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Come WarioWare insegna i fondamenti del game design

La serie WarioWare è maturata attorno all'idea del microgioco: una base che racchiude i fondamenti del game design rivelandosi un manuale per sviluppatori in erba.

Come WarioWare insegna i fondamenti del game design
SPECIALE di Lorenzo Mancosu   —   02/12/2023

"Microgiochi": è nelle acque di questa particolare definizione che s'è deciso di cingere l'ispirazione artistica alla base di opere come WarioWare: Move It!, una corrente vecchia quanto lo sono le fatiche della Grande N, dal momento che condensa nei suoi confini l'essenza della grande età dell'oro dei 'minigiochi' che costellavano le produzioni per Nintendo 64, ma anche l'antichissima eredità dei Game & Watch tascabili creati dal leggendario Gunpei Yokoi. Proprio attorno alla figura di Wario, che nei primi anni 2000 sembrava impegnato a tracciarsi un percorso molto simile a quello del cugino in rosso, è fiorita una filosofia di game design per lo più inedita, un metodo di fruizione totalmente diverso del videogioco moderno, un po' come se i creativi della casa di Kyoto avessero anticipato i tempi di circa vent'anni, presentando al pubblico una specie di piccolo TikTok in salsa videoludica.

Oggi WarioWare: Move It! è visto come un grande attore nel sottobosco dei party game, di quei videogiochi che sono perfetti anche per chi non gioca ai videogiochi, di quelle produzioni ideali per scaldare una serata in allegria assieme a parenti e amici che non hanno mai impugnato un controller: tuttavia, proprio in ragione di questa sua straordinaria qualità, viene spesso sottovalutato dai puristi del medium. In realtà nei meandri dei suoi microgiochi si nasconde la scintilla che ha reso l'industria ciò che è oggi, fra centinaia di piccole lezioni di game design che riescono a ridurre l'intrattenimento all'essenziale, dipingendo quadri non dissimili dal pitch di qualsiasi grande videogioco, ovvero l'idea attorno alla quale matura anche il successo delle opere più colossali. In questo senso, WarioWare si è presentato fin dal 2003 come un piccolo corso di game design tascabile.

Dal microgioco... al videogioco

L'originale WarioWare, Inc: Mega Microgame$ fu proprio un ricettacolo colmo di antiche idee di design
L'originale WarioWare, Inc: Mega Microgame$ fu proprio un ricettacolo colmo di antiche idee di design

La storia della serie WarioWare è molto particolare: le radici del progetto furono infatti gettate nella seconda metà degli anni '90, durante lo sviluppo della celebre suite Mario Artist che infine vide luce solamente in Giappone: il segmento Polygon Studio, infatti, avrebbe dovuto ospitare una modalità chiamata "Sound Bomber" che consisteva proprio in un rapidissimo susseguirsi di minigiochi. Il risultato di tale scelta? Gli uffici della compagnia finirono per essere letteralmente inondati da decine di piccoli post-it sui quali i creativi di Nintendo EAD appuntavano i pitch di altrettanti videogiochi.

La situazione sfuggì completamente di mano quando Nintendo R&D1 fu messa all'opera sul primo capitolo della serie WarioWare: tutti, anche gli sviluppatori e gli artisti che non lavoravano attivamente sul progetto, annotavano su dei post-it l'idea alla base di un microgioco prima di appiccicarli direttamente sulla scrivania del malcapitato Hirofumi Matsuoka. A quel punto, il direttore assegnava ciascun microgioco approvato a uno sviluppatore differente, coinvolgendone a dozzine e spalancando l'immenso ventaglio di stili artistici e interpretazioni diverse che sarebbe divenuto un cardine della serie.

'Spazzola!'
"Spazzola!"

Leggenda vuole che il management di Nintendo non fosse neppure al corrente del progetto, che tutto nacque spontaneamente dagli sviluppatori del cosiddetto "WarioWare All-Star Team", una squadra che, trovato l'appoggio del padre di Samus Aran Yoshio Sakamoto, scelse quasi per caso di ancorare tale follia al personaggio di Wario. C'era tuttavia un'altra importante scrivania dalla quale era necessario passare ed era ovviamente quella di Shigeru Miyamoto: si dice che il decano della casa l'apprezzo tantissimo proprio in ragione dell'estrema facilità d'uso e della rapidità con cui si rimaneva incollati allo schermo, anche e soprattutto senza una conoscenza profonda dei videogiochi. "Saita, Saitan, Saisoku": furono queste le parole che scelse per presentarlo al pubblico, ovvero "Di più, Più brevi, Più veloci".

Ogni microgioco, infatti, aveva la caratteristica di ancorarsi a un singolo pilastro di game design - ovvero il parametro fondamentale di qualsiasi produzione - incarnato da una semplice parola, per l'esattezza un verbo che fosse estremamente immediato. "Friggi!", appariva brevemente sullo schermo, prima che l'utente dovesse spaccare un uovo col tempismo necessario per far atterrare il contenuto in una padella; "Mira!", era il criptico messaggio rivolto al giocatore, e questi doveva utilizzare un idrante per spegnere il palazzo in fiamme che si prendeva la schermata. Tutto si svolgeva nell'arco di pochi istanti, in un numero di battiti variabile, tratteggiando le singole tessere del grande mosaico che sarebbe poi divenuto WarioWare.

L'essenza del videogioco

A volte basta uno sguardo alla schermata per interiorizzare subito quel che bisogna fare
A volte basta uno sguardo alla schermata per interiorizzare subito quel che bisogna fare

Metti una palla davanti a un essere umano di qualsiasi età, in qualsiasi epoca, e questi l'afferrerà, le darà un calcio, o la farà rotolare: è sufficiente mettere alla prova l'istinto per scovare le origini comuni di alcuni fra i più popolari giochi del pianeta. È possibile replicare lo stesso incantesimo in un mondo virtuale? È proprio questa la domanda che i game designer si pongono da più di mezzo secolo, riuscendo a scovare negli anni qualche risposta convincente. Super Mario Bros, per esempio, non fece utilizzo di alcun genere di tutorial complesso, eppure riuscì, solamente per mezzo di indizi visivi, a comunicare a chiunque ciò che bisognava fare nel celebre Mondo 1-1: semplicemente, correre e saltare.

Al cuore, quello storico livello potrebbe tranquillamente costituire un microgioco tipico di WarioWare: "Salta!", potrebbe apparire sulla schermata, invitando il giocatore a scavalcare un fossato nell'arco di pochi secondi. Attorno a un concetto tanto sciocco e immediato è maturata una fra le serie più famose di tutti i tempi, ma WarioWare non ha mancato di offrire nel tempo uno spaccato dell'intera evoluzione del medium: nei microgiochi accompagnati dal verbo "Evita!" si celano infatti molte delle meccaniche alla base del combattimento in due dimensioni, alcuni livelli Boss sono invece prototipi fatti e finiti, mentre non mancano citazioni ai primordiali "Wall Games" elettronici e omaggi a dozzine di altri progetti risalenti al medioevo dell'industria.

Se in WarioWare: Move It! si nasconde il futuro dei videogiochi, una cosa è certa: non sarà un futuro noioso
Se in WarioWare: Move It! si nasconde il futuro dei videogiochi, una cosa è certa: non sarà un futuro noioso

Oggi siamo abituati a considerare i videogiochi degli artefatti complicatissimi, dei marchingegni composti da dozzine di componenti che vengono lavorati da migliaia di persone: se da una parte la complessità è inevitabilmente cresciuta, il processo creativo ha sempre inizio da una manciata d'idee stilizzate che si possono condensare nei confini di un microgioco. Abbiamo esempi di videogiochi come Celeste, nato da una minuta demo arcade realizzata per Pico-8 durante una game jam e infine candidato al premio per il Game of the Year, mantenendo praticamente invariate le meccaniche di allora, oppure Vampire Survivors, che sulla semplicissima architettura da single-stick-shooter - asciutto come un qualsiasi microgioco - ha costruito un successo planetario.

Tutte le opere condividono infatti la medesima genesi, ovvero la stesura di una singola idea o una manciata di assiomi come quelli che i membri del WarioWare All-Star Team disseminavano quotidianamente per le scrivanie di casa Nintendo. Chissà, magari anche il Mario Elefante del recente Super Mario Wonder deriva da un post-it che è svolazzato a lungo per i corridoi degli uffici di Kyoto... o magari esiste una soluzione ancora più semplice: dando ascolto alle scintille d'immaginario infantile che anche in età adulta ci accompagnano ogni giorno, mettendole su carta e trattandole con dignità, si possono realizzare cose straordinarie.