Un uomo e il suo cane: non siamo in un film post apocalittico, ma il dolore e la solitudine sono comunque presenti. Tony Johnson è un giornalista di un piccolo quotidiano di provincia, il Tambury Gazette, e, dopo la morte della moglie Lisa (Kerry Godliman), è caduto in una forte depressione. Non riuscendo a colmare il vuoto lasciato dalla compagna di una vita, tenta il suicidio: è proprio il cane Brandy a salvarlo. Da allora Tony decide di fare e dire tutto quello che pensa: le conseguenze non contano. A un anno di distanza dal primo ciclo di episodi, possiamo scrivere la recensione di After Life 2, dal 24 aprile su Netflix.
Le seconda stagione di After Life è sempre scritta, diretta e interpretata da Ricky Gervais. Ancora sei episodi da 25-30 minuti l'uno da vedere tutti di fila. A differenza della prima, in cui la rabbia e la negazione del lutto erano predominanti, qui Tony passa alla terza fase del dolore, quella del patteggiamento. Gli eccessi di ira si fanno più radi (tranne quando qualcuno proprio non ce la fa a soffiarsi il naso), per lasciare il posto a una sarcastica, e meno violenta, osservazione del prossimo.
"Non sei lo scorpione, sei la rana"
La prima stagione di After Life ha spiazzato molti amanti di Ricky Gervais: il comico inglese ci ha abituato al suo umorismo politicamente scorretto e feroce per cui, come spiega bene nello spettacolo Humanity (disponibile su Netflix), non deve scusarsi o giustificarsi. Il ruolo di Tony, nonostante sia comunque pungente, è molto lontano dalla sua comicità aggressiva. E non c'è niente di male.
Gervais stesso sembra dirlo al pubblico in una scena di questa seconda stagione, in cui la vedova Anne (la sempre immensa Penelope Wilton, ovvero Isobel Crawley in Downton Abbey), che incontra puntualmente al cimitero, gli racconta la storia della rana e dello scorpione: Tony crede di essere l'artropode, invece è l'anfibio. D'altra parte se avesse voluto essere se stesso, o comunque la sua versione da stand-up comedy, avrebbe fatto un altro spettacolo. Questa invece è la storia di Tony. E Tony è un uomo che cerca di reagire come può a un dolore che sembra insuperabile.
L’importanza del contatto umano
A poco a poco, senza quasi accorgersene, nonostante guardare i video della moglie gli faccia ancora versare fiumi di lacrime, l'uomo si apre sempre di più al mondo: tenta di combinare un appuntamento tra il suo postino, Pat, e la professionista del sesso Daphne (che sul lavoro si fa chiamare Roxy). Prova a stare dietro a Matt, sull'orlo di una crisi di nervi, direttore del giornale e suo cognato. Si occupa del padre Ray (David Bradley), affetto da demenza e assistito in una casa di cura, dove continua a cercare lo sguardo e la risata contagiosa dell'infermiera Emma (Ashley Jensen). È sempre più attento ai sentimenti degli altri, quando prima invece, sconvolto dal lutto, pensava egoisticamente soltanto al proprio dolore. Tony sembra quindi aver riscoperto l'importanza del contatto umano e trovato un nuovo equilibrio. Almeno fino a quando non si presenteranno nuovi problemi.
È tutta qui la forza di After Life: per raccontare qualcosa di così intimo e personale, eppure così comune, come la perdita di una persona cara, non ci si può affidare all'eccesso. Per essere veri bisogna puntare alla realtà. E, banalmente, la realtà non urla, non si strappa i capelli, non fa scene madri. Almeno non nella maggior parte dei casi. Quando chi ami di più se ne va, il mondo ti cade addosso. Dentro ti si apre uno squarcio freddo e buio, è quasi come se avessi perso una parte del corpo. Eppure il mondo va avanti. Gervais lo racconta con una semplicità quasi brutale. "L'importante non era fare cose eccezionali con lei, ma non fare niente con lei" dice Tony parlando di Lisa. L'apparente linearità della serie serve proprio a questo: cogliere quel dolore che sembra strapparci via pezzi di carne, ma di cui il mondo non sa, e non può sapere, nulla.
Conclusioni
Multiplayer.it
8.0
Come scritto nella recensione di After Life 2, Ricky Gervais torna nei panni meno caustici e più umani di Tony Johnson, giornalista devastato dalla scomparsa della moglie. Se nella prima stagione l'uomo ha affrontato le prime due fasi dell'accettazione del dolore, negazione e rabbia, qui arriva al terzo stadio, quella dell'elaborazione. Il suo cinismo lascia lentamente spazio alla ricerca del contatto umano, permettendogli di aprirsi di nuovo al mondo. Almeno fino a quando la vita non gli presenta nuovi problemi. Gervais scrive, dirige e interpreta anche questi sei nuovi episodi, che volano uno dietro l'altro.
PRO
- Ricky Gervais è sempre più bravo nel raccontare il dolore
- Il resto del cast è composto da attori di altissimo livello
- La serie ha un effetto catartico
CONTRO
- Chi ama il Ricky Gervais più cattivo e scorretto qui non trova quello che cerca