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Non c'è pace per Google: chiesta la confisca di altri 2 miliardi dopo la condanna per violazione della privacy

Dopo la condanna da 425 milioni di dollari, gli utenti USA chiedono che Google restituisca ulteriori profitti ottenuti raccogliendo dati senza consenso.

NOTIZIA di Raffaele Staccini   —   23/10/2025
Una sede Google

La controversia legale che coinvolge Google negli Stati Uniti per la violazione della privacy degli utenti entra in una nuova fase. Dopo la condanna da 425 milioni di dollari (pari a circa 366 milioni di euro) inflitta il mese scorso da una giuria federale, i querelanti chiedono ora un'ulteriore sanzione economica. Secondo quanto riportato nei documenti depositati presso la corte di San Francisco, i rappresentanti dei consumatori hanno domandato che l'azienda versi altri 2 miliardi e 360 milioni di dollari, cifra equivalente a circa 2 miliardi di euro e indicata come una "stima prudente" dei profitti generati impropriamente.

La causa, avviata nel 2020, ruota attorno alla raccolta non autorizzata di dati relativi all'attività sulle app, anche da parte di utenti che avevano disattivato le impostazioni di tracciamento dell'account.

La richiesta di confisca da 2 miliardi a Google

Il verdetto della giuria ha riconosciuto Google colpevole di due delle tre accuse di violazione della privacy presentate dai querelanti. Secondo i documenti giudiziari, il colosso tecnologico avrebbe segretamente raccolto dati di navigazione e utilizzo delle app di milioni di utenti per un periodo di otto anni, nonostante questi avessero scelto di disattivare la funzione "Web & App Activity" dell'account. I giudici hanno definito la condotta dell'azienda "altamente offensiva e priva di consenso", aprendo la strada a una possibile restituzione dei profitti ottenuti attraverso tali pratiche. Gli avvocati dei consumatori sostengono che la somma iniziale stabilita dal verdetto, 425 milioni di dollari, sia "chiaramente insufficiente" per compensare i danni e scoraggiare comportamenti analoghi in futuro. Per questo motivo hanno chiesto al giudice Richard Seeborg di imporre a Google il versamento di ulteriori 2 miliardi e 360 milioni di dollari, da considerarsi come restituzione dei guadagni accumulati grazie all'uso improprio dei dati. Secondo la loro tesi, tale importo rappresenterebbe una misura proporzionata rispetto alla portata della violazione e alla durata del comportamento contestato.

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Google, dal canto suo, nega qualsiasi illecito. La società ha già annunciato l'intenzione di presentare ricorso contro il verdetto. La difesa di Google si basa sull'argomento che i dati raccolti sarebbero stati resi anonimi e che gli strumenti di privacy messi a disposizione offrono agli utenti il pieno controllo sulle proprie informazioni. Ciononostante, i querelanti hanno sottolineato che, nonostante il verdetto di colpevolezza, Google non avrebbe ancora modificato le proprie informative sulla privacy o le pratiche di raccolta dei dati, indicando una persistenza della condotta contestata.

Google ha anche intrapreso un'azione legale mirata a rimettere in discussione la natura stessa della class action. L'azienda ha chiesto al giudice Seeborg di decertificare la classe composta da 98 milioni di utenti e 174 milioni di dispositivi. Google sostiene che le rivendicazioni degli utenti si fonderebbero su fattori individuali, come l'uso specifico delle app e le aspettative personali di ciascun utente in merito alla privacy, e non su questioni comuni a tutti i membri della classe. Ha inoltre sollecitato l'annullamento del verdetto, citando proprio questa presunta assenza di questioni condivise.

Intanto, su un altro fronte legale, Google ha solo altri 7 giorni per aprire il Play Store dopo la causa Epic.