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L’inizio della fine?

Vendite che diminuiscono, negozi che chiudono, azioni che cadono: i segni dell'apocalisse per GameStop?

SPECIALE di Rosario Salatiello   —   03/04/2017

GameStop chiuderà 150 negozi. La notizia è rimbalzata qualche giorno fa in via non ufficiale, per poi trovare conferma in occasione della rituale conferenza dedicata ai risultati fiscali della catena nell'ultimo quarto del 2016. Ulteriori dettagli sullo stato degli affari di GameStop sono poi emersi dallo stesso evento, permettendo alle cassandre di Internet di prevedere in tempi brevi la fine dell'intera società sfruttando come cassa di risonanza le antipatie sollevate da GameStop dopo la recente bomba del "Circle of Life". In comune tra i vari quadri apocalittici dipinti da varie fonti ci sarebbe una sorte simile a quella di Blockbuster, ex colosso dedicato all'home video uscito dalle nostre vite dopo l'affermazione di Netflix e altri servizi online. Le tantissime somiglianze tra i modi in cui i mercati di entrambi i settori si sono evoluti porterebbe in effetti a pensare che prima o poi GameStop potrebbe subire la stessa sorte di Blockbuster, ma come stiamo per vedere sono presenti anche diversi elementi in grado di suggerire cautela nell'anticipare la fine di tutto.

GameStop chiuderà 150 negozi, ma è ancora presto per prevedere la sua bancarotta

Numeri e considerazioni

Come accennato poco sopra, dai risultati fiscali di GameStop sono arrivati segnali negativi particolarmente importanti, perché all'interno dell'ultimo quarto del 2016 rientrano le festività di Natale e del Ringraziamento. Si tratta infatti di periodi in cui tipicamente i consumatori si scatenano negli acquisti, ma al contrario GameStop ha visto calare del 13,6% il volume di vendite globale, con risultati particolarmente deludenti per quanto riguarda la vendita di videogiochi nello specifico: meno 29,1% per le console e meno 19,3% per i videogiochi, segno che le abitudini dei videogiocatori nei confronti del tradizionale rapporto col negozio fisico sta cambiando sempre più. Non è un caso che le azioni di GameStop siano crollate del 13% subito dopo quanto mostrato durante la conferenza stampa, propagando le turbolenze anche tra gli investitori.

L’inizio della fine?

Il CEO Paul Raines ha definito le difficoltà "venti contrari", che non possono essere affatto ridimensionati a una semplice brezzolina. La concorrenza sul mercato del nuovo è infatti sempre più grande e agguerrita, guidata da un gigante dell'e-commerce come Amazon in grado di garantire prezzi bassi e consegne a domicilio perfette al day-one. La società fondata da Jeff Bezos insieme ad altri grandi rivenditori dentro e fuori Internet ha aggredito ormai da tempo il mercato videoludico, proponendo offerte sempre più aggressive spesso fuori dalla portata di GameStop. Colossi come Amazon, Best Buy e Walmart hanno infatti dalla loro la possibilità di ammortizzare le vendite a basso prezzo in ambito videoludico, con quelle legate a merci di altro genere. Ecco spiegato come sia stato possibile vedere rosicchiare il 29% delle vendite hardware nonostante l'uscita di PlayStation 4 Pro, mentre in campo software il calo di oltre il 19% è stato di certo determinato anche dagli store ufficiali di Nintendo, Microsoft e Sony. Non dimentichiamo a questo punto il mercato dell'usato, sul quale GameStop ha fondato gran parte delle proprie fortune nonostante alcuni dubbi sulle politiche adottate, come testimoniato dal già citato Circle of Life. Lo stesso mercato dell'usato è stato storicamente combattuto dai publisher che non vedono un centesimo dal modello di rivendita di GameStop. Se qualche anno fa non ebbe successo l'idea di Electronic Arts d'imporre la "tassa" dell'Online Pass, iniziano ora a emergere modelli differenti: è il caso di Xbox Game Pass, già definito il "Netflix dei videogiochi" con cui a fronte di un abbonamento mensile da 9,99 euro sarà possibile scaricare un centinaio di titoli liberamente. Non proprio un usato classico, ma comunque un qualcosa in grado di fare concorrenza a quest'ultimo, col benestare di chi i giochi li produce visto che ci potrà guadagnare qualcosa: un motivo più che valido per far sì che i publisher caldeggino Xbox Game Pass anche su altre piattaforme, colpendo GameStop direttamente al suo cuore in caso di successo del "modello Netflix" anche in ambito videoludico. Pure stavolta, non è un caso che dopo l'annuncio di Microsoft le azioni della catena di vendita siano calate dell'8%.

Diversificazione già in atto

Appurato che per GameStop esistono venti di tempesta, vediamo come si sta muovendo l'azienda per evitare di subire davvero la stessa sorte di Blockbuster. In primo luogo, il CFO Rob Lloyd ha dichiarato che le chiusure dei 150 negozi sono parte di una strategia a lungo termine, lanciata nel 2011 per ottimizzare le risorse e servire al meglio i clienti. Now Loading ha provato a dare una spiegazione ai negozi che verranno chiusi, legandola all'eccessiva presenza di GameStop in diverse città americane dove è possibile trovare anche più di un punto vendita all'interno dello stesso centro commerciale.

L’inizio della fine?

Emblematica è la situazione di Clinton, un sobborgo di Detroit nel Michigan, dove GameStop possiede tre diversi negozi nel raggio di neanche due chilometri, due dei quali posti a circa 300 metri di distanza tra loro. Con un livello di penetrazione sul territorio così capillare, la chiusura di 150 negozi da parte di GameStop davanti a segnali di vendita non incoraggianti non sembra poi così foriera di sventure, soprattutto se si considera che essi non rappresentano neanche il 3% dei punti vendita esistenti in tutto il mondo. Se è vero che coi videogiochi le cose non vanno benissimo, non si devono dimenticare le altre attività messe in piedi negli ultimi anni da GameStop. Una di queste è la divisione Technology Brands, che attraverso rivenditori come Spring Mobile (acquistata nel 2013) vende cellulari: per lei nell'ultimo quarto del 2016 c'è stato un incremento del 44% nelle vendite. Sorte simile anche per la divisione Collectibles dedicata al merchandising, che tramite negozi fisici e online (il famoso sito ThinkGeek è stato acquistato da GameStop nel 2015) ha visto aumentare le sue vendite del 68%. Proprio alla luce di questi dati, a fronte di 150 negozi tradizionali che verranno chiusi nel 2017 GameStop ne aprirà 65 di tipo Technology Brand e 35 di tipo Collectibles. Tornando ai nostri cari videogiochi, non dimentichiamo GameTrust, il marchio con cui GameStop si è dato al publishing stringendo accordi importanti: il primo è stato quello con Insomniac Games per portare sulla piazza Song of the Deep, dal quale GameStop ha ottenuto risultatati incoraggianti. Il secondo progetto vedrà invece coinvolto il team Ready at Dawn per Deformers. Di strategie in atto per contrastare i cali nelle vendite tradizionali, insomma, ce ne sono già diverse. Per questi motivi, ci sembra che per GameStop il momento di fare la stessa fine di Blockbuster non sia ancora arrivato.