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Evangelion 3.0+1.01: Thrice upon a time, la recensione del capitolo finale dell'operazione Rebuild

La saga di Evangelion si conclude col quarto film dell'operazione Rebuild, ora disponibile su Prime Video: ecco la nostra recensione.

RECENSIONE di Christian Colli   —   14/08/2021

Nei venticinque anni trascorsi dalla fine della serie originale, per Evangelion c'è stato di tutto: film, manga, romanzi, videogiochi, gadget e molto altro. È mancata soltanto una chiusura. Un punto fermo, un finale che mettesse un freno, o quantomeno ci provasse, a polemiche, discussioni e analisi: qualcosa che rappresentasse, almeno per qualche spettatore, un senso di appagamento, soddisfazione e completezza. Per tanti anni ci siamo ripetuti che il mistero fosse uno degli aspetti più affascinanti di Evangelion, una di quelle opere che sopravvive senza essere spiegata e che sa parlare su più livelli a spettatori diversi, nei momenti diversi delle loro vite. Il progetto Rebuild of Evangelion in un certo senso rispecchia questa prospettiva: è cominciato nel 2007 e nel corso di questi quattordici anni è cambiato anche Hideaki Anno, il creatore della serie, che a un certo punto ha voluto dire basta.

Anno ci ha messo tantissimo tempo a scrivere e riscrivere la storia di ogni film - lasciando la regia ai suoi fedelissimi collaboratori dello Studio Khara - ma alla fine è arrivato anche lui a quella destinazione che ha guardato da lontano per troppo tempo. Evangelion 3.0+1.01: Thrice upon a time è uscito in Giappone lo scorso marzo, è stato poi ridistribuito nei cinema a giugno e arriva nel resto del mondo su Prime Video per mettere la parola fine a un'opera che ha cambiato per sempre non solo l'animazione giapponese, ma anche le vite di tanti spettatori che si sono rivisti nella metafora del protagonista Shinji Ikari. È un finale degno del mito che è diventato Evangelion? Difficile dirlo. A noi è piaciuto moltissimo, al netto di poche riserve, e nella nostra recensione senza spoiler di Evangelion 3.0+1.01: Thrice upon vi spiegheremo perché.

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Evangelion 3.0+1.01, Shinji Ikari in una scena del film
Evangelion 3.0+1.01, Shinji Ikari in una scena del film

Il più grande pregio di Evangelion 3.0+1.01: Thrice upon a time è sicuramente quello di riuscire a bilanciare perfettamente i suoi contenuti nonostante duri più di due ore e mezza. Ci riesce senza annoiare, sviluppando un intreccio lineare fin dai primissimi minuti, e soprattutto raccoglie in un unico lungometraggio tutte le caratteristiche più importanti per cui è diventata famosa l'opera di Anno. Considerata la deriva preoccupante che aveva preso la Rebuild col deludente Evangelion 3.0: You Can (Not) Redo quasi dieci anni fa, siamo stati sollevati nello scoprire un lungometraggio molto più coerente coi principi stessi che muovevano la serie animata del '95.

Essenzialmente potremmo dividere questo Evangelion 3.0+1.01 in tre parti. Nella prima c'è l'anima dello Studio Ghibli per cui Anno ha lavorato qualche tempo fa. È una parentesi catartica che si apre subito dopo i caotici eventi di Evangelion 3.0, un film che sembrava crogiolarsi nell'autocompiacimento delle scene d'azione e della computer grafica ma che di fatto raccontava poco e niente del mondo dopo il Near Third Impact innescato alla fine di Evangelion 2.0.

Evangelion 3.0+1.01, l'Eva-013 in una scena del film
Evangelion 3.0+1.01, l'Eva-013 in una scena del film

Il nuovo lungometraggio, invece, si prende i suoi tempi. Esplora le ripercussioni che le azioni di Shinji, volente o nolente, hanno avuto sul mondo e sui suoi amici, in un capovolgimento di aspettative molto interessante. È anche la fetta di pellicola che dedica uno spazio enorme a Rei Ayanami, delineando il suo personaggio attraverso un delizioso spaccato di vita quotidiana. Il ritmo delicato, l'atmosfera bucolica e l'enorme cura per i dettagli nei paesaggi e negli scenari avvicinano Evangelion 3.0+1.01 a un film Ghibli, senza però dimenticare il suo lato più sinistro e fatalistico. Lo spettatore viene cullato, stretto in un abbraccio rassicurante per tutti, pur sapendo che è solo questione di tempo prima che tutto vada a catafascio.

Nella seconda parte del film, infatti, riemerge l'anima che era appartenuta a The End of Evangelion. La pellicola vira verso una direzione più caotica, inscenando inseguimenti e battaglie da cardiopalma che si alternano a cospirazioni, dialoghi imperscrutabili e supercazzole scientifico-religiose. Non vi nasconderemo che è forse la parte più debole del lungometraggio, e quella che ci è piaciuta di meno. Non dal punto di vista tecnico, ovvio, anche perché in questo senso Evangelion 3.0+1.01 è assolutamente impeccabile dall'inizio alla fine, e anche i momenti in cui la computer grafica sembra più debole hanno un loro (geniale) perché.

Evangelion 3.0+1.01, Rei Ayanami in una scena del film
Evangelion 3.0+1.01, Rei Ayanami in una scena del film

Ogni singolo fotogramma è chiaro e pulito; i tratti sono sempre precisi e delicati, i colori vivaci e brillanti; il character design di personaggi vecchi e nuovi, curato come sempre da Yoshiyuki Sadamoto, è iconico e riconoscibile, mentre il mecha design sconfina positivamente nel grottesco ancor più che in passato. La tranche centrale di Evangelion 3.0+1.01 è la parte più debole del film soprattutto nei dialoghi stucchevolmente nipponici, infarciti di inglesismi forzati e riferimenti a fatti o cose che non hanno riscontro immediato. È una insondabilità voluta e ricercata, una specie di giochino che Anno fa coi suoi spettatori da una vita, immaginandoli mentre vanno a googlare cose come "chiave di Nabucodonosor" e perdono ore a leggere saggi e analisi di testi sacri, vangeli apocrifi e chi più ne ha, più ne metta.

Ma è un giochino che forse, dopo venticinque anni, non funziona più come una volta. Arrivati al quarto film di una tetralogia che ci ha messo tre lustri a uscire, lo spettatore comincia a volere più risposte che interrogativi. A differenza di Evangelion 3.0, che di quesiti ne sollevava soltanto, Evangelion 3.0+1.01 fornisce anche diverse risposte importanti, ma lo fa spesso attraverso giri di parole confusi e confronti surreali, appellandosi a tecnologie e mitologie inventate di sana pianta e mai spiegate. Anno pretende che lo spettatore spenga il cervello e si lasci travolgere dall'azione, alimentando però un'aura di mistero e inquietudine intorno a ciò che succede sullo schermo.

Evangelion 3.0+1.01, Asuka Langley Shikinami in una scena del film
Evangelion 3.0+1.01, Asuka Langley Shikinami in una scena del film

L'ultima parte del film è quella in cui si manifesta l'anima di Hideaki Anno o, per meglio dire, del suo vecchio Studio Gainax che aveva realizzato Neon Genesis Evangelion. C'è qualcosa anche per quei fan che avevano adorato il controverso finale introspettivo della serie originale, perché Evangelion resta comunque più di un anime mecha fantascientifico: è un messaggio. Anno venticinque anni fa si rivolgeva a sé stesso e a tutti gli otaku e gli hikikomori che avevano perso la fiducia nel Giappone come società e si chiudevano nei loro mondi immaginari, innalzando barriere che li separavano dal prossimo e dal rischio di soffrire, ma anche dalla possibilità di essere felici.

Evangelion 3.0+1.01, Misato Katsuragi e Ritsuko Akagi in una scena del film
Evangelion 3.0+1.01, Misato Katsuragi e Ritsuko Akagi in una scena del film

Oggi, però, Hideaki Anno non è più Shinji. Oggi è Gendo. È passato molto tempo da quel marzo del '96 in cui TV Tokyo trasmise gli ultimi due episodi della serie targata Gainax: nel frattempo Anno si è sposato, ha compiuto sessant'anni proprio lo scorso anno e probabilmente, come tutti, ha cambiato prospettiva nei confronti del mondo e della vita. Nell'ultimo atto, quindi, i riflettori si spostano finalmente sul personaggio di Gendo, l'ambiguo marionettista dietro ogni catastrofe, ma non solo. Evangelion 3.0+1.01 riesce nell'incredibile e per nulla banale compito di risolvere le sottotrame più importanti attraverso un momento di splendida metanarrativa, offrendo risposte sufficientemente chiare a certi interrogativi che stabiliscono una conclusione ideale a tutta la storia.

Evangelion 3.0+1.01, l'Eva-08 in una scena del film
Evangelion 3.0+1.01, l'Eva-08 in una scena del film

Se poi sia la conclusione migliore possibile, è difficile dirlo. Evangelion ha questa capacità di interfacciarsi diversamente con ognuno di noi: sono i bagagli culturali, le esperienze di vita e le prospettive a plasmare i suoi messaggi. Nella varietà di tematiche e caratterizzazioni che affronta l'opera, ognuno vede ciò che vuole vedere. Noi abbiamo assolutamente adorato il finale di Evangelion 3.0+1.01. È l'epilogo di cui avevamo bisogno, la chiusura che ci permetterà di riguardare la serie e la Rebuild o di rileggere il manga di Sadamoto con la consapevolezza che il viaggio è finito proprio là, in quella stazione dei treni di Ube, nella prefettura di Yamaguchi, dove Anno è nato e cresciuto e ha chiuso il cerchio del capolavoro della sua vita.

Per chi si fosse perso i precedenti film della Rebuild of Evangelion, sono tutti disponibili su Prime Video insieme a Evangelion 3.0+1.01. La serie e il film The End of Evangelion sono invece disponibili su Netflix con un nuovo doppiaggio italiano che sostituisce la prima e criticatissima revisione di qualche anno fa. Vi consigliamo di leggere il nostro recente approfondimento per sapere in che ordine guardare tutta l'opera e, soprattutto, perché dovreste assolutamente farlo.

Evangelion 3.0+1.01, Mari Illustrious Makinami in una scena del film
Evangelion 3.0+1.01, Mari Illustrious Makinami in una scena del film

Conclusioni

Multiplayer.it

9.0

Evangelion 3.0+1.01: Thrice upon a time è un film straordinario, al netto di qualche sbavatura. Superando l'atto centrale che sacrifica la chiarezza espositiva e l'introspezione sull'altare della spettacolarità visiva, la pellicola realizzata dallo Studio Khara riesce nel difficilissimo compito di restare coerente col materiale originale, rivolgendosi a tutti i fan che per un motivo o per l'altro hanno amato Evangelion, e soprattutto lo fa per ben due ore e mezza che scivolano in un attimo verso un finale pieno di speranza e ottimismo. Ne parleremo ancora per anni, lo analizzeremo in ogni suo fotogramma cercando risposte e significati, ma questa volta non lo faremo più per scrutare nel suo futuro incerto: grazie a Hideaki Anno, e congratulazioni a (Neon Genesis) Evangelion.

PRO

  • Tecnicamente clamoroso
  • Regia impeccabile che non fa pesare affatto la lunga durata
  • È una chiusura praticamente perfetta

CONTRO

  • Nella parte centrale del lungometraggio i dialoghi peggiorano sensibilmente