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G2A, un viaggio in Polonia, per scoprire i segreti dell'azienda

Siamo stati negli uffici di G2A, dove abbiamo scoperto futuro e storia dell'azienda di Rzeszòw

SPECIALE di Aligi Comandini   —   01/08/2018

Quando siamo volati in Polonia per visitare il quartier generale di G2A a Rzeszòw eravamo convinti di dover affrontare il solito evento tutto business e convenevoli, una classica trafila di riunioni e spiegotti piagata dalla boria tipica delle grandi aziende, che avrebbe fatto poco o nulla per indorarci una amarissima pillola fatta di infiniti dati e ordinati diagrammi. Capiteci, parliamo pur sempre del più grande marketplace digitale legato ai videogiochi, dominatore di un settore dove sono scoppiati parecchi scandali ed è sempre complesso valutare con precisione cosa sia a norma e cosa invece si muova nella cosiddetta "area grigia" della legalità. L'azienda non è certo nota per via delle sue capacità comunicative, ed era difficile prevedere un confronto diretto su tematiche scomode come le key vendute illegalmente o la protezione del consumatore. Invece ad attenderci abbiamo trovato un gruppo di individui perfettamente organizzato e concentrato sul proprio lavoro, desideroso non solo di dare attese conferme alla stampa su questo genere di argomenti, ma anche di farci vivere in prima persona quella Polonia dove G2A ha avuto i natali, e di descriverci per filo e per segno tutte le mosse future di un colosso che non accenna a fermarsi. Oggi cercheremo di riassumere la mole di informazioni che ci hanno trasmesso, senza dimenticare un inaspettato sviluppo che potrebbe cambiare di molto la percezione del marchio a livello globale.

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Una crescita spaventosa

La nostra visita è iniziata, appunto, in quel di Rzeszòw (pronunciata all'incirca "resciuf", ma il polacco è difficile da morire, quindi non credeteci sulla parola) città d'origine di G2A con tanto di aeroporto brandizzato - c'è una statua col loro marchio agli arrivi - e gigantesca Arena gestita dall'azienda poco più in là. Prima di andare "allo stadio", tuttavia, i nostri accompagnatori ci hanno tenuto a mostrarci i vecchi uffici dove tutto è nato, giusto per darci un'idea dello sviluppo supersonico a cui questa realtà è andata incontro. Per intenderci, si parla di una sorta di garage per la partenza, con un ufficio di medie dimensioni a fare da quartier generale di passaggio, e infine di un enorme complesso su più piani che ora ospita centinaia di persone di varia nazionalità, dove sono iniziate le presentazioni vere e proprie. Il bello è che a farci queste introduzioni ci ha pensato anche uno dei due fondatori dell'azienda: Bartosz Skwarczek, un 40enne incredibilmente in forma con la parlantina spedita e la chiara consapevolezza di aver dato vita a un colosso superiore a qualunque aspettativa (che peraltro è venuto a parlarci il giorno del suo quarantesimo compleanno, per far capire ulteriormente quanto tenessero all'evento).

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Giusto per snocciolare un po' di quegli immancabili dati di cui parlavamo prima: G2A ad oggi conta 428 mila venditori e 19 milioni di compratori, con un numero di accessi al marketplace che ha superato i 350 milioni negli ultimi 12 mesi. La cosa interessante non sono però questi numeri a dir poco mostruosi, bensì come tutto è nato, perché - esattamente come molte case di sviluppo locali, tra cui persino CD Projekt - l'idea di G2A è partita da bancarelle abusive zeppe di giochi piratati. Ok, è il caso di spiegarsi meglio, prima che partano spiacevoli malintesi: nel dopoguerra la Polonia non se la passava propriamente alla grande, e un computer era cosa da pochi eletti, tanto che di norma per ottenerne uno risultava necessario avere famiglia all'estero. Quando l'elettronica ha iniziato a diffondersi nel paese gli stipendi erano molto bassi e i costi dei giochi proibitivi per la maggior parte della popolazione, che quindi doveva rifarsi a dei veri e propri bazaar pieni di titoli copiati per poter videogiocare. Molti team odierni hanno ottenuto i loro primi fondi proprio in quel genere di ambiente, ma nel caso di G2A la situazione è diversa, perché l'idea di uno dei due fondatori - Dawid Rozek, all'epoca giovanissimo e ad oggi non ancora trentenne - non era aumentare la presa del mercato illegale, bensì semplicemente abbassare i costi dei giochi per permettere ai polacchi di acquistarli legalmente. Bartosz, già dotato di esperienza nel marketing e nelle aziende, è subentrato poco dopo, ma tutto è nato semplicemente dalla volontà di eliminare alcuni "middleman" dal processo di acquisto (distributori e retailer, in primis) per rendere il tutto più a buon mercato.

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Stabilità a duro prezzo

Il progetto era talmente ben avviato da aver permesso alla curiosa coppia di giovani virgulti un totale di... ZERO riunioni con i publisher, nonostante gli innumerevoli tentativi di contattarli durante le fiere e gli eventi dedicati al magico mondo dei videogame. Il risultato? Semplicemente far passare Go to Arena (questo il nome iniziale) da rivenditore di chiavi digitali a vero e proprio digital marketplace, con venditori esterni. Ciò ha portato all'esplosione dei venditori e di conseguenza dei compratori, per via delle notevoli offerte. Ora, qua subentra la "zona grigia" di cui parlavamo poco fa. Più di uno scandalo ha colpito G2A (ma in generale tutti i marketplace simili) per via di pratiche scorrette di certi venditori, pronti a comprare in blocco innumerevoli key, ottenere rimborsi, e poi piazzarle altrove senza controllo alcuno. In quanto intermediario G2A si è vista accusata quindi di essere un male per alcuni sviluppatori indipendenti, tanto da essersi a un certo punto attirata le ire della stampa americana per le accuse mosse dai Tinybuild.

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Ora, G2A non ha evitato le nostre domande sul caso Tinybuild, e ha in realtà risposto prontamente ai nostri quesiti, perché ai tempi davanti al casino scaturito i loro tentativi di comunicare con gli accusatori sono stati largamente ignorati dalla stampa statunitense (curioso, visto che si dovrebbero sempre ascoltare entrambe le parti, ma tant'è). Per evitare problemi simili, in parole povere, ora ci sono controlli significativi per i venditori, e sono incrementati gli accordi con i singoli publisher e sviluppatori (richiamati dal successo del marketplace o dalla semplice possibilità di piazzare qualche copia scontata in più dei loro titoli di punta). Bartosz e i suoi ammettono di non poter controllare tutto con perfezione assoluta, ma tali verifiche sono a tappeto, e l'intento di G2A non è certo quello di tagliare le gambe agli sviluppatori indie, tutt'altro. D'altro canto non conviene all'azienda polacca vendere chiavi potenzialmente bloccabili: incidenti di questo tipo fanno perdere compratori e fiducia, ed è evidente che il focus aziendale sia ottenere più acquirenti soddisfatti possibile. Giusto per rincarare la dose, infatti, abbiamo assistito a un'altra presentazione, direttamente correlata al discorso sicurezza. Pare infatti che ci siano stati investimenti pesanti sull'intelligenza artificiale, per evitare problematiche nelle transazioni.

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Hal 9000 e il portafoglio

Meglio entrare nel dettaglio: con la diffusione sempre più capillare della distribuzione digitale aumentano inevitabilmente anche i tentativi di frode. Per un e-commerce funzionale la percentuale accettabile di situazioni di questo tipo - quella che indica una buona sicurezza per il consumatore - si aggira attorno a un 2% massimo di transazioni ingannevoli: nel caso di G2A la percentuale è meno dell'un per cento, per via di un sistema automatizzato che ha soppiantato quasi del tutto il controllo manuale. Per mostrarci il suo funzionamento i ragazzi dell'azienda ci hanno illustrato le differenza tra un acquisto fatto da un normale cliente e quello fatto da un bot, precisando le variazioni nei passaggi intermedi (praticamente inesistenti nel caso del bot): per evitare problemi l'intelligenza artificiale di cui G2A fa uso prende in considerazione un numero smodato di informazioni ottenute automaticamente al momento dell'acquisto (non si tratta solo di nome e mail, ma di un'infinità di dati che ogni sito ottiene automaticamente al momento della registrazione, che normalmente restano ignoti a chi compra), apprende i fattori che portano di norma a una frode, ed evita che acquisti validi vengano cancellati senza motivo.

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Il sistema chiaramente non è ancora impeccabile, ma è in continuo sviluppo ed è potenzialmente utilizzabile non solo per evitare le frodi dei compratori ma anche per ottenere un maggior controllo sui venditori (settore dove però non ha ancora visto la stessa marcata implementazione). Insomma, l'azienda è consapevole delle incognite legate alla sicurezza del mercato digitale, e non ha intenzione di lasciar correre, anche per evitare altri disastri mediatici o errori come quello fatto con lo Shield (una garanzia di acquisti sicuri a pagamento che non ha funzionato gran che, ed è stato quindi completamente rivisto). D'altronde il prodotto numero due di casa è G2A Pay, un sistema di pagamenti online diffuso in quasi tutto il mondo (scherzano sul fatto che gli manchi la Groenlandia) che è arrivato ad adattarsi alle esigenze dei singoli paesi, e li ha costretti a prepararsi con forza in materia legale e di sicurezza. Oltre 100 persone in azienda si occupano di temi simili, ormai.

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Il futuro: G2A Electronics e altro

Nel caso non si fosse già colto, G2A è in costante espansione: la sua struttura diventa sempre più gargantuesca e inarrestabile, i suoi guadagni hanno raggiunto cifre incredibili, e l'intento è quello di espandersi in altri campi. Il primo passo per una maggior copertura è stato allargarsi al di là dei videogiochi nel digitale - il marketplace vende anche software non dedicato al gaming e corsi di e-learning - e ora l'intenzione è quella di muoversi nel campo dell'elettronica, con prodotti a basso costo vendibili ovunque. Non che sia una passeggiata di salute: in un campo simile ce la si vede con gente come Amazon, e il rischio è quello di un bagno di sangue dal punto di vista commerciale, anche perché l'attuale catalogo non è propriamente enorme e siamo solo agli inizi del progetto. Il piano però è quello di supportare solo rivenditori professionisti, offrire commissioni migliori per chi vende i prodotti più richiesti, ed eliminare le imposte fisse, prendendosi cura del marketing e della promozione in generale.

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La diffusione a livello internazionale della casa è tale da permettergli di intraprendere persino una cosa simile, ma giustamente ci sono svariati problemi con la tassazione di prodotti del genere nei vari paesi, e conseguenti grane locali da risolvere, che più di un giornalista ha fatto presente a chi ci stava descrivendo i fondamentali di G2A Electronics. Pare però che tutti i problemi di tassazione passino dal loro ufficio verifiche, e che sia attivo un sistema di supporto per i rivenditori pronto a risolvere le magagne, seppur non si sia mai entrati nel "legalese" per quanto riguarda mercati difficili come quello tedesco (che ha normative molto precise in ambiti simili) o altri mercati europei simili. Riusciranno anche in questa impresa? Difficile a dirsi: è sicuramente un campo dove G2A ha solo mosso i primi passi, e dove invece di essere partita per prima ha a che fare con colossi difficilmente scalzabili dalla loro posizione. Noi però ad attenderci in Polonia abbiamo trovato un'azienda molto più umana di quanto ci aspettassimo, lanciata verso il futuro a mille all'ora e impegnata in ogni genere di settore, dal payment agli e-sports. Se Electronics dovesse risultare una scelta vincente (o comunque provocare perdite limitate) e la forza del marketplace rimanere tale, questo curioso ecosistema polacco potrebbe diventare una delle più grandi aziende in assoluto in un mondo dove il digital sta ormai sostituendo quasi in toto il formato fisico. Vedremo.