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ChatGPT fa indicizzare delle conversazioni pubbliche su Google: scattano le polemiche

OpenAI chiude una funzione che permetteva ai motori di ricerca di mostrare chat condivise pubblicamente dagli utenti.

NOTIZIA di Simone Lelli   —   04/08/2025
ChatGPT

Negli ultimi giorni, gli utenti hanno scoperto che alcune conversazioni condivise su ChatGPT erano diventate facilmente reperibili tramite Google, Bing e altri motori di ricerca. Inserendo nel campo di ricerca la stringa "site:chatgpt.com/share", era infatti possibile accedere a decine di link pubblici contenenti dialoghi tra utenti e l'intelligenza artificiale di OpenAI.

Cosa è successo e perché

Le conversazioni non erano visibili automaticamente: solo gli utenti che cliccavano volontariamente sul pulsante "Condividi" e successivamente su "Crea link" generavano un URL pubblico, potenzialmente indicizzabile. Tuttavia, anche quando un utente selezionava l'opzione per rendere la conversazione "non scopribile" dai motori di ricerca, non tutti sembravano essere consapevoli delle implicazioni di quella scelta.

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OpenAI ha confermato di aver disattivato la funzionalità. In una nota ufficiale, l'azienda ha dichiarato: "I contenuti condivisi su ChatGPT sono pubblici solo se l'utente sceglie esplicitamente di condividerli. Abbiamo testato un metodo per rendere alcune chat più facilmente accessibili anche tramite i motori di ricerca, ma l'esperimento è terminato. Ha comportato troppi rischi di condivisione involontaria."

La risposta di OpenAI: “Era solo un test”

Secondo quanto riferito, l'indicizzazione era possibile solo nel caso in cui l'utente avesse esplicitamente autorizzato la visibilità della chat condivisa. Tuttavia, il sistema non informava chiaramente che il link potesse essere raggiungibile da chiunque via Google, con conseguenti rischi per la privacy.

ChatGPT
ChatGPT

La vicenda richiama alla mente quanto già accaduto con Google Drive, dove i documenti impostati su "Chiunque con il link può visualizzare" sono stati in alcuni casi indicizzati nei motori di ricerca. Anche in quel caso, il problema non era tanto nella tecnologia quanto nella scarsa comprensione da parte degli utenti delle implicazioni di una condivisione apparentemente privata ma tecnicamente pubblica.