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Avatar: La leggenda di Aang, la recensione del nuovo adattamento su Netflix

La famosissima serie Nickeleodeon diventa in carne e ossa nel nuovo adattamento targato Netflix: ecco le nostre impressioni sulla prima stagione.

Avatar: La leggenda di Aang, la recensione del nuovo adattamento su Netflix
RECENSIONE di Christian Colli   —   24/02/2024

Netflix ha appena superato le prove di One Piece e Yu Yu Hakusho - e non credete che abbiano messo tutti d'accordo, perché non è così - e ora tocca a una serie a dir poco leggendaria: prodotta da Nickelodeon e trasmessa per tre stagioni e 61 episodi tra il 2005 e il 2008, Avatar: The Last Airbender (questo il titolo originale) ha letteralmente cambiato il panorama televisivo per ragazzi, vinto uno sproposito di premi, raggiunto lo stato di culto, generato uno splendido sequel (La leggenda di Korra, quattro stagioni) e un tie-in cinematografico sul quale stenderemo un velo pietoso per rispetto nei confronti del regista M. Night Shyamalan.

Avatar è entrato nel catalogo di Netflix intorno al 2020, in un periodo in cui i temi affrontati dalla serie - creata da Michael Dante DiMartino e Bryan Konietzko - hanno trovato particolarmente riscontro nel pubblico, specialmente quello statunitense. Il suo rinnovato successo ha convinto la piattaforma di distribuzione digitale a farne un live action, che è rimasto in cantiere per anni e che finalmente è disponibile da qualche giorno: nella nostra recensione di Avatar: La leggenda di Aang vi racconteremo se Netflix ha fatto centro oppure no.

La storia e i personaggi

I costumi di Avatar ricordano fedelmente quelli della serie animata
I costumi di Avatar ricordano fedelmente quelli della serie animata

Per chi non sapesse cos'è Avatar, vale la pena partire dal principio. No, non è ambientato su Pandora e non ci sono alieni color Puffo: in questo mondo fantasy, che ricorda il nostro, esistono quattro nazioni legate ad altrettanti elementi naturali. In ciascuna di queste quattro società esistono degli individui capaci di "dominare" l'elemento corrispondente, controllarlo cioè con un misto di telepatia e arti marziali, ma solo il predestinato Avatar è in grado di dominare tutti e quattro gli elementi, e quindi di mantenere la pace nel mondo grazie ai suoi enormi poteri.

La leggenda di Aang comincia quando il piccolo protagonista - Aang, appunto, un dominatore dell'aria - scopre di essere il nuovo Avatar. I belligeranti dominatori del fuoco, però, non conoscono l'identità dell'Avatar, pertanto lanciano un attacco indiscriminato contro i Nomadi dell'Aria col preciso scopo di sterminarli tutti e togliere di mezzo l'unico dominatore che potrebbe ostacolare le mire espansionistiche della Nazione del Fuoco. Per una serie di circostanze, Aang sopravvive alla strage e resta ibernato nel ghiaccio per cento anni.

E questa è la prima differenza, tra la serie animata e il remake in carne e ossa di Netflix, che inquadra un po' tutto il tono di questa produzione fin dalle primissime battute: il massacro è inscenato all'inizio della serie, con un'efferatezza che, pur non sfociando nel sanguinolento, lascia poco all'immaginazione. In questi primi minuti abbiamo temuto che La leggenda di Aang sarebbe stata un'interpretazione inutilmente più adulta e violenta di un cartone animato che sapeva parlare a tutte le età grazie a una scrittura brillante e a una convincente caratterizzazione dei personaggi. Per fortuna non è andata così, ma la serie targata Netflix si mantiene sempre su un confine che ogni tanto scavalca pure, sempre senza eccessi.

A onor del vero, la stagione condensa in otto episodi i venti che compongono il Libro uno della serie animata originale, schiacciando l'acceleratore su alcuni passaggi, saltandone completamente altri o mischiando alcuni archi narrativi per arrivare alla naturale conclusione di questo primo ciclo di storie. Da un punto di vista prettamente narrativo, nonostante la percepibile frettolosità del racconto, La leggenda di Aang funziona e la maggior parte dei rimaneggiamenti ci è sembrata grossomodo efficace, soprattutto l'introduzione anticipata del personaggio di Azula.

Daniel Dae Kim interpreta Ozai
Daniel Dae Kim interpreta Ozai

È sulla caratterizzazione dei personaggi che la serie Netflix funziona meno. All'inizio della storia, Aang viene liberato involontariamente da Katara e Sokka, due fratelli che appartengono alla Tribù dell'Acqua. La Nazione del Fuoco ha stretto il mondo in una morsa d'acciaio durante l'assenza dell'Avatar, perciò Aang deve intraprendere un viaggio per imparare a dominare gli altri elementi se vuole ristabilire la pace mettendo al suo posto il Signore del Fuoco, Ozai. Quest'ultimo ha un figlio, Zuko, che per impressionare l'arido genitore e riprendersi il posto al suo fianco intende catturare Aang a tutti i costi. L'intreccio porta questi personaggi a percorrere strade parallele che si incrociano occasionalmente e convergono nel finale, che ovviamente lascia le porte aperte a un seguito.

La serie originale di DiMartino e Konietzko si appoggiava a una scrittura sopraffina dei personaggi che, nel corso dei vari episodi, crescevano e maturavano in modo credibile grazie alle sfide che superavano insieme o individualmente. Accorciando la maggior parte di questi archi narrativi personali, i creatori della serie live action - che DiMartino e Konietzko hanno abbandonato durante la lavorazione - hanno giocoforza stringato lo sviluppo dei protagonisti, alcuni dei quali possiedono una caratterizzazione meno soddisfacente degli altri.

La storia inizia quando Katara e Sokka svegliano Aang da un sonno centenario
La storia inizia quando Katara e Sokka svegliano Aang da un sonno centenario

È in particolare Katara a pescare la pagliuzza più corta: il suo addestramento nel dominio dell'acqua non ha lo stesso peso della versione animata, perciò il suo personaggio appare piuttosto statico rispetto a quello del fratello Sokka, che invece ci è sembrato molto più a fuoco nel suo duplice ruolo di coprotagonista e spalla comica. Per questo motivo, l'attrice Kiawentiio non ha moltissimo materiale su cui lavorare, mentre Ian Ousley ci ha sorpreso più positivamente grazie a una buona espressività.

In generale, i due coprotagonisti non sono proprio eccezionali per quel che riguarda la recitazione - per fare un paragone, abbiamo trovato più convincenti le tre star della recente Percy Jackson e gli dèi dell'Olimpo - ma hanno una buona chimica insieme a Gordon Cormier, che interpreta Aang. Cormier calza a pennello nel ruolo di un acerbo adolescente ma, ancora una volta, la sceneggiatura affretta il raggiungimento di quella maturità che nella serie animata conquistava dopo varie peripezie, e che qui sembra essere invece una caratteristica innata del personaggio.

Gli ottimi Paul Sun-Hyung Lee e Dallas Liu sono Iroh e Zuko.
Gli ottimi Paul Sun-Hyung Lee e Dallas Liu sono Iroh e Zuko.

Diciamo che agli occhi di un fan della serie Nickeleodeon queste incongruenze non passano inosservate, ma La leggenda di Aang tutto sommato scorre che è un piacere, senza tempi morti o divergenze significative, a parte qualche cambiamento nel corpo centrale della stagione che inizialmente lascia perplessi ma poi trova una sua quadra. Il resto del cast è convincente, in particolare Elizabeth Yu nei panni di Azula, Zuko - Dallas Liu è davvero bravo! - e lo zio Iroh, interpretato dall'ottimo Paul Sun-Hyung Lee che abbiamo già visto in The Mandalorian.

Anche Ken Leung e Daniel Dae Kim, due vecchie conoscenze di Lost che interpretano, rispettivamente, Zhao e Ozai, sono ottimi attori, ma sul secondo dovremo attendere le prossime stagioni per esprimere un giudizio più preciso: per ora i cambiamenti sottili alla sua caratterizzazione restano molto ambigui e potrebbero consolidare o rovinare completamente il suo ruolo di antagonista.

Un live action riuscito?

Lo Stato dell'Avatar trasforma Aang in un dominatore potentissimo
Lo Stato dell'Avatar trasforma Aang in un dominatore potentissimo

La leggenda di Aang è sicuramente un adattamento divisivo, come lo sono spesso queste trasposizioni live action di opere animate che sono rimaste impresse nel cuore del pubblico, ma se è vero che i fan di Avatar si troveranno a battibeccare su questo o quel cambiamento, è difficile immaginare che si possa criticare una messinscena tanto curata e fedele all'originale. Dai costumi pressoché identici a quelli dei personaggi animati, se non impreziositi da dettagli che incorporano le caratteristiche che non sono state trasposte in carne e ossa - come le scaglie di drago sulla tunica di Roku - alla realizzazione in computer grafica di creature come Appa o Momo, per non parlare di alcuni scenari che riproducono realisticamente i panorami mozzafiato del cartoon.

Anche gli attori sono stati scelti e truccati in modo che ricordassero il più possibile le loro controparti animate. Nella maggior parte dei casi la produzione ha fatto centro, prendendosi qualche libertà che forse rende anche più interessanti i look di alcuni personaggi minori. Non mancano poi easter egg e citazioni a profusione della serie Nickeleoden ma anche di altre.

Diversamente dalla serie animata, Azula entra in scena già nella prima stagione live action
Diversamente dalla serie animata, Azula entra in scena già nella prima stagione live action

La regia tutto sommato fa il suo dovere senza strafare o raggiungere chissà quali picchi di originalità ma la fotografia è spesso molto buona e la colonna sonora di Takeshi Furukawa - il compositore del pluripremiato videogioco The Last Guardian, per intenderci - accompagna la visione efficacemente, soprattutto nei momenti chiave della storia.

Siamo rimasti anche positivamente sorpresi dalla coreografia nelle scene d'azione, specie nella resa visiva delle arti marziali con cui i dominatori controllano gli elementi. Era difficile replicare uno stile di combattimento così armonico, affascinante e spettacolare, ma in qualche modo ci sono riusciti e la maggior parte degli scontri sembra uscire dal cartone animato Nickeleodeon, al netto di qualche effetto speciale un po' più grossolano che salta all'occhio proprio perché la qualità generale della serie è sopra la media.

I combattimenti tra dominatori sono realizzati molto bene
I combattimenti tra dominatori sono realizzati molto bene

È chiaro che Netflix ha investito parecchie risorse nella realizzazione di una serie live action che avrebbe dovuto essere il gioiello della sua corona. Questa prima stagione de La leggenda di Aang in effetti ci ha convinto, anche se ci sono diverse spigolosità da limare, soprattutto per quanto riguarda i dialoghi, la recitazione dei protagonisti e la caratterizzazione dei personaggi, che merita sicuramente maggiore cura rispetto a quello che riteniamo essere un buon inizio.

Ora, però, Netflix dovrà correre, perché restano due stagioni da raccontare e gli attori - specie il protagonista, Cormier - non aspetteranno i tempi della produzione per crescere. L'omissione di alcuni aspetti della storia originale permettono un margine di manovra più ampio in questo senso, e anche se non sappiamo ancora se la serie sarà rinnovata, i presupposti per migliorarla e farci dimenticare una volta per tutte il film cinematografico ci sono tutti. La serie Nickeleoden è ancora lì, pronta ad essere riguardata e amata: se dovete proprio scegliere, vi consigliamo il cartoon, ma questa potrebbe diventare una valida alternativa.

Conclusioni

Multiplayer.it

7.5

Avatar: La leggenda di Aang è il più recente tentativo di trasformare in carne e ossa una serie animata di successo, e probabilmente non sarà neanche l'ultimo, ma pian piano si sta cominciando a capire che l'importante è restare fedeli allo spirito dell'opera originale, anche rimaneggiandone la narrativa secondo necessità. Ecco, La leggenda di Aang è rispettosa della serie animata quantomeno nell'estetica, ma non sempre riesce ad azzeccare la caratterizzazione dei personaggi che forse avrebbero avuto bisogno di più episodi per respirare. Le basi di questa prima stagione sono tuttavia solidissime: basterà solo aggiustare un po' il tiro per fare un centro perfetto.

PRO

  • Il look è fedelissimo alla serie animata originale
  • Alcuni cambiamenti alla trama funzionano abbastanza bene

CONTRO

  • I personaggi non sono caratterizzati perfettamente come nel cartoon
  • I tre attori protagonisti sono ancora un po' acerbi