Le storie di pirati sono quasi sempre piene di ciurme formate dagli scarti della società e di tesori inestimabili nascosti in qualche remota isola, spesso non segnata sulle mappe nautiche. Il capitano Flint è il più classico dei felloni che popolano l'immaginario piratesco: feroce, avido e temuto da tutti. Una vera e propria leggenda vivente che viene fatta prigioniera all'inizio dell'avventura.
Senza farsi prendere dalla disperazione, il nostro protagonista architetta immediatamente un piano di fuga dalla prigione dove viene gettato, per scoprire, durante l'evasione, una traccia che può portarlo a un tesoro perduto. Fiutato l'odore dei dobloni, Flint, aiutato inizialmente dal solo Billy Bones, un fidato amico che ha provato a divorare durante l'introduzione, deve quindi trovare una nave, mettere insieme una ciurma e partire all'avventura per i sette mari, facendo in modo di avere sempre la cambusa della nave ben rifornita. Questa è la premessa di Flint: Treasure of Oblivion, un gioco di ruolo in terza persona con combattimenti tattici a turni, in cui i problemi si risolvono infilzandoli con la sciabola.
L’interfaccia
Diciamo subito che i combattimenti sono preponderanti su tutto il resto. Quando Flint e i suoi incontrano dei nemici sulla mappa, devono agire a turno per eliminarli, usando le loro armi, da fuoco o da mischia, oppure sfruttando gli elementi dello scenario a loro vantaggio, come dei barili da fargli rotolare addosso. Ogni turno, ciascun personaggio può muoversi, attaccare o usare una delle sue abilità.
Detto così sembra tutto molto lineare e lo sarebbe anche, se non fosse per l'interfaccia utente, che risulta essere inutilmente complicata, in particolare in combattimento. Alcune scelte fatte dagli sviluppatori sono talmente controproducenti e anti intuitive che mentre giocavamo abbiamo adottato un sistema di controllo misto, ossia abbiamo usato un controller per le fasi esplorative, perché permette di individuare i punti interattivi più facilmente senza dover fare pixel hunting con il puntatore, e abbiamo usato il mouse durante i combattimenti, perché rende più chiaro come eseguire determinate azioni o, quantomeno, consente di selezionarle con minori rischi di errore. Con la pratica la situazione migliora, ma durante le prime ore vi confessiamo di aver quasi optato per mollare tutto, tra click a vuoto, mancanza di indicazioni precise sul perché non potessimo fare una certa cosa e un senso di sporco generale che ha reso molto faticoso andare avanti. Vero è che con il tempo ci si adatta a tutto, ma aver speso una buona fetta del gioco (abbiamo completato Flint in circa 12-13 ore) a combattere più con l'interfaccia che con i nemici un certo effetto ce lo ha fatto, non proprio positivo a dirla tutta.
Per dire quanto ci ha condizionati, raccontiamo un piccolo aneddoto: durante uno scontro il buon Flint viene gettato a terra; il turno successivo non si rialza e noi facciamo il malaugurato errore di selezionare un fucile, per poi passare i cinque minuti successivi a provare a farlo muovere o fargli fare qualsiasi cosa. Eravamo così avvezzi all'idea di dover competere con l'interfaccia che non ci siamo resi conto di trovarci davanti a un semplice bug, che ci ha costretti a ricaricare la partita.
Gioco di ruolo?
Purtroppo Flint: Treasure of Oblivion ha anche altri problemi, tra piccoli e grandi. Ad esempio come gioco di ruolo è davvero limitato, nonostante si vanti di essere tale. Gli autori hanno scelto una strutturazione dell'avventura molto rigida, con un focus particolare sulla storia e i combattimenti, più che sulle scelte del giocatore, che sono limitatissime e riguardano soprattutto lo sviluppo della ciurma, che avviene distribuendo il bottino recuperato durante le missioni (il pirata più forte è quello più ricco). Il che, badate bene, non sarebbe necessariamente un male, se non fosse che in generale non c'è molto da fare, a parte eseguire quanto ci viene chiesto.
Le mappe, per quanto apparentemente ricche di dettagli, non offrono granché con cui interagire, oggetti da raccogliere a parte. Per dire, a un certo punto ci si ritrova in una città piena di gente in cui si deve reclutare la ciurma. La mappa del posto non è enorme, ma è abbastanza grande per rendere teoricamente interessante esplorarla. Peccato che si scopra velocemente che farlo non ha molto senso e che gli unici elementi interattivi riguardano gli obiettivi principali. Quindi non possiamo parlare praticamente con nessuno e non possiamo scegliere effettivamente chi portarci dietro e chi no. Non si possono nemmeno valutare più persone per il reclutamento. Non ci sono negozi da cui comprare o vendere e non ci sono missioni secondarie da svolgere. Non c'è neanche qualcosa che ci arricchisca un minimo sulla mitologia del mondo in cui ci troviamo.
La scelta di mettere il focus sulla storia e i combattimenti è chiara, la mancanza di risorse anche, ma così sembra spesso di trovarsi di fronte a uno spreco di spazio virtuale, tanto che le parti peggiori dell'intera avventura sono quelle in cui siamo lasciati più liberi, visto che non abbiamo nulla con cui esprimere davvero la nostra libertà. Ecco, a un certo punto abbiamo pensato che avremmo tanto voluto sentirci dei pirati, dato che vestivamo i panni di un famoso pirata, ma gli unici momenti in cui ci si riesce un minimo a immedesimare, sono quelli propriamente narrativi, in cui dei fumetti ben realizzati portano avanti la storia e mostrano la spietatezza di fondo di Flint e dei suoi, che non si fanno problemi a uccidere per il loro tornaconto.
Non che ciò che viene raccontato sia particolarmente originale, ma i toni duri e l'asciuttezza dei dialoghi ci sono piaciuti, anche perché sono gli unici elementi a creare un po' di tensione, insaporendo un gameplay altrimenti insipido.
Lato tecnico
Parlando del lato tecnico, Flint: Treasure of Oblivion è un titolo ambivalente: gli scenari sono ben costruiti e vari, i personaggi hanno una buona resa e, in generale, le ambientazioni sono umide al punto giusto da sembrare uscite da una storia piratesca da romanzo d'avventura. La scelta di posizionare la telecamera a una certa distanza dai personaggi è condivisibile, sia per via del genere, sia perché consente di mascherare bene alcuni limiti produttivi, evitando al lavoro di Savage Level inopportuni paragoni.
La direzione artistica è molto classica, la definiremmo quasi anonima, e richiama quella di altri giochi di ruolo con combattimenti tattici impostati in modo simile. Solo le sequenze narrative a fumetti, dal gusto tipicamente francese, regalano al tutto una minima personalità. Insomma, non ci troviamo di fronte a un capolavoro tecnico, ma il lavoro fatto non è nemmeno disprezzabile. Dobbiamo anche segnalare che durante la nostra prova abbiamo incontrato qualche bug abbastanza fastidioso. Passino le animazioni che vanno a vuoto, qualche compenetrazione sbarazzina e cose del genere, ma in quattro diverse occasioni, una delle quali raccontata anche in un paragrafo precedente, ci siamo trovati costretti a ricaricare la partita a causa di bug bloccanti che non ci hanno dato alternative. Niente di disastroso, sia chiaro, ma la mancanza di pulizia si nota.
Conclusioni
Flint: Treasure of Oblivion è un gioco pieno di problemi, in particolare in quelli che dovrebbero essere i suoi elementi portanti: ossia il lato da gioco di ruolo, fin troppo evanescente, e i combattimenti, piagati da un'interfaccia per niente chiara. Scavando si riesce a trovare una certa profondità nei secondi, soprattutto nelle fasi finali, quando in campo ci sono molti personaggi, ma in tanti rischiano di essere scoraggiati dalle prime ore, che sono determinanti per decidere se proseguire o meno. Per dire, di nostro siamo andati avanti perché dovevamo recensirlo, che a ben vedere non è mai un buon sintomo. In giro c'è decisamente di meglio.
PRO
- La storia è dura e ben raccontata
- Scelte intelligenti per mascherare alcuni limiti produttivi
CONTRO
- L'interfaccia è fin troppo macchinosa
- Come gioco di ruolo ha troppi limiti