loro ruoli, tanto per dare ai fan qualcosa con cui giocare. Il corollario perfetto a chiusura di una serie di titoli in gran parte dimenticabili.
Scopriamo la storia di tutti i videogiochi tratti dalle opere di J.R.R. Tolkien
La produzione apocrifa: The Lord of the Rings Online e l’inizio dell’era Warner
Nel mentre la licenza letteraria era rimasta distinta da quella cinematografica. "The Lord of the Rings Online: Shadows of Angmar" è un MMORPG sviluppato da Turbine Studios e pubblicato nel 2007 per PC. Ottenne subito un buon successo, nonostante il genere fosse completamente in mano a World of Warcraft.
Possiamo sicuramente considerarlo come uno dei videogiochi migliori dedicati al mondo di Tolkien di questi ultimi anni, anche se con il tempo ha dovuto cambiare formula distributiva passando al modello free-to-play a causa della fin troppo accesa concorrenza. Turbine produrrà anche diverse espansioni (Mines of Moria - 2008, Siege of Mirkwood - 2009, Rise of Isengard - 2011, Riders of Rohan - 2012, Helm's Deep - 2013) allargando la Terra di Mezzo e proseguendo la main quest. The Lord of the Rings Online è ancora oggi molto giocato, nonostante la licenza sia stata acquisita da Warner Bros. Entertainment, come del resto quella della trilogia cinematografica. Il primo titolo dedicato alla trilogia cinematografica dell'era Warner fu "The Lord of the Rings: Aragorn's Quest" per Nintendo DS, PlayStation 2, PlayStation 3 e PSP. Uscito nel 2010, proseguiva la storia dei personaggi della serie da dove vengono lasciati alla fine della Guerra dell'Anello. La via è per l'ennesima volta quella dell'action puro, con qualche spruzzata di gioco di ruolo a fare da contorno. Il gioco aveva una qualità complessiva discreta, ma era affossato da alcune scelte discutibili legate alla continuità con la serie e da una scrittura davvero mediocre, da cartone animato seriale americano. Lo stesso si può dire di The "Lord of the Rings: War in the North" di Snowblind Studios, gioco di ruolo alla Mass Effect uscito nel 2011 che convinse pochissimo stampa e giocatori per la superficialità del gameplay e della storia narrata, nonostante l'apparenza più matura rispetto agli altri videogiochi tratti dalla trilogia.
I giorni nostri: la trilogia cinematografica de “Lo Hobbit”
Negli ultimi anni la produzione di titoli ispirati alle opere di Tolkien si è intensificata, soprattutto dopo l'uscita nei cinema dei primi due capitoli della brutta trilogia di Peter Jackson tratta dal libro Lo Hobbit, che tenta di ricalcare quanto fatto con Il Signore degli Anelli, allungando il brodo con sotto storie dalla qualità indiscutibilmente bassa.
Nel mentre è continuata la pubblicazione di titoli ispirati alla trilogia precedente: il decente action online Guardians of Middle-Earth (2012) di Monolith Productions, pubblicato su Xbox Live, PSN e PC; e LEGO The Lord of the Rings (2012) di Traveller's Tale, probabilmente il migliore del mucchio, anche se troppo simile ai titoli precedenti della serie LEGO. Non mancano due prodotti ufficiali per il film Lo Hobbit: il dimenticabilissimo Lo Hobbit: I Regni della Terra di Mezzo (2012) per Android e iOS, un clone spudorato di Clash of Clans, e l'altrettanto dimenticabile browser game The Hobbit: Armies of the Third Age (2013), entrambi sviluppati da Kabam ed entrambi basati sul modello economico free-to-play. Sempre da The Hobbit è tratto un altro gioco LEGO: LEGO The Hobbit, sviluppato da Traveller's Tales e pubblicato nel 2014, ossia quest'anno, su Wii U, Xbox 360, Xbox One, PlayStation 3, PlayStation 4, Nintendo 3DS, PlayStation Vita e PC. Si tratta del primo titolo ispirato alle opere di Tolkien ad essere pubblicato anche su console next-gen, nonostante tra le varie versioni non ci siano grosse differenze. A livello qualitativo c'è poco da dire, visto che ricalca fedelmente il modello LEGO nel gameplay. L'ultimo titolo della nostra carrellata è il recentissimo La Terra di Mezzo: L'Ombra di Mordor di Monolith Productions, pubblicato su Xbox 360, Xbox One, PlayStation 3, PlayStation 4 e PC. Nonostante la storia raccontata non sia eccezionale e nonostante l'evidente debito con lo stile cinematografico più che con i libri, si tratta del prodotto migliore tra quelli realizzati dall'uscita della prima trilogia a oggi, soprattutto per le virtù del suo gameplay action, ispirato alla serie Assassin's Creed di Ubisoft, slegato dai temi dei libri e dei film. Un segno dei tempi. Se vi interessa saperne di più, leggete la nostra recensione, in attesa che venga annunciato il prossimo titolo di questa lunga storia di cui difficilmente si vedrà la fine nei prossimi anni.