Cerchiamo di spiegare bene la causa giudiziaria che vede contrapposte Epic Games e Apple negli Stati Uniti. Un processo partito per motivi economici, ma che potrebbe avere delle grosse ripercussioni su come sono strutturati i due più importanti sistemi operativi per dispositivi mobile. E per fare questo sta svelando alcuni dei segreti più nascosti dell'industria dei videogiochi.
Tutto è iniziato con Epic Games che ha sfidato apertamente Google e Apple aggiungendo alle versioni mobile di Fortnite un'opzione di pagamento diretta alla fonte, con prezzi scontati rispetto a quelli dei sistemi di pagamento gestiti dai due gestori dei più grandi negozi mobile del pianeta: Google Play Store e App Store. Era la metà di agosto del 2020 e Tim Sweeney, il patron di Epic, sapeva bene a cosa sarebbe andato incontro. Anzi, sperava che accadesse proprio ciò che poi è accaduto. In quel momento aveva bisogno di un casus belli per iniziare a guerreggiare.
Apple e Google fecero esattamente quello che ci si aspettava facessero: bandirono Fortnite, nonostante fosse giocatissimo su entrambi gli ecosistemi, con milioni di utenti attivi. Epic rispose senza esitazioni lanciando la campagna #freefortnite, evidentemente studiata con largo anticipo, per cercare di portare dalla sua parte tutti quei giocatori che erano stati privati del gioco dalla mattina alla sera, soprattutto quelli che avevano pagato per acquistare oggetti nel negozio interno.
In mezzo al montare delle proteste e all'infuriare delle polemiche, Epic annunciò poi che avrebbe portato in tribunale Apple, accusandola di gestire l'App Store da monopolista (la possibilità di fare causa anche a Google decadde subito perché in realtà esistono vari negozi per applicazioni Android e volendo è possibile anche far installare le applicazioni direttamente, senza passare da intermediari).
Il nodo della battaglia legale tra Epic Games e Apple è quel 30% di commissioni che la casa di Cupertino prende su ogni transazione che viene fatta sull'App Store. Nel corso degli ultimi anni Sweeney e soci hanno provato a trovare degli accordi con Apple (e Google), soprattutto dopo il successo di Fortnite, ma non c'è stato niente da fare, così si è arrivati alla rottura definitiva, che si è trasformata nel più grande processo che abbia mai coinvolto l'intera industria dei videogiochi, il cui primo primo apice si è visto con il testo della denuncia stessa, dove, oltre a essere messo in risalto il monopolio di Apple, sono stati riportati anche gli screenshot dei commenti dei giocatori arrabbiati, come a voler sottolineare quanto il comportamento della casa di Cupertino fosse stato ingiusto e autoritario, tanto da danneggiare e scontentare i suoi stessi clienti.
Nel mentre, una Apple fortemente indispettita ha provato a cancellare completamente Epic Games dall'App Store bandendo l'Unreal Engine, decisione però bloccata dal tribunale in attesa della fine del processo, principalmente per tutelare studi di sviluppo ed editori che utilizzano il motore di Epic per i loro prodotti. Comunque sia, dopo la fiammata iniziale, la situazione sembrava essersi calmata. Come vedremo ora nello spiegare bene la causa giudiziaria tra Epic Games e Apple, era solo la classica quiete prima della tempesta, ossia il processo vero e proprio.
Cosa vuole dimostrare Epic Games? E Apple?
Il processo Epic Games contro Apple è iniziato il 3 marzo 2021 davanti al giudice federale Yvonne Gonzalez Rogers, attirando l'interesse dell'intera industria per le implicazioni che potrà avere la sentenza, non solo per i due attori principali, ma anche per tutti gli altri. Nel mentre è successo un fatto atteso: c'è stata una grossa fuga di notizie, ossia molti dei documenti in mano agli avvocati sono finiti misteriosamente in mano ai giornalisti, dando accesso al grande pubblico ad alcuni segreti confidenziali, nonché a dei retroscena davvero interessanti. Così l'interesse è raddoppiato: da un parte c'è il processo in sé, mentre dall'altra c'è questa enorme mole di informazioni, proveniente da fonti certe, che aiuta a capire meglio il funzionamento del settore.
Cerchiamo di capire cosa stanno provando a dimostrare le due compagnie: lì dove Epic Games mira ad affermare che con l'App Store Apple agisce in un regime di monopolio di fatto, danneggiando partner e clienti pur di non rinunciare al suo status quo, Apple sta cercando di far passare l'idea che la chiusura dei suoi sistemi operativi, che rende impossibile l'installazione di store esterni, e il controllo capillare delle applicazioni pubblicate sull'App Store, sono elementi indispensabili per avere un ecosistema sicuro per gli utenti.
Una delle domande fondamentali cui il tribunale dovrà rispondere è se gli iPhone e gli iPad sono dispositivi general purpose o special purpose, ossia se sono più vicini a dei personal computer o a delle console. Per Epic Games, Apple dovrebbe aprire i suoi sistemi mobile, rendendoli più simili a macOS, che garantisce sicurezza e libertà per gli utenti di installare software terzo senza dover necessariamente passare per il negozio di Apple. Le linee seguite dalle due compagnie a processo stanno trovando ampia rappresentazione nelle testimonianze. Non è un caso che tra i testimoni siano state chiamate anche altre grosse compagnie, come Microsoft e Valve, in modo da dare un quadro il più possibile completo del funzionamento del mercato dei videogiochi.
Microsoft alla sbarra
Proprio la testimonianza di Lori Wright di Microsoft, il capo della divisione Xbox Business Development, è servita a Epic per provare a far passare una distinzione netta tra ciò che è un dispositivo special purpose come una console (che teoricamente è dedicata solo ai videogiochi, nonostante la presenza negli ultimi anni di applicazioni di vario genere), da ciò che dovrebbe essere un dispositivo general purpose come uno smartphone. La Wright ha chiaramente individuato negli iPhone e negli iPad degli apparecchi general purpose, sottolineando poi un aspetto chiave del business console di Microsoft per far capire ancora meglio la distinzione: le Xbox sono sempre state vendute in perdita, con i guadagni che sono arrivati dalla vendite di giochi e servizi.
Apple è stata parecchio indispettita dalla testimonianza della Wright, al punto da aver chiesto di non considerarla attendibile per la mancanza di documenti che dimostrerebbero le affermazioni fatte sul business Xbox. Anche la Gonzales non sembra essere stata convinta del tutto dalla Wright, la cui distinzione espressa sopra è apparsa forse troppo netta e, in un certo senso, mirata (Microsoft ha interesse che vinca Epic Games, per poter così portare i suoi servizi su App Store). Comunque sia, gli avvocati di Apple hanno controbattuto sottolineando come anche Microsoft adotti un sistema operativo chiuso per Xbox, invece di usarne uno aperto come Windows 10. Quindi perché Apple non deve poter fare lo stesso?
Epic Games lotta per tutti o solo per se stessa?
Quando il giudice Gonzales ha chiesto a Tim Sweeney se avrebbe accettato un trattamento di favore da parte di Apple, ossia un accordo per commissioni più basse sugli acquisti di Fortnite che non coinvolgesse tutti gli altri sviluppatori, il capo di Epic ha candidamente ammesso che sì, avrebbe accettato. La domanda non è banale come sembra, perché in questo modo è stato dimostrato in modo chiaro come la guerra legale sia nata intorno agli interessi economici di Epic Games e non per favorire tutti gli sviluppatori. Insomma, in questa storia non ci sarebbero eroi rivoluzionari, ma solo uomini d'affari che pensano alle loro tasche e che sono pronti a scendere a compromessi per riempirle il più possibile.
Del resto dai documenti del processo era già emerso come Epic avesse provato a convincere Google ad applicare una tariffa di favore alle microtransazioni di Fortnite, promettendo in cambio l'arrivo del gioco su Stadia, la piattaforma di cloud gaming del colosso dei motori di ricerca. Altro elemento che getta una luce non proprio eroica sulle intenzioni di Sweeney è l'ammissione di sfruttare gli acquisti compulsivi dei giocatori per fare più soldi con Fortnite.
Come spiegato in aula, Epic avrebbe potuto aggirare le regole di Apple spostando all'esterno dei gioco gli acquisti di V-Bucks (la moneta virtuale di Fortnite), ad esempio in un negozio accessibile da browser. Se non è stato fatto è per un motivo molto semplice: in questo modo si sarebbero creati diversi passaggi supplementari per arrivare all'acquisto, che avrebbero potuto far desistere gli utenti dallo spendere soldi, facendogli perdere l'entusiasmo. Poter vendere direttamente in gioco riduce i click necessari per arrivare a spendere, dando meno tempo agli utenti di calmarsi e di ragionare. Anche in questo caso, quindi, ci troviamo di fronte a una scelta di comodo che non ha niente a che vedere con la libertà o gli affari di tutti, ma solo con quelli di Epic Games e dei publisher più rapaci, i quali sfruttano la debolezza degli utenti per accumulare fortune.
Apple e la linea moralista
La linea difensiva scelta dagli avvocati di Apple è molto chiara: dimostrare che il controllo sull'App Store e sui sistemi operativi mobile ha il vantaggio di consentire una maggiore cura dei contenuti, evitando storture. Quali? Truffe a parte, quelle morali, ovviamente. Alcuni dei punti sollevati dalla difesa hanno mirato a dimostrare quanto lo store di Epic Games, ossia l'Epic Games Store, sia poco curato e consenta addirittura di installare materiale pornografico. Per inciso, gli avvocati hanno sottolineato come la top 20 del negozio contenga in realtà 25 giochi (in verità sono davvero 20, visto che gli altri 5 sono free-to-play ndr) e come la possibilità di scaricare l'applicazione di itch.io dia accesso agli utenti a molti videogiochi pornografici, definiti addirittura innominabili in tribunale. Epic si è difesa dicendo che in realtà l'EGS consente soltanto di scaricare l'applicazione di itch.io e che ciò che gli utenti scaricano usandola sottostà ad accordi di licenza con loro, su cui Epic non ha alcun potere diretto. L'avvocato di Apple ha però più volte ribattuto sul punto, come a voler dimostrare che il problema nasce dalla mancanza di controlli e dalla scarsa curatela dello store.
Altro oggetto di discussione morale è stato l'uomo banana di Fortnite, Peely, di cui l'avvocato di Apple ha sottolineato la nudità in gioco, definendola inappropriata per un tribunale, tanto da averne mostrato soltanto un'immagine in smoking. Epic si è difesa affermando che Peely non ha niente di inappropriato quando è nudo, visto che è semplicemente... una banana. Stupiti? In verità quelli che sembrano degli scambi assurdi, quasi ridicoli, mostrano quanto gli avvocati spesso mirino a sottolineare anche le implicazioni etiche e morali di certe scelte, facendo affidamento sull'ignoranza del giudice rispetto agli argomenti trattati, nonché alla sua educazione.
La prigione di Apple, per un economista
Una delle testimonianze più interessanti del processo è stata quella dell'economista David Evans, chiamato a deporre da Epic Games. Il suo è stato un parere strettamente tecnico mirato a dimostrare la chiusura del mercato creato da Apple con l'App Store. Evans ha parlato di mercato a due facce: da una parte ci sono i consumatori che vogliono le applicazioni, dall'altra ci sono gli sviluppatori che desiderano dargliele. Il mercato creato da Apple è chiuso in più di un senso e comporta dei grossi costi per chiunque voglia andarsene, come quello dell'acquisto di un nuovo smartphone, l'impossibilità di accedere a determinate applicazioni, anche quelle a pagamento, la difficoltà di entrare in un nuovo ecosistema e altro ancora. Di fatto è come se Apple non desse scelta ai suoi utenti, imprigionandoli, per cui la prospettiva di allontanarsi dai suoi sistemi mobile sarebbe semplicemente dannosa. Per Evans, quello di Apple è un vero e proprio monopolio, data la sua quota di mercato e le restrizioni imposte ai suoi apparecchi, che frenerebbe l'innovazione a solo vantaggio della casa di Cupertino, che percepirebbe così delle commissioni più elevate.
I segreti (e le bugie) dell'industria dei videogiochi
Il processo è ancora in corso e di testimonianze ce ne saranno molte altre prima che si arrivi a un verdetto. Nel frattempo però, come già accennato sono molti i segreti piccoli e grandi emersi dai documenti in mano agli avvocati, alcuni dei quali rivelatori su un certo modo di rapportarsi tra i big dell'industria. Ad esempio, da uno scambio di email, abbiamo appreso come Epic Games abbia sostanzialmente imposto a Sony il cross-play di Fortnite, offrendo in cambio una ricca contropartita in termini di immagine e vantaggi monetari, compreso un accordo per cui il produttore hardware riceve delle compensazioni in caso il cross-play riduca la sua parte dei ricavi.
Molto interessanti anche alcune cifre emerse dal processo, come quelle spese da Epic Games per poter regalare alcuni giochi. La tabella mostra non solo il prezzo dei singoli giochi, ma anche il loro vero obiettivo: l'acquisizione di nuovi utenti. Molti leggendola si sono concentrati solo su quanto pagato da Sweeney e compari per singolo gioco, senza badare a due colonne molto più rilevanti che giustificano l'intera operazione: quella sui nuovi account registrati per singolo gioco e quella del costo unitario della singola acquisizione. Ad esempio, leggendo attentamente si scopre che regalare Celeste non è stato un buon affare, non solo per il prezzo del gioco (750.000 dollari), ma anche per il costo unitario dei nuovi account (12.00$). In questo senso un regalo costosissimo come quello della serie Batman Akham (1.500.000$) si è rivelato più conveniente in termini di numero di nuovi utenti acquisiti, con un costo unitario degli stessi di soli 2,44$.
Altro documento molto interessante è quello che ha svelato il prezzo dell'esclusiva temporale di Borderlands 3 sull'Epic Games Store: 115 milioni di dollari complessivi. Sostanzialmente Epic Games ha coperto tutti i rischi della versione PC del gioco a prescindere dalle vendite, rendendo l'affare particolarmente conveniente per 2K Games e Gearbox. Questa cifra ci fa anche capire quanto può arrivare a costare un'esclusiva temporale: di fatto anche più che produrre un gioco tripla A. Del resto Epic stessa ha offerto 200 milioni di dollari a Sony per avere i suoi giochi PC in esclusiva sull'EGS (e avrebbe voluto anche quelli di Microsoft e Nintendo).
Per chiudere, citiamo lo scambio di email tra Tim Sweeney e Phil Spencer (il capo di Xbox), da cui emerge non solo la grande confidenza tra i due, ma anche di come a certi livelli si sappia in anticipo i passi che stanno compiendo i partner economici. Ad esempio il patron di Epic Games sapeva che Microsoft stava studiando come rendere gratuito il multiplayer dei titoli free-to-play, eliminando il vincolo dell'abbonamento Live, e che stava provando a far arrivare l'Xbox Game Pass, tramite xCloud, anche sulle altre console. D'altro canto Spencer era stato messo al corrente che qualcosa stava per accadere e che Epic Games si sarebbe mossa contro Apple e Google (confessando di fatto la premeditazione del tutto).
Di solito gli utenti pensano che queste compagnie siano isole, ossia che non abbiano alcun contatto tra di loro, mentre le carte del processo mostrano che è esattamente il contrario: i rapporti ci sono e sono frequentissimi, perché i loro affari sono così intrecciati che è impossibile non parlare, anche tra rivali.