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PS5 non è fatta per il Giappone? Poche console e sviluppatori in fuga

PS5 non sembra una console pensata per il Giappone. Poche unità messe in vendita, sviluppatori in fuga e un direttivo sempre più occidentale.

NOTIZIA di Nicola Armondi   —   03/12/2020

Oggi, 3 dicembre 2020, è il 26° compleanno di PlayStation in Giappone. Un evento non eclatante quanto il 25°, certo, ma comunque importante. Inoltre, quest'oggi sono stati rilasciati i risultati dei PlayStation Partner Awards 2020, che celebrano i giochi più venduti in Giappone (e in Asia) tra ottobre 2019 e settembre 2020 (niente PS5, quindi). Al tempo stesso, però, è anche il giorno dell'annuncio ufficiale dell'addio a PlayStation di Keiichiro Toyama, sviluppatore di Silent Hill, Siren e, più recentemente, Gravity Rush.

In una giornata di questo tipo, sorge spontaneo porsi una domanda: Sony ha definitivamente iniziato a scappare dal Giappone? E soprattutto, anche se fosse, può ammetterlo? La risposta può arrivare tramite molteplici analisi. Prima di tutto, anche i muri sanno che il Giappone non è più il mercato di riferimento per le console fisse. Il successo del mobile è, proporzionalmente al numero di utenti, enormemente superiore rispetto a quello di altri hardware. Solo le console portatili possono rimanere a portata, come Nintendo Switch. Sony, in questo momento, è profondamente legata al mercato home console, ha abbandonato quello portatile (PS Vita) e non si è (ancora?) avvicinata al mondo mobile. Già solo da questa prima, piccola, analisi possiamo affermare che è logico pensare che PlayStation non guardi più al Giappone come a un mercato florido.

Questi sono però solo ragionamenti: logici e condivisibili, certo, ma molto generici. Guardiamo quindi ai fatti più recenti. PS5, secondo i dati di Famitsu, ha venduto nella sua prima settimana 118,000 unità (Standard e Digital sommate), con altre 83,000 circa nelle due settimane successive (dati che si fermano quindi al 29 novembre). Un risultato leggermente superiore rispetto alle 88,000 unità della prima settimana di PS3 (storicamente la console con il peggior lancio di Sony, per ovvio motivi), ma di certo non comparabile con le 322,000 unità di PS4 vendute nei primi sette giorni.

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Sia chiaro, questi dati non vanno letti come il livello di interesse dei giocatori. In questo momento PS5 è sold-out in tutto il mondo (così come Xbox Series X|S). I numeri indicati da Famitsu vanno quindi letti come il livello di interesse di Sony stessa che, dovendo gestire le scorte, ha molto probabilmente preferito dare priorità ad altri mercati. Ricordiamoci anche che, almeno stando alle parole del CEO di PlayStation - Jim Ryan -, al lancio sono state messe in commercio più PS5 di quante PS4 fossero disponibili nel 2013. Non possiamo quindi affermare che le scorte giapponesi fossero inferiori per cause di forza maggiore.

Impossibile leggere questi dati e non pensare che la "compagnia giapponese" non sia poi più così "giapponese". Con un pizzico di orgoglio, possiamo anche notare come PlayStation sia gestita oramai perlopiù da europei, come Hermen Hulst, co-fondatore di Guerrilla Games, "promosso" poi a capo dei PlayStation Worldwide Studios. Le operazioni, inoltre, sono gestite a San Mateo, negli Stati Uniti d'America. PlayStation continua quindi a sembrare sempre più occidentale e meno nipponica.

Non dimentichiamoci poi il report di Bloomberg di inizio novembre, che cita una "figura senior" di PlayStation, la quale ha spiegato che le performance in Giappone di PS4 hanno deluso il direttivo, con conseguente decisione di spostare il focus verso altri lidi.

Quindi sì, sembrerebbe che Sony abbia già iniziato a fuggire, ma al tempo stesso non è pronta o non può dirlo, non solo perché danneggerebbe il mercato nipponico, ma anche quello mondiale. Ammettere di "aver fallito", o anche solo di non essere più attuale "a casa propria", non è mai un buon segno. Inoltre, c'è ancora una buona fetta di fan storici che considerano PlayStation come un marchio prettamente nipponico, legato a Final Fantasy, Resident Evil, Castlevania e a tutte quelle IP che hanno fatto sognare i fan per anni e anni.

Per fortuna, sembra che PlayStation non voglia dire addio ai giochi nipponici, come confermano le recenti partnership con Final Fantasy 7 Remake e Final Fantasy 16 (ma anche Resident Evil Village, che pur essendo multipiattaforma è pubblicizzato molto in combo con PS4/PS5).

L'impressione che abbiamo, quindi, è che il Giappone non è morto, semplicemente non è più la casa di PlayStation e non crediamo ci sia nulla di male.

Voi cosa ne pensate? Parliamone!