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Google avrebbe pagato Apple per non entrare nel mercato dei motori di ricerca, per una class action

Stando a una class action, Google avrebbe pagato Apple per evitare che entrasse nel mercato dei motori di ricerca, così da mantenere il suo monopolio.

NOTIZIA di Simone Tagliaferri   —   05/01/2022

Apple avrebbe un accordo economico con Google che le impedirebbe di entrare nel mercato dei motori di ricerca. Questo è quanto emerso da una class action intentata in California contro Google, Apple e i relativi CEO. Secondo l'accusa, la cifra pagata da Google per rimanere il motore di ricerca di default di Safari, coprirebbe questo enorme accordo secondo cui Apple non deve sviluppare un suo motore di ricerca.

Si tratterebbe quindi di un patto di non belligeranza nel business specifico di Google, che violerebbe le norme per la concorrenza statunitensi. Il testo della causa si spinge anche oltre, parlando di incontri segreti tra il CEO di Apple, Tim Cook, e quello di Google, Sundar Pichai, in cui Google accetterebbe di dare parte dei suoi profitti ad Apple per avere un trattamento preferenziale sugli iPhone e gli iPad. Le due compagnie collaborerebbero anche attivamente al soffocamento dei concorrenti minori. Le cifre versate da Google ammonterebbero a vari miliardi di dollari, nascosti in parte sotto ai maggiori investimenti pubblicitari.

La class action richiede quindi la cessazione degli accordi tra Google e Apple e la divisione dei due colossi in compagnie separate indipendenti, in accordo con quanto fatto in precedenza con le compagnie petrolifere.

In realtà che Apple e Google abbiano accordi simili è cosa abbastanza nota e pubblica, tanto da finire nei documenti finanziari delle due compagnie. Stando al New York Times, nel 2020 Google ha pagato tra gli 8 e i 12 miliardi di dollari ad Apple per rimanere il motore di ricerca di default dei suoi apparecchi. Secondo alcuni analisti, la cifra dovrebbe aver raggiunto i 15 miliardi di dollari nel 2021. Si tratta effettivamente di una cifra considerevole, che ha messo più volte le due compagnie sotto la lente d'ingrandimento di autorità antitrust internazionali, portando a denunce come quella del dipartimento di giustizia USA o della Competition and Markets Authority inglese.