105

Dieci game designer che non se la passano bene

Dalla fama alla fame il passo è breve...

SPECIALE di Lorenzo Fantoni   —   08/10/2015

I videogiochi sono una delle industrie più fiorenti e ricche degli ultimi anni, con cifre dedicate allo sviluppo e conseguenti incassi che fanno impallidire il mondo del cinema. Tuttavia il settore non è tutto rose e fiori, e nel corso degli anni abbiamo visto tantissime figure illustri cadere nella polvere per colpa di una decisione sbagliata, del proprio ego o di una gestione economica poco lungimirante. Abbiamo quindi deciso di stilare una classifica di sviluppatori che nonostante il loro successo stanno vivendo un momento difficile o che sono del tutto spariti dalla scena. Attenzione però: questo non vuol'essere un giudizio negativo sul loro operato né sulle scelte che ha portato la stella videoludica ad oscurarsi, solo un'analisi semiseria di come sono andate le cose. Dunque, se vedete il vostro beniamino in questa lista non arrabbiatevi!

Ecco a voi dieci game designer che non se la passano troppo bene!

John Romero

Insieme a Carmack è stata probabilmente la prima vera rockstar del mondo dei videogiochi. Metallaro convinto, dotato di un ego smisurato e di un'incredibile capacità di ottenere fondi sfruttando il nome di Doom e Quake, Romero incarna senza dubbio il mito di Icaro: ha voluto troppo, ha cercato di volare alto e si è schiantato senza pietà. Dopo aver fatto soldi per due vite con i suoi successi in id Software, ha deciso che la software house che lo aveva reso famoso gli stava stretta e, un po' come alcune star della musica, ha tentato una carriera tutta sua. Daikatana doveva essere il suo trionfo, ma la sua scarsa conoscenza di come si deve realmente gestire lo sviluppo di un videogioco, abbinata al suo eccessivo perfezionismo hanno trasformato la gloria in una gogna, una ferita gravissima da cui non si è mai veramente ripreso e che l'ha portato a sparire lentamente dalle scene. Il suo ultimo gioco è del 2012 ed è stato pubblicato da Zynga: peggior fine non poteva esserci per la rockstar dei videogiochi.

Dieci game designer che non se la passano bene

Markus “Notch” Persson

Ok, forse vendere il proprio gioco a Microsoft per un godzilliardo di dollari non può propriamente essere catalogato come un insuccesso. Ma nonostante possa nuotare nei soldi come Zio Paperone, il caro Notch non sembra aver gestito molto bene l'improvviso afflusso di denaro e fama. Dopo Minecraft si è imbarcato in un paio di progetti, Scrolls e 0x10c: il primo è un gioco di carte che ha ricevuto pochissima attenzione, il secondo è stato abbandonato dallo stesso Persson perché giudicato poco interessante e ha contribuito a farlo sprofondare in una brutta crisi creativa dalla quale ancora non sembra essersi ripreso. Ogni tanto su Twitter si lamenta del fatto di non essere felice, nonostante scriva da un party a Ibiza, di quanto gli manchino i suoi amici, di quanto non riesca più a trovare uno scopo nella vita, tanto che alcuni hanno avuto persino paura che si suicidasse.

Dieci game designer che non se la passano bene

Tomonobu Itagaki

Altro personaggio con fattezze da rockstar, abbinate a un temperamento decisamente caldo. Il boun Tomonobu ha raggiunto l'apice del successo quando guidava con piglio sicuro il Team Ninja, creando Dead or Alive e Ninja Gaiden, due giochi che l'hanno senza dubbio proiettato nell'olimpo degli sviluppatori. I problemi finanziari di Tecmo lo hanno allontanato dalla casa madre nel 2008, ma è probabile che tra le ragioni ci fossero anche delle forti "divergenze creative" con la società. Dopo aver fondato i Valhalla Studios, Itagaki ha iniziato a lavorare sul suo prossimo grande progetto: Devil's Third, un gioco rimandato per anni e che al suo debutto sugli scaffali ha preso più brutti voti di un ubriaco che cerca di prendere la patente. Itagaki l'ha presa malissimo, ha detto che era tutta colpa dei giornalisti incapaci che non sapevano giocare e ha difeso a spada tratta la sua creatura, nell'imbarazzo generale. Adesso resta da capire se questa débâcle sarà il colpo di grazia o riuscirà nuovamente a creare qualcosa degno dei suoi primi giochi.

Dieci game designer che non se la passano bene

Peter Molyneux

Molyneux è senza dubbio una delle figure più importanti nel mondo dei videogiochi, il classico grande vecchio che ha contribuito alla nascita del settore e che con le sue idee geniali ha dimostrato che può essere molto di più di un semplice intrattenimento leggero. Il suo problema è che tende a vendere un po' troppo bene i suoi giochi. Per carità, è ovvio e normale che uno sviluppatore descriva in maniera entusiastica ciò su cui sta lavorando, ma da Black & White in poi Molyneux è sembrato più un venditore di auto usate che un game designer, arrivando a esaltare caratteristiche del primo Fable che poi non sono mai state implementate, tanto che poi alla fine ha chiesto scusa. Dopo Fable 3 si è pubblicamente vergognato per il prodotto finale, è andato via da Microsoft e ha fondato 22 Cans con la quale le cose non sono certo migliorate. Prima è uscito Curiosity, un gioco mobile vinto da un ragazzo inglese di 18 anni che avrebbe dovuto ricevere l'1% dei profitti di Project Godus, un successore spirituale di Populous; poi Godus è stato invischiato in uno sviluppo lento e travagliato che ha fatto infuriare chi lo aveva finanziato su Kickstarter e il povero ragazzino è stato ignorato da Molyneux e dal suo staff. Il risultato è che per ora il caro Peter ha deciso non parlare mai più con la stampa, chiudendosi in un triste e solitario silenzio.

Dieci game designer che non se la passano bene

Yuji Naka

Magari non tutti lo conoscono, ma Yuji Naka ha scolpito il proprio nome nella roccia dedicandosi al codice del primo capitolo di Sonic. Di fatto l'idea di un platform basato su un personaggio velocissimo che corre in giro per lo schermo è sua, solo dopo ci hanno appiccicato sopra il design del porcospino blu. Dopo anni all'interno di SEGA in cui praticamente non ha fatto altro che lavorare su Sonic (no dai, non è vero, ha fatto Nights into Dreams e ha lavorato anche a Samba de Amigo e Phantasy Star Online, ma solo quando i suoi colleghi smettevano di sorvegliarlo). Concedendosi a fine carriera la supervisione di altri giochi, Naka ha finalmente deciso di allontanarsi dalla casa madre per dedicarsi a qualcosa di nuovo. Stando a una sua dichiarazione l'avrebbe fatto perché se fosse rimasto all'interno di SEGA avrebbe visto solo Sonic fino alla sua morte e vista la brutta piega presa dal gioco, non è una fine che augureremmo al nostro peggior nemico. Per ora la sua carriera come sviluppatore indipendente non ha brillato in maniera particolare, pur avendo prodotto e sviluppato giochi che navigano dignitosamente intorno alla media del sette. Qualche anno fa ha dichiarato che tutto sommato Sonic gli mancava e di essere alla ricerca di qualcosa per replicarne il successo, segno che forse questa nuova carriera da indie non lo attrae più di tanto.

Dieci game designer che non se la passano bene

Will Wright

Se la vostra ragazza vi assilla e vi ruba il PC per giocare con The Sims è colpa sua, così come sono suoi quasi tutti i giochi con il suffisso "Sim". Wright è stato per anni il genio in grado di trasformare praticamente ogni cosa in un titolo gestionale, un uomo letteralmente ossessionato dalla possibilità di simulare e riprodurre le meccaniche che ruotano attorno all'essere umano. La sua carriera è iniziata cercando di metterci a capo di una città ed è finita cercando di simulare una vita parallela, fatta di cene galanti, cucine che vanno a fuoco e temibili piscine senza scaletta. Tuttavia, la sua ultima vera avventura è stata Spore, un gioco decisamente strano e non del tutto convincente. A dire il vero Spore è andato molto bene dal punto di vista della critica, ma era decisamente molto meno interessante rispetto alle aspettative. Le parti iniziali erano particolarmente semplici e casual, il gioco era abbastanza breve e ha generato una serie di titoli satellite mediamente brutti e dimenticabili con cui EA ha cercato di spremere il marchio. Con questo titolo Wright si è congedato dalla scena dei videogiochi nel 2009 e tanti lo rimpiangono, mentre lui si dedica a Stupid Fun Club, una startup che dovrebbe sviluppare concetti divertenti per televisioni, videogiochi e internet.

Dieci game designer che non se la passano bene

Denis Dyack

Un po' come Romero, Dyack è un'altra vittima del proprio ego, che nella ricetta del fallimento ha pensato bene di inserire qualche litigata sui social media. Dopo il successo di Blood Omen: Legacy of Kain i suoi Silicon Knights crearono l'ottimo Eternal Darkness per Nintendo per poi fare il salto della barricata e legarsi a Microsoft: fu l'inizio della fine. Too Human, un progetto ambizioso pensato inizialmente per la prima Playstation che mescolava tecnologia e leggende nordiche, si rivelò un boccone troppo grande per Dyack e soci che ne rimandarono lo sviluppo anno dopo anno. Il gioco è stato un flop e a causa di una disputa con Epic Games sull'Unreal Engine i suoi dischi furono persino distrutti fisicamente, una vera e propria damnatio memoriae mai vista nel settore. Nel frattempo Dyack si prese tutto il tempo per litigare con la stampa e con gli utenti di NeoGaf, affossando ulteriormente le sue quotazioni con accuse di maltrattamenti nei confronti dei dipendenti. Dopo l'esperienza di Silicon Knights ha fondato un altro studio Precursor Games, che è stato sciolto nel 2013 dopo aver fallito una campagna fondi su Kickstarter. Qui cala il sipario su Dyack. Finalmente.

Dieci game designer che non se la passano bene

George Broussard

Altro personaggio a cui forse avrebbe fatto bene un bagno di umiltà ma, d'altronde, quando hai il personaggio di Duke Nukem come puoi pensare di rimanere una persona modesta? Broussard ha regalato al mondo dei videogiochi uno dei suoi personaggi più iconici degli anni '90. Il problema è che Il Duca è rimasto ancorato al suo tempo, come le giacche con le spalline e le acconciature vaporose, rivelandosi totalmente inadatto all'evoluzione del mondo dei videogiochi. Ma forse il vero problema non è il suo essere il classico action hero di trent'anni fa, il problema è che Broussard ci ha messo 12 anni a sviluppare Duke Nukem Forever, facendolo diventare la barzelletta del settore e vera e propria icona del vaporware. Broussard è l'equivalente videoludico del capitano del Titanic che si ostina a dire che va tutto bene mentre la nave affonda e tutto intorno ridono di lui. Il risultato è che oggi praticamente nessuno si ricorda di lui, se non come esempio negativo da insegnare nelle scuole, e che al momento nessuno gli affiderebbe un progetto più difficile del fare la spesa con la lista già fatta.

Dieci game designer che non se la passano bene

Shinji Mikami

Dobbiamo a Mikami uno dei più grandi traumi irrisolti del giocatore trentenne: il corridoio di Resident Evil con i cani che irrompono dalle finestre. Quest'uomo ha codificato gran parte degli attuali canoni del survival horror e per questo gli dobbiamo eterna gratitudine, tuttavia, è innegabile che negli ultimi anni il vento dell'innovazione abbia smesso di gonfiare le sue vele. La serie che lo ha reso famoso non è più in suo possesso e ormai ha una trama più ingarbugliata e spezzettata di una soap opera; le altre sue opere o non sono riuscite a replicarne il successo o, peggio, sono sembrate un'imitazione del gameplay che lo ha reso famoso. Il pubblico, intanto, da una parte vorrebbe vederlo di nuovo al timone di Resident Evil, dall'altra comincia a sospettare che quest'uomo ormai abbia detto ciò che poteva dire e difficilmente riuscirà a produrre qualcosa di nuovo e realmente interessante.

Dieci game designer che non se la passano bene

Hideo Kojima

Non fate quella faccia, sappiamo bene che le quotazioni di Kojima al momento sono altissime, grazie alla sua trasfigurazione in agnello sacrificale dopo la rottura con Konami, ma è innegabile che l'immagine del nostro eroe stia scricchiolando sotto il peso, i tic e le manie dell'artista. Di sicuro è un uomo geniale e ricco di soluzioni che altri neanche si sognerebbero e molti giocatori lo venerano con fedeltà ai limiti del religioso. Chiunque dovesse decidere di assumerlo in futuro, sa già che il personaggio porta con sé polemiche, perfezionismo maniacale e spese esorbitanti, che non sempre vengono coperte dalle seppur buone vendite dei suoi giochi. In questo momento investire in Hideo Kojima vuole dire scavare un pozzo senza fondo in cui buttare i proprio soldi, con la speranza che ne venga fuori qualcosa di buono. È come spendere nell'arte: senza dubbio il mondo si arricchisce, ma non è detto che ti arricchisca tu.

Dieci game designer che non se la passano bene