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Il reboot secondo Square Enix

Square Enix e il suoi rapporto con i brand Eidos: cos'ha funzionato e cos'è andato male?

SPECIALE di Giordana Moroni   —   03/12/2015

Qualche settimana fa durante uno speciale dedicato a Lara Croft, abbiamo accennato qualche riga di riflessione sui numerosi reboot avviati da Square Enix dopo l'acquisizione di Eidos, definendo alcuni tra questi "senz'anima". Aver cercato di trattare un argomento così vasto e che chiama in causa numerosi giochi (molto distanti tra loro) in un piccolo paragrafo è stato forse troppo riduttivo, così, vista l'accesa discussione tenutasi nei commenti sottostanti, abbiamo deciso di approfondire di più quest'argomento, provando ad affrontare il discorso partendo proprio dall'acquisizione di Eidos e cercando di evidenziare tutti gli aspetti della vicenda, specialmente sul profilo finanziario.

Un viaggio attraverso la storia di Square Enix, indagando sui reboot dei vecchi brand Eidos

2009, l’acquisizione

Dopo una lunga serie di trattative, il 22 aprile del 2009 Eidos veniva affiancata a Square Enix e Taito come terza componente della Square Enix Holdings CO., LTD., ai tempi guidata da Yoichi Wada, figura che tra qualche paragrafo rincontreremo in circostanze non felici. In un documento ufficiale dell'azienda il CEO di allora illustrava la strategia per l'integrazione della casa di produzione di Wimbledon: l'acquisito di una società europea suggeriva grandi cambiamenti all'orizzonte, ma quello che viene proposto in realtà è un panorama aziendale in cui nulla cambia, poiché Wada volle rimanere fedele alla sua visione del mercato dell'intrattenimento videoludico in cui, secondo lui, i giocatori sono contraddistinti da tre specifiche caratteristiche.

Il reboot secondo Square Enix

La prima è la libertà di scelta rispetto a contenuti e piattaforme, quindi ad un singolo utente deve essere data la scelta di accedere ad un singolo contenuto attraverso la piattaforma che più preferisce, e non a caso per questo la Square Enix Holdings aveva acquisito anche Taito, come non è un caso che successivamente sono seguiti titoli come Hitman GO, Lara Croft GO e Lara Croft: Relic Run. La seconda è la possibilità che un giocatore possa contemporaneamente avere differenti gusti, trovando quindi sbagliato una categorizzazione del cliente attraverso parametri quasi sesso o età. Terzo ed ultimo, nel momento in cui un giocatore stringe un rapporto con il prodotto e lo usa come punto di riferimento crea una community di appassionati e anche la community ha pari dignità e importanza. Da qui nascono di conseguenza tre diversi fattori richiesti dal mercato dell'intrattenimento: dare valore ai brand, raggiungere i giocatori in tutto il mondo e creare strategie efficaci per valorizzare le community. Questo intento pare realizzarsi concretamente in uno dei successi più grandi dopo l'acquisizione di Eidos, Deus Ex: Human Revolution: il gioco ai tempi (ce lo ricordiamo tutti) è stato accolto unanimemente da critica e pubblico in modo molto positivo, rappresentando un grande ritorno dopo Invisible War del 2003 e vantando 2.18 milioni di copie vendute tra la sua data di lancio e il 30 settembre dello stesso anno (2011)... ma le cose stavano per peggiorare, considerevolmente.

Il reboot secondo Square Enix

2013, il tracollo

L'aver sottoposto i prodotti Eidos agli stessi principi aziendali su cui Square Enix si poggiava sin dal 2001 ha dato i suoi frutti nel primo periodo ma nel 2013 qualcosa è andato storto. Quello è stato infatti un anno nerissimo per l'azienda che ha accusato un pesantissimo colpo, specialmente nell'ultimo quarto dell'anno fiscale, sfatando le previsioni che volevano una perdita stimata a 105 milioni di dollari e andando in rosso per 134 milioni di dollari.

Il reboot secondo Square Enix

A quel punto Wada abbandonò il suo ruolo e al suo posto si insediò come CEO Yosuke Matsuda, al quale spettò il duro compito di motivare il pesante tracollo di quell'anno: sempre nei documenti pubblici dell'azienda e nelle dichiarazioni si legge come Matsuda illustri varie motivazioni, come politiche di sviluppo vecchie, fortissima competitività nel mercato americano ed europeo, forti pressioni fiscali e un difficile modello di vendita dei prodotti console nel mercato occidentale. Al centro di questo pesante anno c'è un altro grande brand ex Eidos, a cui per altro Square imputò proprio parte della colpa riguardo al tracollo dell'anno fiscale 2013, e stiamo parlando di Tomb Raider. Nonostante le svariate dichiarazioni, ad oggi non si capisce esattamente quali siano state le politiche adottate per lo sviluppo del titolo: il gioco infatti risulta molto interessante e di grande valore, fruibile su più piattaforme ma completamente diviso sul fronte community, dove da una parte c'è stato il chiaro tentativo di crearne una attraverso l'inserimento di un (inutile) multiplayer, ma dall'altra vengono traditi alcuni principi fondamentali di saga e personaggio in favore di un riavvio. Fu così che verso la chiusura dell'anno fiscale 2013 Tomb Raider vendette "solo" 3, 4 milioni di copie e le vendite di Sleeping Dogs (1,75 milioni di copie) e Hitman: Absolution (3,6 milioni di copie) non aiutarono molto: i giochi vennero apprezzati e i risultati superarono abbondantemente il milione di copie, ma non fu comunque sufficiente a soddisfare le aspettative della società.

2014-2015, la ripresa

Il 2014 è l'anno di un altro titolo ex Eidos: Thief si afferma come un gioco di buona qualità, tecnicamente ben realizzato e convincente ma che purtroppo si perde per strada parte della sua essenza, segnando delle vendite ritenute favorevoli dall'azienda ma destinato poco dopo al dimenticatoio. A sorpresa nella primavera del 2015 Tomb Raider sale a 8.5 milioni di copie vendute segnando il record di vendite nella storia della saga (neanche il primo capitolo del 1996 riuscì ad arrivare a 8 milioni di copie); a risollevare l'azienda dall'anno fiscale passato non solo quindi la Definitive Edition di Tomb Raider, che dopo un po' pare abbia ingranato bene, ma gran parte del lavoro è attribuito alle grosse vendite di Final Fantasy XIV: A Realm Reborn. Poco tempo fa abbiamo accolto l'uscita di Rise of the Tomb Raider, in questi giorni assistiamo a quella di Just Cause 3 e prossimamente vedremo come se la caverà Square Enix con la chiusura dell'anno 2015 e con i nuovi titoli dedicati a Hitman e Deus Ex.

Le dovute considerazioni

Ma come si lega questo lungo iter fiscale con l'assunto che alcuni titoli ex Eidos non siano riusciti da subito a fare breccia nei giocatori? La prima considerazione è la più ovvia, ovvero che le politiche di sviluppo e il successivo cambio di rotta non si siano adattate perfettamente a tutti i titoli. Deus Ex è stato un grande successo ma è logico che voler appiccicare un modello di sviluppo e vendita univoco non può funzionare a lungo: nonostante Tomb Raider si sia rivelato poi un prodotto vincente, buona parte della fan base storica non si è comunque trovata soddisfatta dal cambio di rotta, cosa che non si può dire all'inverso per Human Revolution.

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Anche con Thief la storia si è ripetuta. Cominciarono a circolare insistenti rumor sul gioco già nel maggio 2009 (poche settimane dopo la chiusura dell'acquisizione), suggerendo un quarto capitolo della saga... e non a caso il fumoso logo del gioco riportava la scritta Thi4f. Il gioco però esce dopo cinque anni e non è affatto un sequel bensì un reboot, proprio come Tomb Raider. Il team di sviluppo ha ritenuto necessario slegarsi dal passato per non essere eccessivamente vincolato nella fase creativa del progetto, ma numerosi rumor attribuirono alla mancata supervisione del publisher sul prodotto (causata dai difficili momenti del 2013), la lievitazione dei costi e svariate difficoltà durante l'ultima fase di sviluppo. Dopo Deus Ex pare che ci sia stata una sorta d'inconscia perdita di controllo da parte di Square, forse a causa proprio delle politiche interne. L'impostazione e la scelta degli obiettivi da perseguire per rendere valida un'acquisizione è un processo lungo e delicato e questo vuol dire che inevitabilmente qualcosa deve cambiare, cosa che però nei primi anni non è avvenuta in Square Enix e al contrario, un netto cambio di rotta mentre si è in procinto di rilasciare dei giochi (con per altro un retaggio storico importante) non aiuterà di certo né le vendite né l'immagine dell'azienda (a livello di immagine pubblica non aiuta nemmeno incolpare un proprio titolo per problemi finanziari e poi vantarsene due anni dopo per il record di vendite). Seconda grossa considerazione è quella della diversa realtà di sviluppo. Per quanto all'interno dell'acquisizione erano previsti anche gli studi di Cristal Dynamics, IO Interactive ed Eidos Montreal (studi che hanno curato e tutt'ora curano la realizzazione dei titoli storici a cui sono legati) è indubbio il fatto che l'impronta di Square Enix si sia fatta sentire su di loro. Come dicevamo nel precedente speciale acquisire i diritti dei giochi Eidos è stato un ottimo modo per Square d'insediarsi realmente nel mercato occidentale ma la domanda che vogliamo fare ad alta voce è: davvero ne hanno compreso il significato?

Il reboot secondo Square Enix

Avere al proprio fianco gli studi che per anni hanno seguito i brand sicuramente aiuta, ma se non si cerca di capire che tipo di prodotto si ha tra le mani, senza curarsi della sua storia o della fan base di partenza, cercando di piegare l'intero sistema sotto politiche di sviluppo che funzionano certo molto bene, ma nel mercato di un paese dall'altra parte del pianeta, si rischia di creare un prodotto che non ha una vera identità di provenienza (e non a caso una delle lamentele di Matsuda fu proprio il mancato raggiungimento del mercato occidentale). Terzo e ultimo punto, forse il più tecnico di tutti (ma a cui noi interessa solo il principio di fondo) sono le voci che vorrebbero il prezzo di acquisto di Eidos troppo alto, insomma, secondo alcuni Square ha speso troppo. Sulla carta sembrava un bell'affare: Square afferma la sua presenza su territori occidentali ed Eidos, diventata ormai una delle società più deludenti della City londinese, avrebbe trovato una casa per riportare in auge le sue vecchie glorie (e risolto svariati problemi relativi a perdite per milioni di sterline). Stando però ai dati degli economisti non tutti concordano sul fatto che l'acquisizione sia stata una grande occasione: a prescindere però dai dati economici e sul prezzo per azione con cui la società è stata messa sul mercato, la diretta conseguenza è che l'aver pagato troppo Eidos abbia prosciugato le casse del colosso giapponese, portandola successivamente (dopo costi di sviluppo molto consistenti) al tracollo 2013. Un quadro complesso insomma: a farla da padroni sono stati principalmente denaro, profitti, ristrutturazioni aziendali e licenziamenti a blocchi, un clima teso durante il quale sono stati sviluppati molti giochi, tra cui i titoli Eidos più importanti. Come dicevamo le scelte adottate dai vari team di sviluppo sono state motivate ma a Tomb Raider e Thief in particolare manca qualcosa, ma non solo quel pizzico di nostalgia tanto cara ai fan appassionati, ma ci riferiamo a quel tocco in più necessario per convincete tutti i giocatori, vecchi e nuovi. I momenti travagliati degli ultimi anni coincidevano proprio con l'uscita di questi titoli e la domanda legittima è: saranno forse queste beghe interne all'azienda ad aver svantaggiato in partenza i titoli? Oppure il publisher non ha ancora preso abbastanza confidenza con i brand? E se fossero state le politiche aziendali vetuste? Probabilmente solo il tempo e le future vendite potranno darci una risposta, nel frattempo noi ci sediamo qui e aspettiamo.