Gli ultimi resoconti finanziari dei grandi editori di videogiochi hanno mostrato un quadro inquietante nella sua uniformità: le microtransazioni sono diventate la prima fonte di guadagno dei videogiochi e hanno avuto tanto più successo, quanto più hanno iniziato a diventare parte integrante della cultura videoludica, siano esse pacchetti di carte da aprire o skin da acquistare per mettersi in mostra online. Naturalmente c'è voluto qualche anno per normalizzarle, a botte di minimizzazioni da parte della gran parte della stampa specializzata, che ha faticato moltissimo a inquadrarne la crescita e gli effetti sul mercato; di influencer pagati per avvicinarle al grande pubblico (avete presente gli youtuber e gli streamer che spacchettano o che mostrano le skin che hanno acquistato? Ecco, hanno essenzialmente questa funzione, consapevoli o inconsapevoli che siano) e di un perfezionamento continuo dei negozi in game, diventati sempre più raffinati nel riuscire a stimolare gli acquisti compulsivi degli utenti.
Ubisoft, Activision, Electronic Arts, tanto per citare tre editori molto grossi e ben noti, hanno tutti mostrato bilanci in cui le microtransazioni fanno la parte da leone, marginalizzando la vendita dei prodotti premium, tanto che: Ubisoft ha dichiarato che aumenterà i suoi sforzi sui free-to-play, lasciando inalterata la produzione di titoli premium; Electronic Arts, con 4 miliardi di dollari incassati dai soli acquisti in gioco, ha in cantiere titoli come Battlefield 6 pensati per avere più elementi live service rispetto ai capitoli passati; Activision ha mollato tutte le sue IP concentrando tutti i suoi studi su quella Call of Duty, che produce incassi da record con Call of Duty: Warzone e Call of Duty: Mobile, entrambi free-to-play. Del resto, perché no visti i soldi fatti? Gli investimenti vanno dove va il mercato, ossia l'offerta va incontro alla domanda, qualunque essa sia.
Se un pasticciere vende mille torte di escrementi al mese contro cento piene di ottimi ingredienti, potrà esserne dispiaciuto, ma è chiaro che aumenterà la produzione di torte di escrementi, non certo quella delle torte buone. Del resto possiamo anche metterci a discutere i gusti dei suoi clienti, ma la verità è che se sono felici mangiando cacca, è difficile che cambino idea solo perché qualcuno gli dice che magari il cioccolato è più buono. I processi culturali, che portano a modificare le abitudini di consumo, sono lenti, poco controllabili e spesso non producono i risultati sperati. La verità è che le microtransazioni hanno vinto e a raccontarcelo è anche un piccolo dettaglio del processo che vede contrapposte Epic Games e Apple: Peely, la banana di Fortnite. Al di là del modo ridicolo con cui è stata citata in tribunale, fa riflettere il fatto che sia una semplice skin, eppure diventata nota al punto da diventare una prova. Di fatto poi l'intero processo gira intorno alle microtransazioni: Epic Games vuole guadagnarci di più, Apple non vuole rinunciare ai suoi guadagni e Peely sta lì a ricordarci cosa acquistano di questi tempi i videogiocatori. C'è quasi da rimpiangere quando in tribunale veniva portato Mortal Kombat per la sua violenza o Night Trap perché considerato pornografico.