73

Microsoft, Sony e Nintendo stanno lì per fare soldi, forse è il caso di piantarla di fare le classifiche dei più buoni e dei più cattivi

Molti videogiocatori sognano ancora che il loro produttore hardware del cuore sia più buono di quello del giocatore del banco accanto.

NOTIZIA di Simone Tagliaferri   —   01/07/2021

Era la fine degli anni '70 quando un gruppo di sviluppatori insoddisfatti del trattamento economico riservatogli dall'allora onnipotente Atari decise di lasciare la compagnia per formarne un'altra dedicata solo allo sviluppo dei videogiochi. Activision fu fondata nel 1979 da David Crane, Alan Miller, Bob Whitehead, Larry Kaplan e Jim Levy, un gruppo di giovani geni creativi che iniziò a fare subito quello che sapeva fare meglio: ottimi videogiochi per Atari VCS.

Atari non la prese bene e decise di fare causa ad Activision. Ne nacque una delle dispute legali più importanti della storia dei videogiochi, che stabilì la libertà per Activision, e quindi per tutte le terze parti, di pubblicare le loro opere sulla console di Atari in totale autonomia. Il risultato fu una maggiore libertà per tutti, ma anche una saturazione del mercato tale che in USA portò al crollo del 1983. Dopo quel crash miliardario, i negozi in cui tradizionalmente venivano venduti i videogiochi non vollero più acquistarli e molti produttori nati sulla scia del successo di Atari si ritirarono dal mercato, svanendo nel nulla. Fu allora che arrivò Nintendo.

Solitamente l'intervento della casa di Mario viene salutato come essenzialmente salvifico. In buona parte è vero: Nintendo rifondò il mercato riposizionando i videogiochi come prodotti per bambini, così da poterli vendere nei negozi di giocattoli, e attuò una serie di politiche che impedirono il rimanifestarsi delle cause del crash del 1983. Naturalmente la storia ha anche un'altra faccia della medaglia, meno raccontata ma comunque importante: le politiche di cui sopra erano così restrittive e talmente favorevoli a Nintendo, che causarono moltissimi mal di pancia nell'industria, creando alterchi rimasti storici, come quello con Trip Hawkins, l'allora capo di Electronic Arts, che voleva più libertà nella pubblicazione dei giochi.

La soluzione Nintendo ai problemi del mercato dei videogiochi era chiara, ma decisamente svantaggiosa per le terze parti, che dovevano superare dei limiti immensi. Ogni publisher poteva infatti pubblicare un massimo di cinque giochi l'anno per NES e per produrre le cartucce doveva rivolgersi a Nintendo stessa, acquistandone una certa quantità dalle sue fabbriche. Di fatto la compagnia giapponese controllava l'intera filiera incassando molti soldi prima ancora che i giochi arrivassero sul mercato. La sostanza è che per pubblicare sulla sua piattaforma bisognava investire centinaia di migliaia di dollari a gioco, quindi dare comunque il 30% sulle vendite a Nintendo, che oltretutto faceva pochissimo per promuovere i giochi che non fossero i suoi.

Oggi la situazione è molto migliorata. Con gli anni il mercato console si è aperto, i devkit sono diventati molto più economici da ottenere e, in linea teorica, uno sviluppatore può riuscire a pubblicare il suo gioco su Ps Store, eShop o Microsoft Store con costi ridottissimi, in alcuni casi proprio nulli. Rimangono le royalty sulle vendite, ma tra Epic Games Store e Microsoft Store, qualcosa si sta muovendo anche da quel punto di vista. Sinceramente, quindi, non capiamo lo stupore nell'apprendere che Sony, ma sicuramente anche Microsoft e Nintendo, facciano pagare delle cifre importanti per ottenere gli slot privilegiati dei loro negozi. Perché non dovrebbe essere così? L'esposizione nei negozi fisici, soprattutto nelle grandi catene, è sempre stata oggetto di accordi commerciali e sponsorizzazioni, perché è noto che i consumatori sono delle scimmie idiote che tendono ad acquistare più volentieri ciò che si trovano sotto gli occhi. Perché i negozi digitali dovrebbero rinunciare a questi accordi? Non capiamo perché si cerchi in continuazione la bontà e l'altruismo dove ci sono solo affari e si cada ogni volta dalle nuvole quando le aziende fanno le aziende. Che il problema siano quelli che continuano a raccontare questo mondo con una vena fin troppo romantica, senza considerarne le dinamiche reali? Davvero credete che ci sia la multinazionale buona e quella cattiva?