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Skynet è ancora lontano

Si discute spesso di grafica, gameplay, e di ambientazioni dei giochi, ma tra il vociare del pubblico si sente di rado nominare l'intelligenza artificiale

SPECIALE di Aligi Comandini   —   09/05/2017

Pochi medium possono vantare un'evoluzione rapida e costante quanto quella dei videogiochi. In quanto prodotti la cui qualità dipende da un quantitativo mostruoso di fattori, infatti, i videogame possono crescere e svilupparsi in una miriade di modi diversi: basta un artista abile, un game designer decente o una mente piuttosto sveglia a trovare la chiave di volta necessaria a superare le barriere imposte dalla generazione precedente, e di anno in anno qualcuno riesce praticamente sempre a fare il passo necessario ad alzare l'asticella, o perlomeno a cascare così rovinosamente nel tentativo... da convincere gli altri a cambiare strada. C'è un particolare elemento, però, che le dovute migliorie negli anni le ha viste solo col binocolo, un pezzo del puzzle che viene fin troppo spesso lasciato da parte in favore di una maggior spettacolarità o di rovi ben più facili da estirpare: l'intelligenza artificiale. Pare assurdo, ma quando si tenta di riportare alla mente i titoli più importanti legati allo sviluppo di questa fondamentale parte dell'esperienza ludica, la memoria deve tornare indietro di anni - se non addirittura decenni - prima di trovare un degno candidato. Oggi cerchiamo di analizzare i motivi di questa curiosa situazione e di esplorare i suoi possibili sviluppi futuri, prendendo in considerazione i casi più interessanti spuntati recentemente nel panorama e i titoli che ne rappresentano la massima espressione. Partiremo da molto in là, insomma, per arrivare fino a un gioco come Alien: Isolation, che del cervellone programmato dell'antagonista fa la sua maggior forza (e peraltro cade a fagiolo proprio con Alien: Covenant, in uscita al cinema e forte di una partnership a tema con AMD).

In che stato è l'intelligenza artificiale nei giochi? E quali sono i titoli che meglio lo esemplificano?

Il senso degli ebeti

Moltissimi giochi costruiscono il loro divertimento su un senso continuo di onnipotenza del proprio alter ego: è un principio che non popola esclusivamente prodotti come i Dinasty Warriors, ma anche una miriade di sparatutto moderni, dove la campagna principale pone le sue fondamenta sui corpi di centinaia di avversari virtuali.

Skynet è ancora lontano

Chiaramente il modo più facile per massimizzare questa sensazione di potenza è rendere inermi questi antagonisti, mentre, se si decide di applicare un sistema di combattimento più complesso e costruito attorno alle effettive capacità di chi gioca, diventa sufficiente creare dei pattern comportamentali (in pratica serie di azioni fisse che i nemici compiono in base a posizionamento e comportamento del giocatore) più o meno complicati a cui reagire. Bastano, in parole povere, mosse matematicamente ben inserite all'interno di quell'equazione nota come "battaglia" per creare le giuste soddisfazioni in un utente (anche veterano); anzi, la prevedibilità delle azioni dei nemici massimizza la percezione di "padronanza" di un determinato sistema, poiché basta portare al limite i tempi di reazione necessari alle risposte e aumentare gli attacchi per osservare il livello di sfida che sale. Risulta quindi chiaro come non serva necessariamente un nemico cervellone perché un giocatore si diverta, basta che le sue azioni siano abbastanza variegate e ben studiate da farlo sembrare tale, o che l'intero sistema sia costruito attorno ad altri aspetti centrali. E, in tutta sincerità, il senso del ragionamento lo cogliamo, ma è proprio a causa di questa filosofia che le intelligenze artificiali si sono sviluppate poco e male negli anni, facendo piccoli passi laddove altri elementi sono cresciuti a dismisura. Davvero uno strano fenomeno, se si considera quanto bene avevano funzionato i primi esperimenti complessi dedicati all'argomento.

La paura fa neurone

Prendete gli sparatutto, ad esempio. Ad oggi alcuni tra i titoli più significativi ed evoluti dal punto di vista dell'intelligenza artificiale risalgono agli albori del genere. Halo, alle difficoltà più elevate, può vantare nemici incredibilmente mobili e reattivi, che usano le coperture e si spostano con furbizia, e il primo Half Life con i suoi marine risulta superiore a molti shooter moderni, dove i nemici sono solo carne da cannone per armi sempre più esagerate.

Skynet è ancora lontano

Particolarmente rinomato è poi F.E.A.R. un pioniere dell'intelligenza artificiale adattiva e coordinata, in cui i nemici non solo si muovevano per la mappa con agilità semirealistica e fiancheggiavano il giocatore con grande intelligenza, ma si spostavano in gruppo creando delle strategie complesse capaci di arricchire enormemente le sparatorie. Ora, cogliete la profondità del dilemma? Si parla di un gioco del 2005, dopo il quale passi avanti all'interno del genere ne sono stati fatti davvero pochi. Questo perché le intelligenze artificiali sono molto difficili da programmare (lo stesso F.E.A.R. per affermazione degli stessi sviluppatori usava qualche trucchetto capace di far apparire i pattern nemici più elaborati di quanto in realtà fossero) ed è necessario portarle realmente al livello successivo perché possano rappresentare il fulcro del proprio titolo, perciò si preferisce usare delle scorciatoie. Messa in conto la difficoltà del tutto, si capisce dunque come mai le evoluzioni nel campo spazino tra numerosi generi e siano quasi sempre parziali, passando da aspetti del combattimento ad altri elementi perfezionati man mano. Conviene pertanto andare ad analizzare i singoli fattori, prendendo come esempio dei videogame particolarmente importanti per il loro sviluppo: partiamo col pathing, o pathfinding che dir si voglia, ovvero la capacità degli avversari di arrivare dal punto A al punto B in vari modi e di cambiare percorso in base agli input provenienti dall'esterno.

Movimento e calcolo

Il gioco che forse su console ha dato una sferzata all'intero genere action da questo punto di vista è The Last of Us. Sì, lo sappiamo, il titolo Naughty Dog aveva aspetti negativi legati agli alleati, che risultavano invisibili per i nemici e si prodigavano in scarpinate tra i pericoli alquanto ridicole.

Skynet è ancora lontano
Skynet è ancora lontano

Tuttavia, se si parla di nemici umani, pochi titoli hanno raggiunto la complessità di quest'opera: gli avversari non solo infatti ripercorrono le mappe in modo differente ad ogni caricamento, ma sono in grado di sfruttare le stesse aperture usate dal giocatore per navigare gli edifici, lasciando di fatto pochissime zone sicure in cui stare. Le avventure di Ellie e Joel sono una prova potente di quanto un'intelligenza nemica evoluta possa rendere scontri meccanicamente scarni ricchissimi di tensione e potenza emotiva, e in parte il pathing di quel gioco è stato riapplicato nell'ultimo Uncharted, che ha giovato moltissimo della cosa. Se al contrario vogliamo tornare momentaneamente a F.E.A.R., gli aspetti da considerare sono l'adattabilità e la collaborazione tra nemici, cose che si sono viste già nei Metal Gear Solid (nel secondo capitolo fu abbastanza epocale osservare i nemici che "controllavano" le stanze coordinandosi con dei gesti) e che proprio col genere stealth hanno un forte legame, visto che uno dei migliori esponenti per esemplificarle è lo storico Thief. Ancora oggi il lavoro di Looking Glass gode di nemici in grado di cambiare completamente tragitto e comportamento in base ai suoni percepiti e alle modifiche operate all'ambiente circostante, ed è quasi un paradosso che opere più moderne della stessa tipologia (persino l'eccellente Dishonored, suo successore spirituale, o il reboot recente) risultino sensibilmente inferiori in tale elemento. E proprio qui arriviamo al sopracitato Alien: Isolation di Creative Assembly, che ha rappresentato una notevolissima eccezione alla regola: stealth horror esplorativo di grande atmosfera, incuteva terrore vero proprio a causa dell'incredibile intelligenza dello xenomorfo, capace di prendere il giocatore di sorpresa, di nascondersi, e di elaborare strategie complesse che costringono a sudarsi la pagnotta. Per la cronaca, l'importanza di questo gioco sta proprio nella sua capacità di dimostrare cos'è un'intelligenza artificiale di qualità, anche se applicata a un singolo nemico: non una sfida insormontabile, ma un antagonista capace di mettere il giocatore sull'attenti di continuo, costringendolo a pensare come non mai.

Il futuro non è stupido

Attenzione comunque, non è il caso di disperare per il potenziale sprecato: l'intelligenza artificiale non è necessariamente ferma alle glorie passate, seppur la sua evoluzione non risulti esplosiva come quella di altri costituenti del videogioco. Molti sviluppatori hanno colto il suo potenziale, e pensato bene di rafforzare i sistemi dei propri titoli applicando soluzioni originali all'adattabilità tipica dei nemici e ai loro comportamenti.

Skynet è ancora lontano
Skynet è ancora lontano

Prendiamo ad esempio Splinter Cell: Blacklist, dove in base al livello di allerta le guardie si fanno più tese, numerose e difficili da aggirare, e agiscono - in modo semi realistico - scattando come ossesse verso la zona dove è stato percepito il pericolo o aggirandola il più rapidamente possibile, e rendendo praticamente obbligatorio un approccio ragionato (le missioni coop, affrontate singolarmente, sono una sfida seriamente brutale per via del gran numero di nemici). Meno bene un'applicazione all'acqua di rose di movimenti simili in Watch_Dogs, che soffre della tipica "sindrome dell'open world" ove il cervello virtuale degli avversari viene praticamente sacrificato sull'altare delle dimensioni del mondo e dell'impatto tecnico. Eppure anche nei titoli dotati di mondi aperti qualcosa si è smosso: Breath of the Wild è riuscito a sfruttare nemici incredibilmente reattivi, che modificano completamente le proprie azioni in base agli stimoli a cui il giocatore li sottopone e, per una santa volta, appaiono "vivi" (pur essendo comunque raggirabili in vari modi). Nel mentre, vari sviluppatori di sparatutto stanno sperimentando coi comportamenti nemici - seppur la loro complessità vada spesso di pari passo con la potenza dell'hardware - giochi di guida come i Forza hanno tentato di "umanizzare" lo stile dei piloti avversari con il Drivatar, e persino un esperimento incredibile come Black & White - gioco rivoluzionario ai tempi, perché basato su una creatura divina che poteva venir addestrata e mutava caratterialmente in base alle azioni del suo "padrone" - ha forse in parte influenzato The Last Guardian e il suo Trico (a cui è difficile non affezionarsi, nonostante i capricci durante gli ordini) o progetti più concettuali e costruiti sulla narrativa come il curioso Façade. È molto bello, dall'esterno, osservare questi mutamenti, perché proprio per la sua scarsa mobilità durante gli anni, la landa delle intelligenze artificiali risulta ad oggi ancora brulla e inesplorata, ed è quindi terreno fertile per grosse evoluzioni nel prossimo futuro. Non vediamo l'ora di osservarle, a patto che non si passi da zero a Skynet in una botta sola... potrebbe essere un problema.