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Dreams e l'importanza dei “giochi per creare videogiochi”

Il Prof. Bregni della Saint Louis University ci spiega l'importanza Dreams e dei giochi per creare giochi, che insegnano il problem solving e il "coding", che hanno degli elementi costituitivi e una sintassi con regole ben precise, logiche

SPECIALE di Emiliano Ragoni   —   05/04/2020

Dreams è l'ultimo lavoro di Media Molecule, team di sviluppo che è diventato celebre grazie a LittleBigPlanet. Dreams non è un semplice videogioco, ma è un qualcosa che va molto oltre. La nuova esclusiva della Sony, mettendo nelle mani del videogiocatore un potente editor, ha infatti l'ambizione di porsi come un laboratorio creativo, consentendogli di familiarizzare con alcuni concetti base della programmazione. E lo fa con una filosofia ben precisa, applicando il principio che alimenta la gamification, ossia l'utilizzo del paradigma del videogioco per altre finalità. In Dreams la gamification è declinata in un contesto espressamente ludico e infatti è lodevole la scelta da parte dei programmatori di aver creato un ambiente colorato e stimolate, con tutorial sempre molto ben fatti, dove i dualshock diventano l'estensione delle mani e dei sensi.

Ma in che modo un prodotto come Dreams è in grado di avvicinare i giovani alla programmazione? Siamo sicuri che un editor, seppur potente e completo, sia veramente stimolante per i creativi? Per rispondere a questa e ad altre domande lo abbiamo chiesto ad una nostra "vecchia" conoscenza, il Prof. Bregni, docente presso la Saint Louis University che per insegnare la lingua e la cultura italiana agli stranieri utilizza i videogiochi (qui l'articolo dove ci spiega come ha impiegato Assassin's Creed all'interno della sua didattica). Il prof. Bregni ci racconta com'è nato il suo approccio con i "videogiochi per creare videogiochi" sottolineando la loro importanza dal punto di vista pedagogico, attraverso un viaggio ricco di aneddoti che parte di Lego, passando per l'Intellivision della Mattel, il Commodore 64, fino ad arrivare a Dreams.

Gli albori del genere

"Penso un gran bene dei "giochi per creare giochi" sin da quando ero molto piccolo: avevo forse tre anni, e i miei mi regalarono la prima scatola di Lego. Era la metà degli anni '60, e, come mi hanno raccontato anni dopo, psicologi e pedagogisti raccontavano sulle pagine delle riviste e dei quotidiani ai genitori italiani che il Lego era un gioco educativo, che avrebbe insegnato ai bambini il ragionamento logico. A quell'epoca il Lego aveva pochissime scatole "dedicate", nate per costruire oggetti specifici (ne ricordo un paio, una macchinina d'epoca e il trenino); per lo più si trattava invece di scatole con diversi pezzi per costruire una varietà di cose: case, veicoli, oggetti, animali, in parte suggeriti dal manuale d'istruzioni, che incoraggiava poi a crearne di altre, da soli. Volevo una macchinina fantascientifica? Me la costruivo. Mi stufavo? Creavo qualcosa di diverso, un robot o mulini a vento.

Tanti Lego e qualche Meccano dopo (anzi, l'italianissimo Costruttore Meccanico, perché il Meccano vero inglese costava troppo), arriviamo al 1983. Come moltissimi dei ragazzi di allora volevo "imparare a programmare"; ma un computer da casa ("home computer", come si chiamavano all'epoca) come il Commodore 64 costava quasi uno stipendio. Il mio "compromesso" fu comprare un accessorio, un adattatore computer, per la console da videogiochi che avevo, l'Intellivision della Mattel. Costava la metà di un Commodore 64 o di uno Spectrum, ma soprattutto mi faceva gola perché, come diceva la pubblicità, era un computer fatto apposta per crearsi da soli i videogiochi; che poi in pratica era la ragione per cui io volevo imparare a programmare, e con me la maggior parte dei ragazzi di allora. Ma se l'Intellivision ECS costava la metà di un Commodore 64, aveva anche venti volte meno memoria, solo 2k, due kylobite; però al tempo stesso faceva girare una versione speciale del Basic che permetteva di "rubare" i personaggi (gli "sprite") dagli altri giochi Intellivision. Così mi resi conto che "i giochi per creare giochi" erano un po' tutti come il Lego, anche quelli per ragazzi più grandi: quando si cercava di creare qualcosa non c'erano mai pezzi abbastanza, oppure non c'era il pezzo giusto che avrebbe permesso di finire l'opera; allora ci si fermava, si smontava, si ripartiva, si aggiustava di qui e di là finché il progetto, l'idea non funzionava, finché non si riusciva a completare ciò che si voleva costruire. Ecco, era esattamente la stessa cosa per il programmare i giochi con l'Intellivision ECS.

Quello che ho descritto è un procedimento che in pedagogia si chiama "problem solving": i "giochi per creare giochi" insegnano la capacità di risolvere problemi (non "solo" matematici, ma pratici, applicati); insegnano ad affrontare sconfitte e delusioni, inconvenienti non previsti, e a risolverli passo dopo passo, per tentativi. Nell'87 il Commodore 64 era sceso parecchio di prezzo, e me lo comprarono. Più memoria a disposizione (48k utilizzabili) e un Basic più complesso volevano dire maggiori possibilità creative; ma anche maggiore difficoltà e più tempo necessario per creare giochi o anche semplici programmi. Ecco allora la scoperta di altri "giochi per creare giochi", in particolare due software, Pinball Construction Set della Electronic Arts (1983) e Shoot'Em Up Construction Kit della Sensible Software (1987); il primo permetteva di creare dei flipper digitali, l'altro dei giochi spaziali con astronavi da pilotare e alieni da combattere. Come nei Lego, c'erano i "mattoncini", i vari elementi di gioco da compilare insieme; c'erano regole precise, una "sintassi" (non puoi mettere un "mattoncino" di un certo tipo attaccato a certi altri) e c'erano scopi ben determinati da raggiungere (voglio costruire una casetta o un robot? Uno sparatutto verticale come Space Invaders o una variante di Xevious?); la grafica del gioco si costruiva quadratino per quadratino, ogni singolo pixel come dei mattoncini Lego di colori diversi da unire e combinare.

Per questo penso un gran bene di Dreams, perché può insegnare ai vostri figli (e a voi) a pensare, a gestire e risolvere problemi, e a raggiungere uno scopo gratificante. Insegna la struttura del "coding", della programmazione, come si dice oggi, che ha degli elementi costituitivi e una sintassi con regole ben precise, logiche.

Dreams è una versione molto evoluta di un "sandbox game" ("sandbox" è la cassettina della sabbia che si trova nei parchi e nei giardinetti delle case qui in USA, quella che si vede nei fumetti di Linus, per permettere ai bambini, anche a migliaia di chilometri dalla spiaggia, come qui a St. Louis, di costruire castelli di sabbia). Se avete bambini o adolescenti in casa sapete già che adorano Minecraft; adorano anche Fortnite, ma se con quest'ultimo distruggono (il che può essere pure divertente, eh, e infatti lo è), con Minecraft costruiscono, creano.

Dreams e l'importanza dei “giochi per creare videogiochi”

Un collega che impiega Minecraft nella scuola media nel New Jersey per insegnare ai ragazzi elementi d'informatica e "coding", il professor Steve Isaacs, parla con orgoglio delle sue "success stories", le storie di successi che tanto piacciono alla cultura americana; nel suo caso, si tratta di studenti con difficoltà di apprendimento di vario tipo che eccellono nei suoi corsi, dimostrando altissima creatività e abilità di "problem solving" ben al di sopra della norma. Questi studenti, incoraggiati dal loro insegnante, si stanno rendendo conto di avere a loro disposizione in futuro un impiego in un mercato in continua, forte espansione e con ottime possibilità di impiego, quello della codificazione di videogiochi e di esperienze di intrattenimento elettronico più in generale, come la realtà virtuale.

Oltre che professore sono anche amministratore (gestisco il programma di italianistica): come ripeto ai miei studenti, sono convinto che le mie capacità di svolgere rapidamente compiti strutturati e complessi come quelli di un amministratore in un'università nordamericana mi vengano non tanto dallo studio liceale e universitario, né dall'esperienza lavorativa, quanto piuttosto dalle ore e ore passate con il Lego, con l'Intellivision ECS, con Pinball Construction Set, Shoot'Em Up Construction Kit e gli interminabili listati da compilare in Basic. Sono loro che mi hanno insegnato l'arte del "problem solving", che, oltretutto, può trasformare anche compiti tediosi in una sfida, e quindi in divertimento. I videogiocatori amano le sfide, dopotutto. Ed è per questo motivo che ho comprato volentieri Lego Boost, e anche Dreams per Playstation 4: il "problem solving" e le sfide collegate sono sempre stimolanti e gratificanti, a qualsiasi età".

Dreams e l'importanza dei “giochi per creare videogiochi”