Cowboy Bebop non è il primo live action ispirato a un anime che abbiamo visto negli ultimi anni e di certo non sarà l'ultimo. Sappiamo già, per esempio, che su Netflix è in dirittura d'arrivo anche One Piece. Ripensandoci, abbiamo superato il trauma di Death Note e dimenticato abbastanza in fretta Bleach e Fullmetal Alchemist. I film di Rurouni Kenshin ci hanno ridato un po' di speranza nell'umanità, ma quando Netflix ha acquistato i diritti di Cowboy Bebop abbiamo avvertito un tremito nella Forza, per così dire. Non si sta parlando di una moda passeggera, perché Cowboy Bebop è stato trasmesso in patria per la prima volta nel '98, e non si sta parlando di un anime speciale, di quelli che alimentano il confronto tra chi l'ha apprezzato e chi no, e quindi sono divisivi, ma belli anche per questo.
No, stiamo parlando di Cowboy Bebop, un capolavoro assoluto dell'animazione che mette tutti d'accordo, anche perché i suoi detrattori si guardano bene dal criticarlo a voce alta, magari perché inconsciamente se ne vergognano un po', com'è giusto che sia.
Fatta questa premessa, avrete capito che Cowboy Bebop ci piaceva, e pure tanto, e potete intuire che non abbiamo preso proprio benissimo la scelta di scomodare questo mostro sacro per darlo in pasto a una generazione che magari non l'ha ancora conosciuto e che così potrebbe non avvicinarsi mai all'anime originale, peraltro disponibile per lo streaming già da qualche settimana, sempre su Netflix.
I nomi coinvolti, però, ci hanno incuriosito, cominciando da quello di Christopher Yost, che ha scritto film, comics e serie TV molto apprezzati... ma anche schifezze inenarrabili. Ci siamo quindi avvicinati alla visione con cauto ottimismo, ben sapendo che quando avremmo scritto questa recensione di Cowbow Bebop sarebbe stato difficilissimo convincere i nostri lettori di tutto e il contrario di tutto. Solo che la serie Netflix merita davvero la vostra attenzione. Anche perché, sì, farà discutere parecchio.
Una nuova storia?
In questo momento, per esempio, ci prudono le mani, perché vorremmo assolutamente raccontarvi alcuni momenti clou della serie TV per farvi capire meglio le sensazioni che abbiamo provato, ma non possiamo perché Netflix ci manderebbe davvero i sicari del Red Dragon a farci la pelle. Chiunque conosca l'anime di Shinichirō Watanabe si sarà fatto tantissime domande guardando i trailer e le foto diffuse negli ultimi tempi, domande cui non possiamo rispondere nel dettaglio o sarebbe spoiler. Perciò, no, non vi diremo se c'è o non c'è quel personaggio, tanto lo sappiamo che è la prima cosa che vi state chiedendo. Però possiamo dirvi in che modo Tomorrow Studios ha portato la visione di Watanabe nel mondo reale: lo ha fatto prendendo un po' questo e un po' quello dai 26 episodi originali, condensando alcune storyline e modificandone altre per adattarle a un contesto più attuale e credibile.
Pur riorganizzando la narrativa, gli sceneggiatori hanno seguito la traccia originale con la consulenza di Watanabe in persona e sfruttato i tempi prolungati degli episodi - circa 60 minuti ciascuno - per raccontare i personaggi e i loro retroscena, prendendosi tutto il tempo necessario. I protagonisti sono ancora quelli. C'è lo Spike Siegel di John Cho che è praticamente identico a quello animato, il burbero Jet Black e la caustica Faye Valentine. Si tratta di tre cacciatori di taglie che vivono sul Bebop, un'astronave che gira per una galassia sgangherata in cerca di quattrini. Ognuno si porta dietro un fardello che la serie esplora nel corso degli episodi, intrecciando il passato e il presente dei tre protagonisti con la minaccia del Red Dragon, un sindacato del crimine che proietta la sua ombra praticamente ovunque.
Questo giochetto fa sì che il nuovo Cowboy Bebop abbia una sua identità, senza scadere nel citazionismo eccessivo, mentre la durata contenuta della stagione garantisce due risultati rilevanti: primo, anche lo spettatore che conosce a memoria l'anime originale non si annoierà; secondo, non c'è spazio per riempitivi o episodi inutili. Non ci sono tempi morti; la serie scorre che è una bellezza, anche al netto di qualche puntata narrativamente più misurata rispetto alle altre, e mantiene un crescendo che raggiunge il suo apice nell'ultimo episodio. Ultimo, si fa per dire. Yost e il regista Alex Garcia Lopez, in una recente intervista, hanno spiegato di essere già a lavoro su una seconda stagione. Perché Cowboy Bebop non si conclude con quel Real Folk Blues dell'anime, prendendo definitivamente le distanze dall'opera di Watanabe per proiettare la nuova serie live action verso un futuro tutto suo. Possiamo solo dirvi che il finale ci ha spiazzato, incuriosito e preoccupato al tempo stesso.
Il cast inclusivo
Ci sarebbero tutte le premesse per un disastro annunciato nella seconda stagione, insomma, ma se ai puristi verrà probabilmente un mezzo infarto, bisogna concedere a questo Cowboy Bebop non tanto il beneficio del dubbio, quanto l'opportunità di essere un'opera a sé stante. L'anime originale se ne sta lì, alla portata di tutti, pronto a essere amato o riamato ogni volta che si vuole: la serie TV live action, dal canto suo, nei riferimenti e le citazioni costruisce una solida base prima di spiccare il volo. C'è però un elemento di distacco che ci ha tormentato per tutta la visione e che in definitiva sminuisce, secondo noi, la qualità di questo adattamento, ed è il cast. È un discorso complesso che non riguarda la recitazione, abbastanza buona e impreziosita dall'ottimo doppiaggio italiano.
Che Netflix sia una piattaforma di grande inclusività è cosa nota. Non vogliamo discutere di politicamente corretto: è una faccenda gigantesca su cui si sono scritti libri e miliardi di post su tutti i social, figuriamoci se possiamo dedicarle uno spazio nella recensione di una serie TV. E tuttavia qualche mese fa si è sollevato un polverone immenso sotto la nostra recensione di Masters of the Universe: Revelation perché Kevin Smith ha ben pensato d'insinuare un dubbio sull'orientamento sessuale di Teela e perché ha cambiato il colore della pelle del Re di Grayskull che da bianca è diventata nera. Ebbene, in Cowboy Bebop succede più o meno la stessa cosa, solo che funziona meno e per motivi completamente diversi.
Che Jet Black sia diventato, ehm, black, se ne sono accorti tutti: lo interpreta Mustafa Shakir e, ancora una volta, il fatto che abbia cambiato colore della pelle per una questione d'inclusività non ci sposta di un millimetro. Jet Black è rimasto lo stesso, splendido personaggio dell'anime, bianco o nero che sia, e Shakir si impegna pure nell'interpretazione, ma semplicemente non ha il physique du rôle. Il suo Jet non è massiccio come l'originale, e la barba presumibilmente finta rientra in un più sommario "effetto cosplay" che caratterizza un po' tutta la serie, anche se probabilmente è quasi sempre voluto.
Lo stesso vale per Alex Hassell: probabilmente lo avete visto nei panni di Translucent nella prima stagione di The Boys, solo che qui sembra essersi infilato un orribile parruccone bianco in testa per interpretare un villain carismatico come Vicious. Diciamo che il personaggio funziona, soprattutto nei manierismi, ma anche in questo caso è difficile non ripensare a quei cosplayer che fanno di necessità virtù a Lucca Comics ogni volta che Vicious entra in scena.
E questa approssimazione è una cosa incredibile, perché tantissimi comprimari nel cast sono molto fedeli alle loro controparti animate. Prendiamo Fad, per esempio: l'attore Wade Williams è praticamente identico. Anche Maria Murdoch sembra uscire dal cartone animato, con tanto di orecchini che dimostrano l'incredibile attenzione riservata ad alcuni dettagli, così come Jan Uddin e Lydia Peckham somigliano tantissimo ad Asimov e Katerina Solensan.
Restando in tema d'inclusività, anche Cowboy Bebop strizza l'occhio alla categoria LGBTQ+, e non solo perché a interpretare un'inedita versione non-binary di Gren è statə sceltə Mason Alexander Park. Mettiamola così: gli sceneggiatori hanno sentito la necessità d'introdurre una nuova love story riscrivendo l'orientamento sessuale di un certo personaggio. Una decisione che in questo caso specifico ci è parsa davvero forzata, più che altro perché sembra incastrata nel tessuto narrativo a posteriori, come se la produzione avesse deciso questa svolta solo in un secondo momento.
Al netto di queste considerazioni, dobbiamo concludere che il casting è probabilmente la parte più debole della produzione Netflix. John Cho, per esempio, domina la scena nei panni di Spike, specialmente nelle scene d'azione, coreografate sempre benissimo. L'attore lavora con una rosa di toni e circostanze estremamente varia, senza però perdere mai la bussola: il suo Spike è quello dell'anime di Watanabe e al tempo stesso è una reinterpretazione. Daniella Pineda, che recita la parte di Faye Valentine, non funziona altrettanto bene. L'attrice ci è parsa un po' ingessata, poco spontanea, quasi una macchietta. Fortunatamente la sceneggiatura sciorina dialoghi frizzanti che richiamano ancora di più i personaggi iconici della serie animata: i battibecchi tra i tre cacciatori di taglie sono straordinariamente divertenti, seppur spesso sboccati, e caratterizzano genuinamente il cast, riuscendo a coinvolgere emotivamente lo spettatore nelle vicende di questa sgangherata famiglia disfunzionale.
Livello tecnico
Avevamo già notato la qualità altalenante di costumi e trucco nelle foto ufficiali e nei trailer, perciò è normale che temessimo il peggio per praticamente tutto il resto, a cominciare da effetti speciali e computer grafica. Cowboy Bebop si svolge anche nello spazio, e il rischio che il budget non fosse sufficiente a concretizzare una rappresentazione live action dell'anime era piuttosto serio. Dobbiamo invece ammettere di essere rimasti veramente stupiti, specialmente per quanto concerne la CGI, davvero molto curata. La resa di certi panorami o scenari spaziali, la cura con cui sono state disegnate le astronavi, sono tutti elementi in netto contrasto coi costumi e gli oggetti di scena dall'aspetto molto più economico. Per fortuna, gran parte della storia si svolge in superficie, su pianeti che sono un amalgama di culture, società e tradizioni diverse che si incrociano in una fantascienza che allo stesso tempo rispecchia la nostra realtà di tutti i giorni.
Cowboy Bebop non scavalca mai quel sottilissimo confine: si muove sempre in equilibrio, senza pendere da una parte o dall'altra. Dunque la CGI ci mostra scenari spaziali, astronavi, interfacce olografiche e così via, ma quando i nostri visitano un interno o girano per le strade di una città, non si avverte uno stacco visivo importante.
La serie Tomorrow Studios, sfidando ogni previsione, è un prodotto di ottimo livello. Lo è anche nella regia, che è un trionfo di citazioni e riferimenti non solo alla serie animata originale, richiamata in alcune inquadrature o sequenze del tutto identiche, ma anche a una pletora di film e registi che hanno fatto la storia dello schermo grande e piccolo, da Quentin Tarantino ad Alfred Hitchcock, da Sergio Leone a John Woo, passando per Ridley Scott, Stanley Kubrik, Martin Scorsese e così via. A volte le citazioni sono più raffinate, a volte meno, ma la serie TV è un vero e proprio collage, di generi come l'anime originale, e di soluzioni visive che appaiono più evidenti nel formato carne e ossa.
Perché Cowboy Bebop era ed è un mix miracolosamente coerente dei generi più disparati: western, space fantasy, pulp fiction, cyberpunk, commedia, noir. E questa sfaccettatura si rappresenta soprattutto nella musica, che poi, in tutta sincerità, è la vera, assoluta protagonista di Cowboy Bebop. La colonna sonora della straordinaria Yoko Kanno, richiamata a comporre per la serie live action come a dire che quest'opera non può esistere senza di lei, è un mix di jazz e blues che caratterizza, anzi ruba ogni scena.
Lo stesso Watanabe aveva raccontato, molti anni fa, di aver immaginato alcune scene iconiche della sua opera solo dopo aver ascoltato le musiche di Kanno, musiche che ispirano addirittura i titoli degli episodi, tanto sono centrali e rappresentative. Il ritorno di Kanno spegne ogni discussione sul nascere: sotto questo punto di vista, il revival live action di Cowboy Bebop è semplicemente inattaccabile. Del resto, magari, ne possiamo anche discutere.
Conclusioni
Multiplayer.it
8.0
Contro ogni previsione, Cowboy Bebop è una piacevolissima sorpresa. L'opera di Shinichirō Watanabe era estremamente difficile da portare in live action, ma in qualche modo ci sono riusciti: la produzione Tomorrow Studios deve tantissimo all'anime originale, rispettandone l'estetica e i toni, ma assume un'identità propria col passare degli episodi e abbozza una direzione narrativa che scopriremo meglio nella prossima stagione e che farà discutere tantissimo i fan dell'originale. E questo, forse, colloca Cowboy Bebop in mezzo a quelle produzioni che non riescono a mettere d'accordo proprio tutti, ma l'originale in fondo resta lì, inattaccabile e straconsigliato. In definitiva, possiamo rispondere alla domanda: ce n'era veramente bisogno? No, non ce n'era bisogno, ma tutto sommato siamo contenti lo stesso che l'abbiano fatto.
PRO
- È una produzione molto curata sotto il profilo visivo
- La colonna sonora strepitosa di Yoko Kanno
CONTRO
- Alcune soluzioni narrative inedite parecchio controverse
- Casting, costumi e trucco non sempre convincenti