Roblox... Confessatelo, molti di voi non sanno bene di cosa si tratti. Magari siete tra quelli che passano la maggior parte del loro tempo libero con i videogiochi, scalciando per avere l'ultima novità in uscita per console o per PC, ma il titolo di Roblox Corporation lo avete prontamente ignorato, perché tra una corsa a Forza Horizon 4 e un colpo d'ascia a God of War non lo avete mai trovato particolarmente appetibile. Forse vi è stato proposto da Google Play o dall'App Store, ma non avete nemmeno perso tempo a installarlo. Cos'è, vi sarete detti, un altro clone di Minecraft? A chi potrebbe mai interessare? Immaginiamo anche che siete tra quelli che stamattina si sono chiesti increduli perché Roblox Corp. sia stata quotata 45 miliardi di dollari nella borsa americana, più di colossi come EA e Take-Two.
Tranquilli, non siete soli. Il vostro stupore è condiviso da molti. Se guardiamo alla classifica dei videogiochi che hanno prodotto più ricavi nel 2020, scopriamo che i Roblox sono più di quanti si possa pensare. Ad esempio in quanti di voi giocano a Honor of Kings? E a Garena Free Fire? AFK Arena vi dice qualcosa? Oppure sapevate che PUBG, dato per morto da molti, ha prodotto quasi tre miliardi di dollari di ricavi nel corso dell'anno? O, ancora, che Candy Crush Saga, il gioco cui probabilmente gioca vostra madre o vostra nonna, ne ha prodotti 1.666.000.000?
Il mondo dei videogiochi è inesorabilmente cambiato e molti non se ne vogliono rendere conto, primi fra tutti noi giornalisti che continuiamo a ignorare certi fenomeni come se facessero parte di un'altra industria, spinti da un pubblico che fondamentalmente tende a ignorarli. La verità è che questa espansione del mercato non ci piace molto, perché nega tutto ciò che il videogioco è stato fino a qualche anno fa. Non ci piacciono le frotte di ragazzini che avviano Roblox e ci passano le ore, per poi tormentare i genitori per farsi acquistare qualche Robux così da comprare skin a pagamento da sfoggiare sui server. Non ci piace l'idea del videogioco come piattaforma dentro cui vendere moneta virtuale. Non ci piace, in sostanza, l'idea che il concetto generale di videogioco sia in antitesi con quello che abbiamo inseguito e venerato per anni: da esperienza a passatempo leggero, leggerissimo, quasi insignificante.
In fondo ciò che ci manda ai pazzi è che ci troviamo in un mondo in cui ha vinto tutto ciò che disprezzavamo e che ci ha spinto in prima istanza a fuggire negli splendidi mondi virtuali di cui abbiamo fruito nel corso degli anni e di cui continuiamo a fruire anche adesso. Ciò che non sopportiamo è di esserci ritrovati improvvisamente minoranza in un medium che guarda con sempre maggiore interesse al nostro compagno di scuola, il bulletto cui piace sfoggiare i suoi ultimi acquisti per farsi bello con amici e ragazze. Qualcuno gli ha dato il modo di farlo virtualmente, trasformandolo in un videogiocatore, e la cosa ci fa incazzare, tanto che proviamo in tutti i modi a marginalizzarlo culturalmente nei nostri discorsi, come se gli importasse qualcosa e come se avesse senso farlo. Ciò che però odiamo di più è altro, ossia che chi crea videogiochi pensi a lui e non a noi. Viviamo una specie di sindrome da abbandono. Razionalmente lo comprendiamo, ma non lo accettiamo e questo ci avvelena.