Ci sono alcuni videogiochi che nel corso del tempo si rivelano delle esperienze irripetibili, non tanto a causa di determinate caratteristiche tecniche o per qualità evidenti che si possono replicare facilmente nei confini di un seguito, ma in ragione di una sorta d'incantesimo che li avvolge, una magia inspiegabile che, anche quando le singole componenti sembrano fare a pugni l'una con l'altra, riesce a far brillare l'insieme di una luce accecante. Durante l'estate del 2000 ne vide luce uno che non poté neppure fare affidamento su un documento di progettazione ufficiale, che nacque quasi in maniera spontanea, ma che finì per lasciare un'impronta indelebile nel genere dei giochi di ruolo d'azione, fissando un'asticella che ancora oggi sembra irraggiungibile per i suoi numerosi eredi: quel videogioco, che si chiamava Diablo 2, ha appena compiuto venticinque anni.
David Brevik, Erich Schaefer e Max Schaefer non erano sviluppatori comuni. Sì, in seguito alla nascita della società Condor avevano accettato qualsiasi lavoro gli capitasse a tiro per poter sbarcare il lunario, ma fin dal momento della fondazione si erano posti un obiettivo molto preciso: realizzare un gioco di ruolo interamente focalizzato sul combattimento che riuscisse a rompere tutti gli schemi del genere.
Proprio per questa ragione il prototipo di Diablo non era stato assolutamente capito dagli editori della sua epoca: era un'idea troppo lontana dalle mode del momento, troppo diversa dai software che occupavano le metrature più importanti dei negozi. Ma il caso volle che, nella cornice dell'evento CES di Las Vegas, fecero amicizia con un altro gruppo di giovani autori che s'innamorarono di quel progetto, cogliendone subito l'immenso potenziale. Quegli sviluppatori erano ragazzi di Blizzard Entertainment capitanati da Allen Adham, e quell'incontro fu decisivo per trasformare Condor nella sede della compagnia nota come Blizzard North.
Il lancio di Diablo nel 1997 fu un evento dirompente. Per mesi non si parlò d'altro, perché le intuizioni di Blizzard di puntare sul combattimento in tempo reale e d'integrare il comparto multigiocatore avevano scatenato un terremoto fra i giocatori PC, trasformando il prototipo di Condor in uno fra i maggiori blockbuster del decennio. Dal momento che la quantità di preordini si rivelò impressionante, Blizzard confermò il seguito a pochi giorni di distanza dal momento del lancio, ma gli sviluppatori di Blizzard North non erano neppure riusciti ad attendere la conferma ufficiale: anziché prendersi una pausa per riflettere e preparare la documentazione per il nuovo progetto, si misero immediatamente all'opera sul sequel, anche e soprattutto per una questione di orgoglio personale.
David Brevik era ossessionato dai "problemi" che avevano caratterizzato il primo capitolo, mentre Erich Schaefer non aveva mai chiuso le fedeli tabelle Excel nelle quali progettava gli equipaggiamenti, le abilità e tutti gli altri elementi statistici; "Un documento di design ufficiale e completo non è mai esistito, semplicemente ci siamo messi a progettare cose nuove", avrebbe dichiarato in un'intervista nel post-mortem. Nel frattempo, il coinvolgimento dell'originale Blizzard di Irvine si sarebbe fatto decisamente più massiccio - specialmente sul fronte della scrittura - generando un clima di accese discussioni e anche di feroci litigi che finì per conflagrare in un'opera unica nel suo genere, una di quelle che maturano una volta per generazione: ancora oggi, venticinque anni dopo, Diablo 2 è percepito come l'apoteosi del genere di riferimento, il benchmark irraggiungibile dal quale tutti gli autori moderni sono obbligati a trarre ispirazione.
La nascita di Diablo II
David Brevik ha sempre rappresentato il punto di riferimento creativo della serie Diablo, dunque è proprio dalla sua mente che è scaturita la visione alla base del secondo capitolo. L'idea centrale dietro il progetto era quella d'allargare il respiro del mondo, passando dal grande dungeon multi-livello del primo episodio alla messa in scena di diverse ambientazioni aperte in un mondo coerente, inseguendo la creazione di un vero universo virtuale. Se già di per sé questa scelta si rivelò vincente e finì per stravolgere gli assiomi del genere, fu l'incontro con la sede sud di Blizzard a portare la più importante ventata di freschezza. Mentre in passato il leggendario autore Chris Metzen si era giusto limitato ad abbozzare le sfumature della "lore" di Diablo, in questo caso fu affiancato da penne del calibro di Stieg Hedlund e Robert Vieira, che aggiunsero il carico da novanta dedicando grande attenzione a tutto ciò che era narrazione.
Anziché limitarsi a offrire una fredda ambientazione desertica o un generico bioma paludoso, fu scelto di dar vita alla città di Lut Gholein, ispirata a una visione decadente dell'antico Egitto e del medio oriente ottomano, di caratterizzare Kurast, che incarnava la fantasia precolombiana e il mistero legato alle rovine dei Maya, di mescolare eclissi, monasteri in rovina e battaglie campali per intessere una grande ragnatela grim fantasy diversa da tutte le altre, più cruda di tutte le altre, ammantata in un'atmosfera che era un distillato di disperazione e rassegnazione. Phil Shenk si fece carico della direzione artistica, specialmente per quel che riguardava i personaggi, affiancato da illustratori come Alex Munn, Eric Sexton, ma soprattutto Gerald Brom, autore della copertina e nome di spicco fra gli artisti di Dungeons & Dragons e Magic: L'Adunanza.
La commistione fra l'immaginario di Blizzard North e gli sceneggiatori della sede a sud produsse la celebre miscela disorientante fra la matrice religiosa e la sua cupa concretizzazione, fissando quello che sarebbe divenuto lo standard non solo per la corrente dei videogiochi aRPG, ma per qualsiasi opera interattiva che volesse avvicinare le atmosfere grim e dark fantasy. A Blizzard North la narrazione non piaceva per niente, gli sviluppatori erano sempre rimasti concentrati solo sui sistemi fregandosene altamente di tutto il resto, al punto tale da trovarsi spesso a litigare con i colleghi del sud, ma fu proprio quella diversità negli intenti a produrre un netto salto di qualità.
C'è una certa "spiritualità" in Diablo II, come se il viaggio dei protagonisti fosse stretto in una morsa sovrannaturale, forse anche in ragione delle musiche di Matt Uelmen che contribuirono a infondere un senso d'impotenza nelle traversate attraverso il mondo distrutto. A tal proposito non bisogna dimenticare l'enorme contributo fornito da Blizzard Entertainment attraverso i filmati cinematografici realizzati da Nicolas Carpenter: durante quell'epoca presiedeva un reparto del quale si parlava come della "Pixar dei videogiochi", una delle principali armi segrete alle spalle del successo di brand come Warcraft e Starcraft.
Anche se fu mantenuto meno dell'1% del codice di gioco originale, Brevik e i fratelli Schaefer misero al centro del progetto un consistente potenziamento delle dinamiche del passato. Anzitutto le classi giocabili crebbero accogliendo Amazzone, Negromante, Barbaro, Strega e Paladino, ma a fare la differenza fu l'attenzione dedicata alla personalizzazione dei personaggi: rimasto stregato da altre opere - specialmente Ultima Online, dal quale era ossessionato - Brevik lavorò con Erik Schaefer per realizzare alberi delle abilità personalizzati che riuscissero a intersecarsi con il nuovo sistema di equipaggiamenti, offrendo un grado di varietà che non s'era mai incontrato in una produzione di questo tipo. Sarebbe stata solo l'ultima delle innovazioni portata dall'universo di Diablo: alla serie, infatti, dobbiamo il moderno sistema di ricompense casuali e soprattutto la classificazione color-coded legata alla rarità degli equipaggiamenti, ma anche la rappresentazione della salute e del "mana" in rosso e in blu, originariamente implementata in Warcraft 2 ma nata da un'idea di Erich Schaefer.
Partiti senza un documento di design, gli sviluppatori di Blizzard North ne confezionarono uno molto raffazzonato strada facendo: in sostanza scrissero una sorta di "lista dei desideri" lunga solo un paio di pagine nella quale furono inserite tutte le funzionalità che non trovarono spazio o che erano poco rifinite nel primo capitolo. Nelle posizioni più alte sedeva il comparto multigiocatore, che si rivelò l'arma segreta della seconda istanza grazie all'introduzione dei server gestiti tramite Battle.net e del sistema di Ladder, elementi che di fatto gli conferirono una longevità totalmente aliena alle opere del genere.
E così, con un'infrastruttura online più solida che mai, una rinnovata attenzione all'elemento narrativo e una serie di sistemi che avrebbero rivoluzionato nuovamente il genere aRPG, Diablo II si presentò il 29 giugno del 2000 dinanzi ai cancelli del mercato.



Fu un trionfo: con oltre due milioni di copie vendute in poco più di un mese, batté ogni record mai fatto registrare nel mercato PC. La cosa più impressionante, tuttavia, fu la resa nel lungo periodo: basti pensare che nel 2008, da report di NPD Group, Diablo II occupava ancora un posto nella Top 10 dei videogiochi retail più venduti, mentre nel 2011 poteva vantare 11 milioni di giocatori attivi sulla piattaforma Battle.net. Accolto all'unisono come un capolavoro, nel tempo è divenuto l'emblema del sequel in grado di capitalizzare sul successo del predecessore, vuoi perché si era limitato a espandere notevolmente il mondo di gioco e la profondità delle meccaniche, vuoi perché riuscì a intercettare con precisione chirurgica l'ascesa della deriva online. La sua reale natura, tuttavia, rimane ancora un mistero, perché da quel giorno di venticinque anni fa né Blizzard Entertainment né Brevik e i fratelli Schaefer sono più riusciti a replicare quello stesso incantesimo, lasciando l'opera imprigionata nel suo tempo, costretta a influenzare in eterno qualunque aspirante successore.
Lord of Destruction
Diablo II richiese tre anni di sviluppo per essere ultimato, di cui oltre un anno di crunch intensivo, ma ancor prima di terminare i lavori il grosso del team si spostò sull'espansione, che era stata pianificata sin dal momento dell'approvazione del progetto. Lord of Destruction avrebbe aggiunto un epilogo narrativo nella forma dell'Atto 5 dedicato a Baal, ma avrebbe soprattutto effettuato un completo stravolgimento delle dinamiche di gioco attraverso l'introduzione di due nuovi classi - l'Assassino e il Druido - nonché la completa ristrutturazione di diverse meccaniche relative agli equipaggiamenti e alle sinergie fra le abilità.
Al di là della qualità dell'offerta, diventò uno dei pacchetti espansione di maggior successo della storia a causa dell'integrazione quasi obbligatoria con l'originale: la patch 1.7 portò diversi cambiamenti all'esperienza di tutti i giocatori, per certi versi "costringendoli" ad acquistare il contenuto aggiuntivo. Se da una parte questa decisione generò forti ondate di lamentele, dall'altra spianò la strada per un nuovo modello di gestione del periodo post-lancio, e non solo per quel che riguarda Blizzard: la casa di Irvine aveva in cantiere Warcraft 3, che avrebbe battuto quasi tutti i record di Diablo II, ma nel 2004 vide luce World of Warcraft, un'opera che fece tesoro degli esperimenti condotti da Blizzard South e finì per influenzare i decenni a venire. Da un certo punto di vista, infatti, Diablo IIsi poteva considerare un antesignano dei moderni giochi come servizi, e probabilmente è per questa ragione che il suo impatto è durato tanto a lungo.
25 anni di "Aura"
Nel corso dei 25 anni successivi il nome "Diablo II" è diventato una sorta di standard aureo quando si parla di videogiochi aRPG, tanto da essere chiamato in causa da tutti i principali autori che hanno scelto di cimentarsi nel genere. Gli sviluppatori di Grinding Gear Games - autori di Path of Exile e del sequel, oggi leader del mercato - hanno dichiarato più volte che il loro scopo era quello di "creare un successore spirituale" di Diablo 2. Lo stesso discorso vale per Sacred, per Titan Quest, ovviamente per Torchlight dei fratelli Schaefer, ma anche per produzioni moderne come Grim Dawn, Last Epoch e Undecember. Solamente nella nostra intervista esclusiva con Jonathan Rogers, game director di Path of Exile 2, Diablo 2 è stato menzionato oltre dieci volte per spiegare determinate scelte creative e di gameplay, una testimonianza pesantissima di quanto la sua influenza sia ancora viva.
Il dato più importante, tuttavia, emerge dal rapporto di Blizzard Entertainment con la serie. Anche nel periodo precedente al lancio di Diablo IV, i direttori Luis Barriga e Joe Shely hanno fatto più volte riferimento alla volontà di "catturare l'atmosfera del secondo episodio". Questo perché la serie Diablo, nonostante sia rimasta sempre molto redditizia, nel corso degli anni ha finito per scontentare numerosi appassionati della prima ora a causa del cambio di prospettiva, generando una situazione di mercato a dir poco unica nella quale sembra prevalere chi riesce ad avvicinarsi maggiormente ai lontani fasti del 2000. Nemmeno le opere prodotte dalla casa di Irvine sono più state immuni a questo genere di confronto.
Diablo II: Resurrected
Il 23 settembre del 2021 è stato pubblicato Diablo II: Resurrected per tutte le piattaforme disponibili. Il pacchetto include il gioco base e l'espansione Lord of Destruction: l'operazione ha ricostruito nuovi asset in 3D creati da zero esattamente sopra quelli originali, inoltre ha limato diversi elementi di qualità della vita e ha corretto i problemi più impattanti legati al bilanciamento stagionale. Si tratta del miglior modo per giocare Diablo II, anche perché è possibile attivare in qualsiasi momento la grafica classica con la pressione di un tasto.
L'eredità del diavolo
In seguito al lancio di Diablo II, Erich Schaefer, Max Schaefer, David Brevik e il producer Bill Roper, che da anni combattevano una battaglia per ottenere più fondi dalla casa madre, hanno presentato le dimissioni per tentare di fare leva sulla compagnia, ma contro ogni pronostico queste sono state accolte senza batter ciglio. Se questi sviluppatori hanno cercato fortuna altrove negli anni a venire - gli Schaefer l'hanno trovata con la serie Torchlight - Blizzard Entertainment non è più riuscita a colmare definitivamente quel vuoto, trovandosi di fronte a una situazione paradossale: nonostante Diablo IV sia stato creato fin dal primo istante come un "game as a service" capace di sopravvivere per anni, al momento sembra difficile che possa raggiungere la stessa lunga vita del secondo capitolo. Nel frattempo, i creatori originali hanno fornito consulenze a Grinding Gear Games sul fronte di Path of Exile, prendendo anche personalmente parte all'evento ExileCon.
La difficoltà che si è vissuta per replicare la formula non è una sorpresa, perché la vera natura dell'opera, andando oltre alle meccaniche di gioco, rimane tutt'ora un grande mistero. Che cos'era a conferirle quell'atmosfera unica nel suo genere? Il design e la rappresentazione estetica? La scrittura del mondo grim fantasy? Le dinamiche da gioco di ruolo? In fin dei conti Diablo II era un titolo piuttosto semplice, un viaggio lungo cinque atti ambientato in piccoli quadri di un mondo distrutto, sorretto da meccaniche di progressione estremamente sbilanciate e inaffidabili, legato a un sistema di generazione del bottino molto meno complesso rispetto a quelli moderni, persino l'intelligenza artificiale si basava su comportamenti semplicissimi. Eppure Diablo II, ancora oggi, non è semplicemente ricordato come il punto più alto della deriva aRPG, ma come uno dei migliori videogiochi della storia.