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Ghostwire: Tokyo, come è stata creata una Shibuya infestata dagli spiriti

Abbiamo intervistato gli sviluppatori di Ghostwire: Tokyo per scoprire come Tango Gameworks ha ricreato una Shibuya infestata dagli yokai

INTERVISTA di Vincenzo Lettera   —   14/03/2022

Ghostwire: Tokyo ci ha finalmente riportati a Shibuya, uno dei più celebri quartieri di Tokyo, ma la città che ci siamo trovati davanti non è esattamente quella che ricordavamo. Gli abitanti della capitale giapponese si sono dileguati e le strade sono infestate da spiritelli e creature spaventose. In queste ore siamo immersi completamente nell'affascinante action di Tango Gameworks (trovate online il provato di Francesco Serino), ma in attesa della recensione, abbiamo avuto il piacere d'intervistare gli sviluppatori di Ghostwire: Tokyo con Kenji Kimura e Masato Kimura, rispettivamente game director e producer del gioco.

Abbiamo parlato di Shibuya, di leggende metropolitane e delle sfide nel proporre yokai e altri elementi della tradizione giapponese a un pubblico globale in modo che resti affascinante, autentico e fruibile.

Shibuya prima e il gameplay dopo

Uno degli elementi di Shibuiya trasformati in Ghostwire: Tokyo
Uno degli elementi di Shibuiya trasformati in Ghostwire: Tokyo

Siamo abituati a vedere Shibuya affollata e caotica. Il caos all'incrocio della stazione è talmente iconico che non sarebbe la stessa cosa senza le persone. Come si dà vita a una Shibuya infestata, togliendo tutte le persone dalla strada, ma restando sicuri che sembri lo stesso posto?

Kenji Kimura: "Abbiamo fatto tantissime ricerche, girando in lungo e in largo per Shibuya assieme agli altri membri del team. A parte l'area della stazione, abbiamo esplorato in maniera approfondita ogni singola stradina, alla scoperta di aree nascoste e stretti vicoli".

Masato Kimura: "Tu parli di una Tokyo "infestata" ed effettivamente il nostro obiettivo era proprio quello di adattarla alla perfezione per essere sicuri che sembrasse autentica. Sono convinto che non avremmo ottenuto lo stesso risultato se ci fossimo limitati a prendere una mappatura 3D di Shibuya e inserirla nel gioco così com'era. Invece abbiamo dedicato molte attenzioni nella creazione di una mappa sandbox, facendo molte ricerche per inserire non solo Shibuya e l'area circostante, ma anche luoghi che si trovano lontano dalla città. Abbiamo preso alcune aree affascinanti che nella realtà sono distanti da Tokyo, ma il modo in cui le abbiamo collegate a Shibuya contribuisce a rafforzare questa sensazione di un luogo infestato e paranormale. In generale è una combinazione di tanto lavoro, numerose ricerche e l'aggiunta di un nostro personale tocco".

Quindi la decisione di ambientare Ghostwire: Tokyo a... beh, Tokyo, è nata prima ancora di decidere che tipo di gioco sarebbe stato?

Kenji Kimura: "Esatto. Il nostro obiettivo di partenza è stato quello di creare un luogo che fosse divertente da visitare a piedi. So che è poco ortodosso, ma volevamo che il nostro nuovo gioco fosse ambientato in un posto meraviglioso e "cool", e Shibuya è stata una scelta facile perché la città stessa è splendida e piena di fascino. Perciò, in quel momento dello sviluppo abbiamo dato priorità alla mappa anziché al design del gioco, alla storia o ad altri elementi di gameplay. Quasi immediatamente ci siamo detti "Non sarebbe fantastico girare per una Shibuya deserta?". Abitando qui sappiamo quanto diventa affollata, e ogni tanto ci chiediamo come potrebbe essere camminare per Shibuya senza dover schivare le altre persone".

Masato Kimura: "L'ho già detto, è abbastanza atipico creare giochi in questo modo, partendo dalla mappa e poi pensando dopo alle meccaniche, e sicuramente per i nostri game designer ha rappresentato una sfida dover elaborare il gameplay su una mappa già definita".

Spiriti e leggende metropolitane

Le strade di Shibuya infestate in Ghostwire: Tokyo
Le strade di Shibuya infestate in Ghostwire: Tokyo

E quegli yokai che vedo alle vostre spalle? Parliamo un po' di com'è stato inserirli in un action RPG con ambientazione moderna.

Kenji Kimura: "Questa è stata un'altra idea che abbiamo avuto quasi subito, ovvero inserire nel gioco le nostre leggende metropolitane. Molte leggende in Giappone raccontano di cose che si nascondono nell'ombra, esseri che spesso non puoi vedere con gli occhi ma che puoi percepire. E sono lì per uno scopo, per dare un insegnamento. Abbiamo quindi deciso di creare una Shibuya in cui, girando per le strade, avresti notato degli angoli bui, o avresti avuto la sensazione che qualcosa si nascondesse nell'oscurità. Avresti potuto vedere qualcuno che da lontano sembra una persona normale, ma poi ti avvicini e scopri che quella persona non ha la faccia. Quel tipo d'inquietudine ci piaceva tantissimo e volevamo che anche i giocatori potessero provarlo sulla propria pelle.
Il passo successivo è stato decidere la struttura di gioco. Ci siamo detti "Ok, forse dovremmo fare una sorta di sandbox", non esattamente un open world come avviene in altri giochi con enormi ambientazioni da esplorare. Nel nostro caso è più una sorta di mappa sandbox che permette di passeggiare per Shibuya e andare a curiosare negli angoli più tetri e nascosti. Se vedi qualcosa d'interessante in un vicolo, il gioco ti permette di andare a curiosare".

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Adattarli al gioco non dev'essere stato facile. Ce n'è stato uno che vi ha dato dei grattacapi e per il quale avete trovato una soluzione interessante?

Kenji Kimura: "È davvero difficile rispondere a questa domanda, specialmente in questa fase dello sviluppo. Probabilmente se mi chiederai la stessa cosa tra un paio di mesi, a mente fredda potrei ripensare meglio al lavoro fatto e dirti quali sono stati i più divertenti e stimolanti, ma di sicuro ognuno di loro è stato piuttosto complicato da adattare. Se però adesso devo scegliere uno yokai che è stato particolarmente interessante da adattare, direi il teru teru bōzu: è una bambola di stoffa che ti insegnano a creare alla scuola materna. Costruisci una bambola usando un pezzo di carta o di stoffa e lo appendi fuori casa; in pratica è un portafortuna, e si appende all'aperto per fare in modo che smetta di piovere e venga il bel tempo. È un oggetto carino ma allo stesso tempo ha qualcosa di disturbante, perché quando è appeso può ricordare un uomo impiccato. Nel gioco, lo abbiamo reso un nemico infido e aggressivo. Se noti, le strade di Shibuya sono piene di vestiti sparsi per terra, lasciati lì dopo che gli abitanti si sono dissolti: ecco, visto che i teru teru bōzu sono fatti di stoffa possono nascondersi tra i vestiti e saltarti addosso quando meno te l'aspetti".

Uno dei luoghi più iconici di Shibuya in Ghostwire: Tokyo
Uno dei luoghi più iconici di Shibuya in Ghostwire: Tokyo

Vi siete mai imbattuti in una creatura o un racconto talmente strano o radicato nella cultura giapponese per cui avete detto: "No, questo non possiamo inserirlo, al di fuori del Giappone non lo capirà nessuno"?

Kenji Kimura: "Non abbiamo mai pensato che qualcosa potesse essere troppo giapponese o troppo strana, al punto da non inserirla nel gioco. Se avevamo un'idea che ci sembrava buona allora cercavamo di capire come inserirla nel gioco. Un altro esempio è il tanuki. Il tanuki è un animale che appare in molti racconti del folklore giapponese: è piccolo e carino, e si trasforma in tutto quello che vuole per fare dei dispetti, anche se la sua coda rimane sempre uguale e allora capisci che quello è un tanuki. Visto che ci sembrava un'aggiunta carina non ci siamo chiesti se avesse senso o meno per le persone al di fuori del Giappone. Alla fine li abbiamo inseriti, e nel gioco i tanuki si trasformano in tante cose diverse che vi lasceremo il piacere di scoprire".

Masato Kimura: "Sappiamo che ci sono cose nel gioco che le persone al di fuori del Giappone non capiranno subito, e ci siamo presi la libertà di farlo. La nostra idea è che in qualche modo ci si può comunque riconoscere in certi aspetti della nostra cultura, anche se questi sono molto giapponesi. Per esempio, prendi gli yokai o le leggende metropolitane. Molte delle storie che riguardano gli yokai vengono tramandate da generazione a generazione perché hanno un qualche tipo di morale o insegnamento. Un esempio è il racconto del kappa: i nonni dicono ai nipoti, "guarda, vicino ai fiumi si nasconde questa creatura spaventosa, quindi mi raccomando a non avvicinarti al fiume da solo". Queste storie sono a volte spaventose, a volte simpatiche, e vengono raccontate da insegnanti, genitori e nonni ai bambini. In altri paesi avviene lo stesso, ma semplicemente con storie che hanno forme e protagonisti diversi.
In Occidente potrebbero essere fiabe o favole con animali e spiritelli, mentre in Giappone sono con gli yokai o altre creature. Alla fine gli insegnamenti sono comunque molto simili. Quindi, tornando al nostro gioco, anche se all'inizio alcune storie possono non essere familiari al pubblico occidentale, nel momento in cui ti viene raccontata la loro storia o l'insegnamento siamo sicuri che troverai qualcosa con cui puoi relazionarti. Da quel punto di vista sono messaggi universali, segno che dopotutto siamo sullo stesso pianeta e siamo molto simili".

Kenji Kimura: "Ci piacerebbe molto se quante più persone in giro per il mondo conosceranno un po' della cultura giapponese attraverso Ghostwire: Tokyo. Ci sono così tante cose che possono attirare l'attenzione, e noi stessi nello sviluppare il gioco abbiamo riscoperto molti aspetti della nostra stessa cultura. Se attraverso il nostro lavoro riuscissimo a stimolare la curiosità attorno al Giappone e ai suoi racconti, ne saremmo orgogliosi. Giochi in cui hai una katana o combatti la yakuza ce ne sono diversi, ma speriamo di mostrare una parte della cultura giapponese non così conosciuta all'estero".

Lo straordinario nell'ordinario

Un combattimento di Ghostwire: Tokyo tra le strade di Shibuya
Un combattimento di Ghostwire: Tokyo tra le strade di Shibuya

Nel gioco ci sono dei momenti in cui intere architetture e appartamenti si trasformano. Piccole pillole horror che destabilizzano, spaventano e affascinano. Quali sensazioni volevate trasmettere?

Kenji Kimura: "Quello che vogliamo ricreare è la sensazione di girare in quello che all'apparenza sembra un luogo ordinario, ma di trovare al suo interno qualcosa di straordinario. Questo tema rappresenta il collante del gioco, e un esempio sono gli appartamenti che si trasformano sotto i tuoi occhi. Entri in una stanza assolutamente normale e invece ti ritrovi davanti a eventi e immagini assolutamente paranormali. Non abbiamo dato spiegazioni specifiche agli artisti e ai designer di questi livelli, né abbiamo pensato a quale potesse essere la logica o le ragioni dietro quello che succede nel gioco. Ci siamo concentrati unicamente nel creare qualcosa che secondo noi fosse spettacolare e che alimentasse questo senso di stupore improvviso nel giocatore".

Masato Kimura: "La città di Tokyo è una miscela fantastica di vecchio e nuovo, di architettura moderna e tradizionale. È costruita in un modo folle al punto che se giri l'angolo ti sembra di aver viaggiato indietro nel tempo, oppure di esserti teletrasportato in un posto completamente diverso non appena entri in uno dei tanti santuari nascosti tra grattacieli e uffici. E da quel punto di vista è impressionante, offre tante sorprese, e quello che vogliamo proporre è una versione condensata di una città in continuo cambiamento e che in ogni momento ti può sorprendere".

Un portale di Ghostwire: Tokyo
Un portale di Ghostwire: Tokyo

Una curiosità: gira voce che in un vecchio concept del gioco i personaggi indossassero delle mascherine per proteggersi dalla nebbia che ha causato le sparizioni della città. C'è del vero? La pandemia vi ha portato a fare qualche modifica?

Kenji Kimura: "Probabilmente fai riferimento a una delle primissime versioni del gioco, in cui si vedeva un protagonista che indossava una maschera chirurgica (nel primo trailer pubblico era invece un cappuccio NdR). Al tempo eravamo talmente indietro nello sviluppo che ancora non avevamo deciso come sarebbe stato il personaggio principale e quindi ci sembrava un modo efficace per nascondere il volto. In Giappone abbiamo sempre usato mascherine chirurgiche anche prima della pandemia: le persone le indossano quando hanno il raffreddore o non stanno bene e non vogliono contagiare gli altri. Il personaggio con la maschera chirurgica era una semplice rappresentazione di una generica persona giapponese ma, per rispondere alla domanda, la pandemia non ha influenzato nessuno degli aspetti del design del gioco o della storia: al tempo avevamo già definito le basi della trama e del gameplay.

Masato Kimura: "Questo discorso mi fa venire in mente anche un'altra cosa: in Giappone, visto che le persone indossano da sempre la mascherina anche a scuola o al lavoro, c'è probabilmente questa sensazione non detta che i giapponesi non comunichino molto con i loro volti. Utilizzano invece molto le mani, e spesso le vedi gesticolare parecchio. Forse è qualcosa che si rifà alla tradizione di cerimonie e spettacoli teatrali che abbiamo in Giappone e che sono spesso legati a eventi sacri, ma è curioso come alla fine si ricollega a Ghostwire, visto che c'è tantissimo movimento delle mani nel gioco". Come abbiamo raccontato nello speciale il kuji kiri e l'arte dei gesti in Ghostwire Tokyo.