227

Addio, presidente

L'undici luglio 2015, a 55 anni, è morto Satoru Iwata. Ripercorriamone insieme la vita, la carriera e, soprattutto, le passioni

SPECIALE di Alessandro Bacchetta   —   13/07/2015
Addio, presidente

Alla sede centrale di Kyoto oggi la bandiera Nintendo è issata a mezz'asta. In Italia è il 13 luglio, ed è stata da poco annunciata la morte del quarto presidente dell'azienda, il primo non appartenente alla famiglia Yamauchi, Satoru Iwata. Ci lascia a soli cinquantacinque anni, dopo una lotta corta e serrata contro un tumore al sistema biliare. Lascia un vuoto enorme nell'intero mondo dei videogiochi, un mondo che amava come pochi altri e che, forse, ha esplorato (con successo) come nessun altro. Ha iniziato come programmatore alla HAL Laboratory, un'azienda di cui ha anche coordinato lo sviluppo software e che infine ha diretto come presidente: era il 1993, e la compagnia era sull'orlo del fallimento. Siamo nel 2015, e HAL esiste ancora. Da lì, second party Nintendo, è passato alla casa madre nel 2000, entrando direttamente nella planning division (dove, sostanzialmente, si propongono e decidono le strategie globali dell'azienda). Qualche tempo dopo, nel maggio 2002, Iwata viene convocato nell'ufficio di Hiroshi Yamauchi. I due, a quanto ne sappiamo, non avevano un rapporto personale particolarmente stretto: tanto che, quando l'anziano presidente Nintendo tiene Satoru a colloquio per due ore, narrandogli le difficoltà e i successi della sua amministrazione, quest'ultimo teme di essere licenziato. Sarebbe stato nominato, come sappiamo, presidente; citando Yamauchi, "per la sua conoscenza e la sua comprensione del software e dell'hardware Nintendo". Prima di passare oltre e parlare della sua gestione, cioè del periodo che tutti forzatamente conosciamo meglio, vorremmo sottolineare un'ultima volta l'anomalia di Iwata. Molte persone della sua generazione sono entrate in contatto coi videogiochi per caso, grazie al talento informatico o quello creativo - tipo Miyamoto, per intenderci. Satoru Iwata no, lui già alle superiori sviluppava dei semplicissimi videogame che condivideva coi compagni.

Addio, presidente

Satoru Iwata, se non aveste ancora chiaro quanto coraggio e quanta determinazione celasse dietro il placido sguardo, era il tipo di persona che, una volta finita l'università (seguita a Tokyo, un corso che potremmo definire di informatica, "computer science"), entra in HAL avversando la volontà della famiglia. Una decisione dura per tutti, particolarmente dura in un contesto sociale come quello giapponese. Suo padre non gli parla per sei mesi, perché "pensava fossi entrato in una specie di setta religiosa". Abbiate chiaro questo, e cioè che l'idea stessa di "videogioco", quando Iwata ha deciso di realizzarli, non era affatto definita. Era roba da ribelli. Esiste una bellissima foto dell'epoca che potete vedere qui accanto, una foto che ritrae Iwata con i capelli lunghi, a cavallo della sua motocicletta. Come ha detto da presidente, "all'epoca ero molto più fico di adesso; come lo è ogni creatore di videogiochi, del resto".

Alla sede di Kyoto oggi la bandiera Nintendo è a mezz'asta: Satoru Iwata ci ha lasciato. Ecco chi era.

CEO

Quando Iwata ha afferrato le redini dell'azienda, il GameCube era già stato lanciato: ne ha gestito brillantemente la vita, ma quella generazione, comprendente il Game Boy Advance, lui l'ha solamente ereditata da Yamauchi. Tuttavia ha subito iniziato a lavorare per il futuro, un futuro che sembrava quanto mai complicato: in quegli anni, mentre uscivano Metroid Prime e The Legend of Zelda: The Wind Waker, i dirigenti Nintendo stavano pianificando i più grandi successi commerciali dello scorso quinquennio (2005-2010), ovvero Nintendo DS e Nintendo Wii.

Addio, presidente

Due macchine rivoluzionarie ed estremamente coraggiose, che hanno preso una direzione diversa rispetto a quella dominante nell'industria, due console che hanno saputo attirare una platea enorme di "non giocatori" pur senza mai, nella sostanza più che nell'immagine, abbandonare la propria utenza storica. Due piattaforme che hanno visto convivere Super Mario Galaxy e Wii Sports, Mario Kart DS e Brain Training, e che hanno riportato Nintendo a dominare il mercato dei videogiochi. Tra il 2007 e il 2010, Iwata è stato inserito dalla prestigiosa rivista Barron's tra i trenta migliori CEO del mondo. Creare dei successori a simili trionfali console era cosa tutt'altro che semplice, e Nintendo c'è riuscita solo in parte: le difficoltà di Nintendo 3DS e Wii U sono ancora sotto gli occhi di tutti, per la prima volta nella sua storia l'azienda kyotense ha chiuso in rosso alcuni anni fiscali, ma nonostante questo il bilancio, alla fine, è tornato positivo. Se da un lato ci sono stati grossi passi indietro dal punto di vista finanziario, a causa di alcune scelte sbagliate (in primis il GamePad di Wii U, la cui sperata innovazione si è persa nello stormo di tablet che ha invaso il modo), la dirigenza ha comunque lavorato egregiamente, mantenendo la calma ed evitando il tracollo. Evitando, soprattutto, decisioni affrettate. Nel frattempo si è pianificato il futuro, un futuro a noi ignoto che inizieremo a intravedere il prossimo anno e che, in tutto e per tutto, è stato elaborato da Iwata: l'imminente ingresso nel settore mobile, i futuri prodotti Quality of Life, NX. Soprattutto NX: le poche parole che il presidente ha utilizzato per parlare del prossimo "dedicated game system" lasciano supporre solo una cosa, e cioè che sia un progetto estremamente ben definito (a differenza di Wii U, nato nel caos).

Addio, presidente

Indipendentemente dal successo che avrà, niente potrà mai scalfire la positività - oggettiva - della gestione Iwata. Il quarto presidente Nintendo lascia un'azienda proiettata nel futuro, anche a livello gestionale, essendo stata ristrutturata completamente nell'organizzazione e nell'ubicazione. La lascia finanziariamente solida come quando l'aveva presa (il valore delle azioni è identico), ma con una disponibilità di fondi estremamente più ampia, un patrimonio ricavato proprio in epoca Nintendo Wii/DS. La lascia soprattutto con l'enorme valore delle proprietà intellettuali sostanzialmente invariato, un risultato che vale quanto e più dei precedenti. Grazie ad Iwata Nintendo inoltre ha acquistato sé stessa, prelevando la quota di maggioranza della società: un'operazione passata in secondo piano ma dall'enorme importanza, perché - tra le altre cose - impedisce che oggi, in un momento di debolezza, si presentino degli uomini occidentali in giacca e cravatta a trattare con la famiglia Yamauchi per l'acquisizione dell'azienda. Di Iwata come CEO rimangono la positività e l'eleganza, quella che gli ha permesso di non parlare mai male dei rivali, sia nei periodi di successo che in quelli meno felici, e di riceverne oggi il plebiscitario tributo. E auguriamoci una cosa, e cioè che il presidente fosse consapevole del suo stato di salute, e che la fine non sia arrivata all'improvviso: auguriamoci, in poche parole, che lui stesso abbia indicato un degno successore.

I am a gamer

Iwata è stato spesso criticato dai fan Nintendo, dei fan che a volte hanno dato per scontato un aspetto che, ahinoi, scontato non è affatto: la passione di questa persona per i videogiochi e l'amore per l'azienda per cui lavorava. Sono proprio questi i due principali tratti in comune, forse addirittura gli unici ma fondamentali, tra Iwata e Yamauchi: il rapporto emotivo con Nintendo e con la sua storia, e la conseguente gestione a lungo termine. Ci sarebbero stati migliaia di modi per evitare il "rosso" che ha colpito la società negli ultimi anni, ma nessuno di questi sarebbe stato in grado di non danneggiarla in futuro.

Addio, presidente

Iwata, in questo senso, è stato impeccabile. Ha agito con l'obbiettivo di portare Nintendo nel futuro senza modificarne l'essenza, sapendo esattamente cosa significano e cosa sono Super Mario e The Legend of Zelda, senza provare a massimizzare i profitti a discapito del prestigio. Un CEO del genere era una straordinaria anomalia. Un presidente che di sera si intrufolava negli uffici ad osservare il codice dei giochi, correggendolo se necessario, e assicurandosi di essere ancora in grado di competere coi giovani programmatori. Una persona che conosceva la materia trattata dalla A alla Z, dal DNA impresso dagli informatici fino alla distribuzione dell'opera ai negozi. Un dirigente estremamente intelligente, consapevole e competente, che parlava inglese correttamente davanti agli azionisti (anche questo non è scontato), degli azionisti che ha incontrato per l'ultima volta solo poche settimana fa. Un presidente che ha avvicinato il pubblico a un'azienda intima e segreta come Nintendo attraverso gli Iwata Asks, dei piacevoli approfondimenti sullo sviluppo dei giochi, delle interviste che hanno rivelato, senza alcuna magniloquenza, delle autentiche perle di game design. La passione e il rispetto che Iwata aveva per Nintendo sono il motivo principale per cui tutti, sostenitori e avversatori, compagni e rivali, oggi gli rendono onore. Nessuno può dubitare della sua fedeltà ai valori e all'anima dell'azienda che guidava, e quelle parole che adesso circolano da tweet a tweet, pronunciate alla GDC del 2005, non passeranno alla storia soltanto perché sono belle. Passeranno alla storia perché Satoru Iwata ha dimostrato che erano vere. "Nel mio biglietto da visita sono il presidente di un'azienda. Nella mia mente sono uno sviluppatore di videogiochi. Ma nel mio cuore, io sono un giocatore".