Una delle maggiori fonti di munizioni per le battaglie da trincea dei console warriors (almeno per alcune fazioni) è sempre stata fornita dai dati di vendita, considerati giustamente un indice del successo dei giochi e, meno giustamente, per estensione, anche della qualità dei prodotti. A prescindere dall'effettiva sensatezza di queste visioni, il problema è che tali discussioni sono sempre più minate da una fallacia fondamentale che sta assumendo sempre più rilevanza con l'avanzare degli anni, sebbene non sia molto evidente: il fatto che questi dati di vendita racconta solo una minima parte della realtà effettiva del mercato videoludico. Con l'avanzare inesorabile del mercato digitale, ma anche dei nuovi sistemi di produzione, distribuzione e fruizione, i dati e le classifiche che provengono dai vari paesi hanno rappresentano sempre meno la realtà dei fatti in maniera precisa.
Perché riportarli, dunque? Perché si tratta comunque degli unici dati a cui abbiamo liberamente accesso, purtroppo. Con lo spostamento degli acquisti in ambito digitale, i flussi di vendita sono controllati direttamente dai produttori di console, che gestiscono i propri store specifici per piattaforma, o dalle piattaforme di digital delivery come Steam, GOG ed Epic Games Store, che difficilmente rendono pubblici i dati in loro possesso, o quantomeno non lo fanno a cadenza regolare. Quello che rimane di facilmente accessibile al pubblico sono dunque solo i numeri forniti dai sistemi di raccolta dati tradizionali, legati al buon vecchio mercato retail dei giochi su supporto fisico e venduti in negozio, spesso nemmeno precisissimi e oltretutto corrispondenti a una piccola parte del mercato vero e proprio.
Per avere un'idea di quale possa essere la differenza tra i dati pubblici e quelli effettivi sul venduto basti vedere la notizia di oggi sul fatto che di Call of Duty Vanguard su Xbox il 90% delle copie vendute sono digitali in UK, o il fatto che Xbox Series S, che è solo digitale, rappresenti la versione più diffusa delle nuove console Microsoft.
È con questa idea ben presente in mente che dobbiamo guardare i tradizionali dati di vendita che vengono pubblicati di settimana in settimana, prima di lanciarsi in battaglia. È comunque vero che questi dati possono fornire quantomeno un'indicazione sulle tendenze del mercato: la classifica è comunque indicativa dei gusti del pubblico, così come lo split di copie vendute tra piattaforme dà un'idea efficace di quale sia il rapporto di forze tra le quote di mercato, senza però avere la pretesa che le quantità riferite alle copie fisiche abbiano un valore preciso e assoluto. Insomma, è certo che una percentuale come l'84% (un numero a caso) riportato nei dati di vendita di GamesIndustry non sia propriamente efficace nel rappresentare la realtà dei fatti e i rapporti di vendita, ma la tendenza che indica è molto probabilmente corretta.
Poi ci sarebbe un discorso ancora più ampio da fare sui cambi di paradigma che stanno caratterizzando il mercato videoludico in questi anni, ma probabilmente è ancora presto per fare valutazioni di questo tipo. Di fatto, con lo spostamento dell'attenzione verso i servizi e la progressiva "smaterializzazione" dell'hardware da gioco verso il cloud e sistemi simili, oltre alla presenza pervasiva del PC, potrebbe diventare sempre più marginale anche la quantità effettiva di piattaforme vendute, ma questo è un elemento che al momento vale in gran parte per Microsoft, perché sia Sony che soprattutto Nintendo sono ancora legata a un modo di fare mercato molto più tradizionale. D'altra parte, diventa sempre più difficile fare confronti diretti in un sistema misto che da una parte segue le dinamiche classiche della vendita al dettaglio e dall'altra punta più all'acquisizione di abbonati, utenti di servizi o ore di "coinvolgimento attivo" sui prodotti, piuttosto che copie vendute in negozio.