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Fine dei giochi

L'elaborazione del dolore che si prova nel salutare per sempre una serie particolarmente amata

SPECIALE di Rosario Salatiello   —   05/06/2016

Che cosa hanno in comune Breaking Bad, Harry Potter e The Witcher? La risposta immediata è che nel loro genere d'intrattenimento sono tutti dei capolavori, osannati dalla critica e dal pubblico. Andando però più a fondo, è possibile rendersi conto che queste opere così benvolute nascondono anche dell'altro. Per qualcuno è un temuto effetto collaterale, per altri il segno di una strana dipendenza, fatto sta che una volta arrivati alla fine di una storia particolarmente amata, sopraggiunge un sentimento simile a quello che si prova dopo aver perso qualcosa a cui ci eravamo affezionati nel mondo reale. La consapevolezza di non seguire più i racconti legati a Walter White, al maghetto di Hogwarts o a Geralt di Rivia ci rende tristi e affranti, e le consolazioni a nostra disposizione sono davvero poche. Se almeno una volta vi è capitato che una serie di racconti sia entrata nel vostro cuore, la sensazione che abbiamo appena descritto vi sarà familiare. Come stiamo per vedere, quando si parla di videogiochi il sentimento è addirittura amplificato.

Separarsi da personaggi amati non è mai facile, soprattutto se si tratta di videogiochi!

Il lungo addio

Al di là dell'impatto emotivo dovuto al raggiungimento della parola fine di un'opera, esistono anche altri modi di reagire all'inevitabile appuntamento con essa. Per chi vi scrive vale l'esempio di Breaking Bad: dopo aver divorato gran parte delle cinque stagioni attraverso delle estenuanti sessioni di binge watching, è stato davvero difficile raggiungere la puntata conclusiva, al punto che c'è voluta una settimana per guardare gli ultimi tre episodi. Un meccanismo innescatosi da solo, per tentare inconsciamente di rimandare quanto più possibile il momento di dire addio ad "Heisenberg" e Jesse.

A questa scena, fiumi di lacrime nel cinema!
A questa scena, fiumi di lacrime nel cinema!
Chi avrà ancora il coraggio di chiederci di pronunciare il suo nome?
Chi avrà ancora il coraggio di chiederci di pronunciare il suo nome?

Anche se in questo articolo ci stiamo provando, descrivere a parole l'effetto che fa il portare a termine un racconto molto amato è abbastanza difficile, perché la propensione ad affezionarsi a persone e cose è un qualcosa di radicato in modo profondo nell'essere umano. Il fatto che l'oggetto della nostra affezione esista realmente oppure no è solo una cosa secondaria, se non insignificante: nei casi in cui si sviluppa un maggior legame, capita infatti anche di versare lacrime vere. Con tutte le proporzioni del caso l'evento può essere visto come un vero e proprio lutto, da elaborare prima di essere accettato. Non a caso, tutti i tipi di sentimenti che abbiamo descritto finora sono stati oggetto di uno studio effettuato nel 2014 da Cristel Russell, professoressa della Kogod School of Business che ha pubblicato i risultati nel documento intitolato When Narrative Brands End: The Impact of Narrative Closure and Consumption Sociality on Loss Accommodation. Al di là di nomi lunghi e complicati, la Russell ha studiato proprio ciò di cui stiamo parlando: l'elaborazione della tristezza che segue la fine di una serie televisiva o di libri che abbiamo seguito con particolare coinvolgimento. Non fa differenza neanche la sorte finale dei suoi personaggi: per qualcuno sarà forse un paradosso apprendere che Cristel Russell ha verificato che la perdita di un'opera particolarmente amata viene accettata più volentieri se il finale è di tipo chiuso. Diventa quindi meglio veder morire il protagonista al quale ci eravamo legati, piuttosto che affrontare una conclusione aperta. In questo caso, infatti, il processo di elaborazione di cui parlavamo poco fa passa attraverso delle fasi che comprendono anche la preoccupazione per l'oggetto della nostra affezione: cosa gli succederà da ora in poi? Dove andrà? Chi incontrerà? Tutte domande che sappiamo non troveranno mai una risposta, e la cosa ci fa sentire tremendamente impotenti e tristi. Non di rado si arriva a provare anche una sorta d'invidia nei confronti di chi non ha ancora visto la storia che abbiamo appena concluso, e ha quindi tutti gli avvenimenti ancora da scoprire. Qualche tempo fa su Facebook girava la finta notizia del tizio che si faceva cancellare la memoria per rivedere Breaking Bad: se fosse possibile, conosciamo più di una persona che potrebbe davvero arrivare a farlo.

Lutto videoludico

Dopo aver stabilito quali sono le reazioni più comuni alla fine di una storia, vediamo come tutto questo si rapporta al mondo dei videogiochi. Proprio di recente, in questo ambito abbiamo dovuto affrontare una "perdita" abbastanza importante: con Uncharted 4 abbiamo infatti salutato per sempre Nathan Drake, dopo che l'avventuriero ci ha accompagnati per quasi dieci anni attraverso due generazioni di console. Per gran parte della sua durata, Fine di un Ladro ci è sembrato un lungo saluto che Naughty Dog ha voluto farci vivere insieme al suo eroe, congedatosi in modo onesto ma comunque insopportabile per chi aveva sviluppato un certo livello di affezione nei suoi confronti. Come abbiamo già detto, i sentimenti finora descritti possono essere visti come una normale espressione del nostro essere umani, propensi ad affezionarci a persone e luoghi.

Nathan Drake è l'ultimo ad averci salutati
Nathan Drake è l'ultimo ad averci salutati
Impossibile non innamorarsene davvero!
Impossibile non innamorarsene davvero!

Anche quando questi sono un insieme di poligoni e texture che si muovono sul nostro schermo. A questo proposito, c'è da dire che negli ultimi anni i videogiochi hanno compiuto enormi passi nel rappresentare i loro protagonisti, usando le tecnologie più avanzate di cattura facciale e campionamento vocale per trasportare al loro interno le performance di attori veri e propri. In questo modo, i titoli più importanti possono contare su un impianto interpretativo che non ha davvero nulla da invidiare al cinema. Ma la verità è che i videogiochi sono sempre riusciti a scatenare questi effetti, anche quando la tecnologia non era così all'avanguardia. Guybrush Threepwood era un ammasso di pixel che si muovevano sullo schermo, eppure dopo aver vissuto le avventure di Monkey Island molti di noi hanno sviluppato nei suoi confronti un livello di affezione quasi inarrivabile, che oggi ci porta a pensare a lui come a un vecchio amico d'infanzia che non rivediamo da tanto tempo. La verità è che con un mouse o un joypad in mano, gli effetti della parola fine si accentuano. Non lo diciamo per tirare acqua al nostro mulino visto che su questo sito ci occupiamo di videogiochi, ma perché il motivo è dettato da una differenza ben precisa. Se gli altri tipi d'intrattenimento ci permettono d'immedesimarci nei personaggi conservando un punto di vista differente dal loro, quello elettronico ci dà la possibilità di pensare come se fossimo nella loro testa. Per quanto forte, la relazione con Walter White non sarà mai come quella che abbiamo con Geralt, perché quando giochiamo noi siamo Geralt. Lo guidiamo nella sua avventura, accompagnandolo e affrontando insieme a lui ogni pericolo e ogni scelta che gli si pari davanti. Maggiore è il nostro coinvolgimento nei confronti di un personaggio videoludico, maggiore diventa la nostra propensione a entrare nei suoi pensieri, anticipando eventuali mosse o preoccupandoci per il suo futuro. Giocando a The Witcher 3, a qualcuno sarà capitato di flirtare (e fare qualcosa in più) con Triss, pensando poi alle conseguenze che questo avrebbe potuto avere sulla burrascosa relazione di Geralt con Yennefer. Con un coinvolgimento emotivo così forte, ci appare a questo punto perfettamente normale la sensazione di profonda tristezza dovuta all'impossibilità di continuare a vivere in prima persona il racconto che fino a quel momento ci ha assorbiti in via totalizzante. Elaborare una sensazione di lutto è un processo intimo e personale, e ognuno di noi lo fa a modo suo: per anni, dopo aver terminato il primo Dune, il sottoscritto continuava di tanto in tanto a rigiocarlo partendo da capo, per rivivere la storia di Paul Atreides. Non era ovviamente come giocarlo per la prima volta, visto che ogni situazione era ormai conosciuta a memoria, ma era quasi come sfogliare un album di ricordi riguardanti un forte legame interrottosi con quella maledetta parola fine. È normale che Geralt, Nathan e tutti gli altri ci manchino, perché anche se rappresentati da pixel sono esseri umani come noi: per fortuna, troveremo sempre qualcun altro pronto a colmare quel senso di vuoto.