"Ciao a tutti, sono Tim. Oggi voglio parlare delle motivazioni degli sviluppatori di videogiochi." Così esordisce Tim Cain nel suo ultimo video, pubblicato sul suo canale YouTube. Per chi non lo conoscesse, è il padre della serie Fallout, autore di molti classici, che recentemente è tornato nelle file di Obsidian Entertainment.
"Vedo tantissimi video su YouTube, post nei forum e persino articoli sui siti di settore che parlano degli sviluppatori e del perché fanno i giochi che fanno, del perché agiscono in un certo modo, e di molte altre cose. E la maggior parte di queste analisi è semplicemente clamorosamente sbagliata, spesso in modo persino divertente."
Troppa fantasia, poca realtà
"Quando guardo un film in cui compare un programmatore - di solito chiamato "hacker" - rido di come viene rappresentato, perché è talmente assurdo e fuori dalla realtà da risultare comico. E inevitabilmente penso: "Ah, lo sceneggiatore non ha mai scritto una riga di codice in vita sua. Quindi questo è ciò che immagina facciano i programmatori, e come crede che pensino, semplicemente osservandoli dall'esterno".
"Tra l'altro, mio fratello prova la stessa cosa quando guarda una serie TV in cui qualcuno fa contabilità, perché lui è un contabile. Dice che sbagliano completamente nel rappresentare cosa fanno i contabili e come ragionano. Ed è proprio di questo che voglio parlare."
Insomma, il video nasce dalla volontà di fare chiarezza sul suo lavoro, spesso frainteso. "Ho già fatto un intero video su com'era lo sviluppo di videogiochi molto tempo fa, ma lasciatemi ricordare una cosa: negli anni '80 e '90 la maggior parte delle persone diventava sviluppatore perché amava fare giochi. Non c'era nessun altro motivo. Non si guadagnava bene, era considerato un settore strano, di nicchia, marginale. La gente c'era perché voleva fare giochi, punto. Era qualcosa che sentivano dentro, come un bisogno irrefrenabile.
"C'erano anche alcuni che erano lì per un altro motivo: semplicemente non si adattavano da nessun'altra parte. Disadattati, emarginati sociali, chiamateli come volete. Per qualunque ragione vi venga in mente, finivano in un'industria considerata "di confine" perché non trovavano posto altrove. E all'epoca lo sviluppo di videogiochi era davvero fringe. Oggi è difficile immaginarlo, perché il gamedev è enorme: è più grande di TV, cinema e musica messi insieme. È completamente mainstream. Dungeons & Dragons è mainstream. Questa cosa ancora oggi mi manda fuori di testa se penso al Tim quattordicenne che giocava a D&D al liceo, quando tutti pensavano fosse satanico, strano, ridicolo o semplicemente incomprensibile. "Come fai a giocare senza un tabellone o delle carte? È tutto nella tua testa, è stupido." Oggi tutti sanno cos'è D&D. Vedo comici fare battute su chierici e ranger: negli anni '80 sarebbe stato impensabile."
Insomma, il contesto era quello che era e i videogiochi erano effettivamente un territorio di confine. Cain prosegue portando la sua esperienza personale: "All'epoca, quando decisi di entrare nel mondo dei videogiochi, amici, familiari e insegnanti mi dicevano tutti: "Puoi fare di meglio. Non farlo. Trova un lavoro migliore." Intendevano qualcosa di più appagante, più rispettabile, qualcosa che restituisse di più alla società che non "ecco un gioco che fa bip bop, fine". Ma io avevo una passione: volevo fare giochi. E pensavo che anche gli altri fossero lì per lo stesso motivo. E in gran parte avevo ragione. La maggioranza era davvero appassionata. O strana. Spesso entrambe le cose." "Io davo per scontato che tutti facessero quello che facevano nell'industria per le stesse ragioni mie. E per molto tempo è stato vero."
"Poi qualcosa è cambiato, verso la fine degli anni '90. Più o meno quando lasciai Interplay. C'è un episodio che per me ha cristallizzato questo cambiamento. Quando me ne andai, mi dissero: "Devi distruggere tutto il codice sorgente del gioco." Io risposi: "Certo." Ma insistettero: "No, sul serio, devi distruggerlo." Così cancellai il disco rigido di casa, distrussi tutti i CD e mi assicurai che Interplay avesse una copia di backup del codice della versione pubblicata. E me ne andai, pensando che fosse finita lì."
"Rimasi scioccato quando, un paio d'anni dopo, mi minacciarono di causa. Dissi loro che non avevo nulla, che non avevo portato via niente, che potevano chiedere a chiunque avesse lavorato con me. Alcuni mi avevano visto distruggere il codice e scriverne di nuovo. Li invitai quindi in Troika e dissi: "Portate un programmatore e controllate il codice di Arcanum." Lo fecero, e non trovarono nulla che somigliasse a Fallout. Anzi, il programmatore disse: "Questo è meglio." E io risposi: "Certo che è meglio. Quale programmatore, quando ha l'occasione di riscrivere qualcosa, non cerca di migliorarlo?"
Scoprii poi che avevano perso il codice sorgente. Anni dopo mi ricontattarono chiedendomi se per caso lo avessi io. Pensai fosse una trappola. Invece lo avevano davvero perso. Per fortuna ritrovarono il codice della versione pubblicata di Fallout, che è quello che oggi sembra avere chiunque. Tutto il codice originale GURPS, le demo, sembra invece perduto.
Questa vicenda mi confuse profondamente. Continuavo a chiedermi: perché fanno così? Perché continuano a pensare questo di me? E a un certo punto pensai: forse non so davvero perché le persone fanno ciò che fanno.
"Negli anni 2000 l'industria esplose. Entrarono moltissime più persone, e io non riuscivo più a spiegarmi certi comportamenti. Gente che faceva cose che non miglioravano il gioco, e questo mi lasciava perplesso. Poi qualcuno mi disse: "Lo fanno perché fa bene alla loro carriera." E io rimasi confuso, perché prima costruivi una carriera facendo bei giochi. Ora invece contava essere bravi solo nella propria specializzazione, anche senza guardare al quadro generale."
"Un giorno qualcuno mi disse una frase che fece scattare tutto: "Smetti di pensare alle persone in base a quello che faresti tu, e inizia a pensare a quello che farebbero loro se fossero al tuo posto.""
"Improvvisamente tutto ebbe senso. Le persone che pensavano avessi rubato il codice erano le stesse che l'avrebbero rubato se fossero state al mio posto. Chi credeva che il successo mi fosse salito alla testa, lo pensava perché a loro sarebbe successo davvero. E lì ho capito: quando la gente dice "gli sviluppatori fanno questo per questo motivo", spesso in realtà sta dicendo: "Io lo farei, quindi penso che lo facciano anche loro"."
"La verità è che moltissimi sviluppatori sono ancora incredibilmente appassionati. Altri sono entrati per raccontare storie, altri ancora semplicemente per il lavoro e lo stipendio. Tutte motivazioni valide. Ma smettetela di cercare di indovinare le motivazioni delle persone: non siete bravi a farlo. Nemmeno io lo ero. Ora guardo solo a ciò che le persone fanno e dicono. Perché solo loro sanno davvero perché hanno agito in un certo modo. E quando qualcuno mi dice che fare videogiochi è come fare scarpe, capisco che non c'è nemmeno una risposta possibile."
"Volevo parlare di questo perché le motivazioni degli sviluppatori sono ovunque, e la maggior parte di chi pretende di spiegarle... semplicemente sbaglia." Chiude Cain, che evidentemente con questo video si è voluto togliere anche qualche sassolino dalle scarpe.