Più di 500 milioni di volumi a fumetti venduti in tutto il mondo, quasi 1100 episodi dell'anime, oltre venticinque anni di serializzazione: i numeri ormai li conosciamo tutti, e molti di noi sono cresciuti cercando il One Piece. Alcuni, magari, lo hanno seguito a singhiozzo, come succede spesso con pubblicazioni così longeve, e si sono rimessi in pari solo di tanto in tanto. Un amore a fasi alterne, insomma, per un immaginario strabordante di energia, eccessivo - forse troppo - e meticoloso come le tavole del maestro Oda.
Per tutti quelli che non hanno mai solcato i suoi mari strampalati, la serie TV prodotta da Netflix potrebbe essere un'occasione perfetta per cominciare - o ricominciare - questa storia d'amore. Ma come sempre accade con le trasposizioni in carne e ossa degli anime, non mancano dubbi e perplessità all'orizzonte. Soprattutto in questo caso: non stiamo parlando di Cowboy Bebop, che tutto sommato metteva in scena un mondo realistico e credibile, ma di un'opera caricaturale, cartoonesca già nelle proporzioni e nei tratteggi. Qualcosa di complicatissimo da portare sul piccolo schermo, senza una visione e un amore smodato per il marchio.
Fortunatamente, questi primi otto episodi hanno confermato ciò che Netflix ha cercato di dirci per mesi: che dietro c'è la supervisione di Eiichiro Oda, che i produttori e i registi amano davvero alla follia la sua opera, che il cast selezionato con cura si è divertito un mondo a interpretare questi personaggi immaginari. E nella nostra recensione di One Piece su Netflix vi spieghiamo cosa ci è piaciuto, e cosa ci ha convinto meno, di questo primo, ma promettente, adattamento in carne e ossa.
Una nuova visione
La prima sfida che hanno dovuto affrontare i produttori della serie TV è stata sicuramente quella contro il tempo. Gli otto episodi da un'ora circa ciascuno comprimono suppergiù i primi cento capitoli del manga, così la stagione copre gli archi narrativi principali di questa prima parte di One Piece, rimaneggiando la storia con una sensibilità che conferma decisamente il coinvolgimento di Oda. Per esempio, invece di raccontarci subito l'infanzia del protagonista, la trasposizione televisiva comincia in medias res con Luffy già per mare alla ricerca del famigerato tesoro di Gol D. Roger: scopriremo la sua storia solo attraverso i flashback saggiamente spezzettati nel corso dei primi quattro episodi.
Nonostante la struttura più calcolata del racconto, One Piece non è una serie bilanciata, ma è probabile che a soffrire i rallentamenti nel ritmo della narrazione saranno soprattutto i fan di lunga data che, bene o male, conoscono già vita, morte e miracoli di questi personaggi. La serie TV, infatti, si prende il suo tempo per costruire i rapporti, approfondire i protagonisti e i loro caratteri, sfruttando i momenti più logici e opportuni tra una scena d'azione e l'altra. In questo modo, i momenti cruciali della storia riescono ad avere il forte impatto emotivo che può entusiasmare e commuovere anche lo spettatore più granitico.
Un altro rimaneggiamento della storia - e forse il più interessante di tutti - riguarda lo spazio concesso prepotentemente al personaggio di Koby, interpretato da Morgan Davies, visto di recente sul grande schermo ne La casa: Il risveglio del male. Chi ha letto il manga o ha visto l'anime conosce l'importanza di questa sottotrama, che nella serie TV insiste tantissimo sul legame che si instaura tra il giovane cadetto e il viceammiraglio Garp. L'adattamento sostanzialmente trasforma le microstorie sulle copertine dei singoli capitoli del manga in una sottotrama coerente e compiuta, articolando ulteriormente la messinscena con un piglio molto più televisivo.
L'opera originale di Eiichiro Oda cambia spesso prospettiva, mostrandoci quanto accade anche a più e più leghe di distanza dai protagonisti, e lo stesso succede nella serie TV che, fin da subito, mette in scena antagonisti e comprimari che formano, tutt'insieme, un cast vario e numeroso. Piccoli tocchi di classe, come i manifesti che compaiono in sovrimpressione ogni volta che fa la sua comparsa un nuovo pirata, servono a ricordarci costantemente che One Piece vuole essere tutto tranne che realistico.
Che dietro ci sia una passione enorme per l'opera originale si capisce fin dalle primissime scene: ogni set, in computer grafica totale o solo parziale, è stato costruito con una meticolosa cura per i dettagli che richiama i disegni originali di Oda. La fortezza di Shells Town, la villa di Kaya a Syrup, il ristorante Baratie sembrano letteralmente usciti dalle pagine del manga o dalle scene dell'anime. Anche la computer grafica si comporta bene; qualche momento è più debole di altri - in particolare quando Luffy si allunga - ma in generale il risultato è di buona fattura, specie nelle ricostruzioni degli scenari durante i campi totali o nei combattimenti che, tuttavia, si appoggiano soprattutto alla coreografia che agli effetti speciali.
Però, appunto, One Piece è un'opera tutto tranne che realistica. Il mondo di Luffy e compagnia è popolato da mostri marini, umanoidi che indossano i capi più eccentrici, cyborg e montagne di muscoli sproporzionate. La serie live action riduce tutti questi aspetti caricaturali alla dimensione umana con risultati contrastanti.
Per dire, il feroce Morgan Mano d'ascia, rappresentato nel fumetto come un energumeno di quasi tre metri, nella serie TV è alto forse poco più di Zoro, e l'attore che lo interpreta (Langley Kirkwood) non è esattamente una montagna di muscoli. Se Vincent Regan, che interpreta Garp, compensa la statura ridimensionata del suo personaggio con un portamento e un carisma fenomenali, allo stesso tempo McKinley Belcher III non riesce a intimidire come dovrebbe fare il pirata che interpreta, Arlong, e questo nonostante il trucco e le protesi che lo fanno somigliare davvero al personaggio del fumetto e dell'anime.
Lo stesso discorso si potrebbe fare al contrario per personaggi come Hermeppo, che perde i suoi lineamenti deformati a favore del look un po' fighetto di Aidan Scott, ma in buona sostanza i risultati sono altalenanti: personaggi come Shanks, Kuro, Buggy o Zeff sono praticamente identici alle loro controparti immaginarie, mentre altri sono meno convincenti. In generale, però, si può dire che nei Tomorrow Studios si sono sforzati di rimanere quanto più fedeli possibile all'estetica di Oda, specialmente per quanto riguarda i costumi e il trucco.
Pirati in carne e ossa
Insomma, ci sono dei momenti in cui le parrucche spiccano di più e i personaggi sembrano cosplayer di Lucca Comics, ma una cosa è sicura: tutti si divertono un mondo e questo a discapito di una regia che non brilla particolarmente per ricercatezza e originalità, e che abusa un po' troppo dei primi piani finendo, qualche volta, per apparire stucchevole. Il risultato dipende da chi sta dietro la cinepresa, naturalmente, a palleggiarsi questa prima stagione sono quattro registi diversi, ma alcuni episodi - come quelli incentrati su Sanji - ci sono apparsi nettamente migliori di altri sotto questo aspetto.
Per fortuna la recitazione sopra le righe e la colonna sonora, davvero ottima, contribuiscono ad alleggerire il carico sulla regia: gli attori di One Piece non sono straordinari, e spesso appaiono anche eccessivi nei manierismi e nelle espressioni, ma per assurdo le loro interpretazioni scavalcano quel confine tra il realismo e il cartoon che avrebbe potuto essere un totale disastro per la serie Netflix.
Trascorriamo la maggior parte del tempo in compagnia di Luffy e della sua ciurma, e questi otto episodi confermano la bontà del casting, che era probabilmente il nodo più critico da sciogliere di questa produzione. Sebbene non tutti gli attori siano perfettamente somiglianti alle loro controparti animate o cartacee, possiamo dire che i protagonisti ci hanno convinto pienamente, specialmente il Luffy di Iñaki Godoy, così pieno di grinta e vitalità. Mackenyu nei panni di Zoro è una scelta praticamente perfetta, soprattutto una volta che lo si vede impugnare le sue katana ed entrare in azione, e lo stesso si può dire per il Sanji di Taz Skylar. Anche Emily Rudd e Jacob Romero Gibson funzionano nelle parti di Nami e Usopp, rispettivamente, anche se ci hanno convinto un po' meno rispetto agli altri pirati della Going Merry.
Parrucche e costumi a parte, l'importante era azzeccare l'alchimia tra questi attori, e possiamo dire che ci siano riusciti: non appena si ritrovano tutti insieme nella stessa scena, sembra davvero che i personaggi di Oda stiano prendendo vita sullo schermo. I giovani attori hanno fatto i compiti a casa; sebbene ciascuno di loro ci metta qualcosa di suo, i manierismi e le interazioni sono quelle che hanno fatto amare questa ciurma di pirati disadatti a milioni di lettori e spettatori.
In questo senso, abbiamo a che fare con un adattamento buono, se non ottimo, di un'opera che sembrava impossibile portare in carne e ossa sul piccolo schermo. Nonostante ciò, la serie TV esiste in uno strano spazio, schiacciata tra un'eccessiva fedeltà all'anime e quel confine invalicabile che è il realismo. Al di là dei suoi limiti tecnici, One Piece è una serie che si guarda con la perenne sensazione che qualcosa non torni: è come se ci fosse un dettaglio che non si riesce a mettere a fuoco, come quando si ha una parola sulla punta della lingua che, per quanto ci si sforzi, proprio non si riesce a ricordare.
La passione dietro questa produzione televisiva è tangibile e i fan del manga e dell'anime riconosceranno tantissimi particolari che esprimono affetto e riverenza, mentre i nuovi spettatori potrebbero avere un dilemma: è impossibile non affezionarsi a questi personaggi e al loro universo fantastico, ma allo stesso tempo è difficile ignorare la sensazione di posticcio che caratterizza alcune riprese. È come ammirare un cosplay veramente ottimo, ma che resta comunque un simulacro dell'originale. Eppure, col passare degli episodi, l'esuberanza del cast, l'energia della colonna sonora e ogni altro piccolo dettaglio finiscono per conquistare anche lo spettatore più scettico.
Sui titoli di coda dell'ottavo episodio della stagione, non abbiamo potuto fare a meno di chiederci: ha davvero senso questo adattamento? A lungo andare, One Piece diventa uno shonen sempre più eccessivo, fatto di poteri strabilianti, nemici sovrumani e situazioni che superano ogni logica. Lasciando stare le più recenti battaglie nel manga e nell'anime, già un arco narrativo come quello di Skypiea potrebbe essere difficilissimo se non impossibile da mettere in scena, così come potrebbe essere problematico rappresentare in live action personaggi particolari come il prossimo membro che dovrebbe unirsi alla ciurma nella probabile seconda stagione.
E poi c'è il problema degli attori che cresceranno e cambieranno fisionomia, a differenza dei personaggi del manga e dell'anime, eternamente giovani. La soluzione potrebbe essere ovvia: stringere la lunghissima storia di Eiichiro Oda in poche stagioni, col rischio di scontentare i fan dell'opera originale. A Netflix dovranno trovare una quadra che faccia contenti tutti, insomma, ma per adesso hanno superato davvero le aspettative.
Conclusioni
Multiplayer.it
8.5
Probabilmente era impossibile riuscire in un adattamento live action di One Piece migliore di questo. Nonostante alcune sbavature in termini di regia e recitazione, la serie TV targata Netflix dimostra un tale rispetto reverenziale per l'opera originale che non si riesce proprio a volerle male: col passare degli episodi, persino il suo strambo look da cartone animato in carne e ossa finisce col diventarne una caratteristica peculiare. Fermo restando che il manga e l'anime sono sempre lì e nessuno li tocca, consigliamo la visione ai fan di One Piece e a tutti coloro che ancora non lo conoscono e che così potranno avere un assaggio del folle universo piratesco di Eiichiro Oda.
PRO
- Adatta l'opera originale con affetto e passione
- I protagonisti sono azzeccatissimi e hanno un'ottima alchimia
- La cura riposta nel trucco e nella messinscena è maniacale
CONTRO
- Il look mezzo realistico non convince sempre
- La regia e la recitazione possono migliorare
- Sacrifica qualche scontro o sottotrama per accorciare la storia