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High Score: la recensione

La recensione di High Score, il documentario in sei episodi che racconta la storia dei videogiochi classici, da Space Invaders a DooM.

RECENSIONE di Valentina Ariete   —   20/08/2020

Siamo pieni di entusiasmo nello scrivere la recensione di High Score, documentario Netflix in sei episodi, disponibile sulla piattaforma di streaming dal 19 agosto, che racconta le origini dei videogiochi, da Space Invaders a DooM, il titolo che, a inizio anni '90, ha introdotto il gioco multiplayer online e lanciato i videogame nell'era moderna. La docuserie, creata da France Costrel e con la voce narrante di Charles Martinet, storico doppiatore americano di Mario, è un progetto dall'ampio respiro, adatto sia a chi è cresciuto con i videogiochi, sia a chi è digiuno di quel mondo, perché amplia lo sguardo, analizzando non soltanto l'aspetto tecnico e creativo di ogni titolo e console, ma anche il fattore umano. Il tutto inframmezzato da grafiche che ricordano i giochi anni '80, effetti sonori compresi, che danno un gusto vintage e nostalgico a ogni puntata (a cominciare dai bellissimi titoli di testa).

Con un'operazione simile a quella di un'altra serie documentario particolarmente riuscita, The Last Dance, che racconta l'ultima stagione dei Chicago Bulls di Michael Jordan, High Score trasforma la storia in un'avventura epica: con prove da superare e colpi di scena. Se amate i videogiochi non potete perdervela e se comunque apprezzate un buon racconto vi appassionerete ugualmente.

Gli anni ’70: Space Invaders e Atari

Tutto comincia con un signore che guarda la skyline di Tokyo: si tratta di Tomohiro Nishikado, di professione prestigiatore. Sì, avete letto bene: negli anni '70 questo signore si esibiva con trucchi di magia, come il cappello magico e un giorno, alzando gli occhi al cielo, ha avuto la visione di invasori venuti dallo spazio. Se li è immaginati come polipi. Influenzato dall'uscita del film americano Star Wars, ha preso un quaderno, che custodisce ancora oggi, e ha cominciato a disegnare calamari e crostacei, che ha poi trasformato in personaggi poligonali. Era nato Space Invaders. Lanciato sul mercato nel 1978, si è trattato di una vera e propria rivoluzione: al contrario dei giochi classici, il videogioco, montato in una struttura chiamata arcade, permetteva di giocare più volte e soprattutto fare un punteggio diverso a ogni partita, da poter migliorare. E quindi da battere.

Netflix High Score Space Invaders

Nel frattempo, in quegli stessi anni, uno studente del MIT, Nolan Bushnell, entrava di nascosto in una sala computer dell'università insieme a un suo compagno che aveva hackerato la macchina e creato Space War!, uno dei primissimi videogame. Capendo il potenziale della cosa, Bushnell comprò un edificio in quella che ancora non si chiamava la Silicon Valley e che, come ricorda nel primo episodio, una volta era "piena di alberi di prugne". Per convincere gli ingegneri elettronici a lavorare per lui, promise orari flessibili, nessun obbligo di abbigliamento formale e la possibilità di bere birra durante il lavoro. Una compagnia, come la definisce lui stesso, dallo spirito "Age of Aquarius". Nasceva così la Atari e Bushnell si guadagnava il soprannome di "padrino dei videogiochi".

High Score: una storia inclusiva

Oggi, a più di 40 anni di distanza dalla nascita dei primi videogame, sono ancora diffusi molti pregiudizi su questo mondo: uno è che istighino la violenza nelle menti giovani, l'altro è che siano amati e adatti soltanto a un'utenza maschile. La mossa intelligente, e vincente, di High Score sta nell'abbattere questi stereotipi, mostrando invece come siano stati, e continuino a essere, un veicolo di inclusività e libertà.

Lo dimostra il punto di vista di quattro personaggi : la prima è Becky Heineman, vincitrice del primo Atari National Champioship, del 1980, molto prima degli eSports e delle videogame leagues. Allora Becky esteriormente era un ragazzo, anche se il suo cervello le diceva di essere una donna. Insicura e schiva, grazie a Space Invaders ha trovato se stessa: non soltanto ha vinto la competizione, ma ha trovato il coraggio di intraprendere il percorso che l'ha portata a diventare chi sentiva di essere. La sua storia ha permesso la nascita dei primi roleplay games: la scoperta della libertà attraverso il gioco le ha fatto immaginare, una volta diventata sviluppatrice, la possibilità di crearsi il proprio personaggio, scegliendo le sue caratteristiche in libertà.

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Anche quella di Jerry Lawson, uno dei primi ingegneri di colore a riuscire a lavorare nello sviluppo dei videogame è una storia di inclusività. Pensando alle esigenze economiche delle famiglie meno abbienti realizzò un congegno unico su cui far funzionare più giochi. La sua Channel F, immediatamente copiata dalla Atari, è stata la prima console con giochi intercambiabili.

E c'è anche la testimonianza di Roberta Williams, appassionata di letteratura e scrittura che, introdotta dal marito Ken al suo primo videogame, Colossal Caves, ha concepito Mystery House, il primo gioco in cui il giocatore poteva compiere delle scelte, introducendo una vera e propria narrativa nell'ambiente.

High Score Nintendo Sega Netflix

Una continua rincorsa tra Giappone e Stati Uniti

Un altro spunto interessante di High Score è la competizione tra Giappone e Stati Uniti che, come in una partita, si sono copiati e migliorati a vicenda, inseguendosi l'un l'altro. Lo dimostra la storia di Pac-Man: nato in terra nipponica per attirare anche le donne (il personaggio, venuto in mente a Toru Iwatari mangiando una pizza, era colorato e giudicato carino e meno aggressivo rispetto agli alieni di Space Invaders), è stato "omaggiato" dagli americani con Ms. PacMan: stesso gioco ma in versione più potente. L'unica differenza è il rossetto sul personaggio (vi lasciamo il gusto di scoprire chi e come ha creato questa versione a stelle e strisce).

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Giappone e USA hanno finalmente trovato un terreno comune quando la neonata Nintendo è arrivata sul mercato americano: Gail Tilden, l'addetta stampa USA della casa giapponese è la responsabile del suo successo nel mondo. La donna, che ora produce vino (le storie di questi personaggi sono tutte incredibili), ha spinto l'azienda a fare un rebranding del marchio: non più FamiCom come nome (da Family Computer), ma un nome esotico per l'estero come Nintendo, e soprattutto una console che avesse l'aspetto non di una station wagon, ma che fosse sexy ed elegante come una DeLorean. Nasceva così il Nintendo Entertainment System: ovvero il NES. Il resto è storia.

Anni ’80 e ’90: da Mario a Mortal Kombat

L'arrivo di Nintendo e in particolare di Shigeru Miyamoto, papà di Mario e di The Legend of Zelda, è stato fondamentale: il creatore giapponese, considerato un genio (nella serie si dice che abbia il tocco magico "alla Steven Spielberg"), ha fatto capire che la creazione di personaggi sfaccettati, sia nell'aspetto che nella caratterizzazione, era fondamentale. Il videogioco è così diventato un'altra forma di narrazione. Lo dice con orgoglio anche Richard Garriott, sviluppatore di giochi e dungeon master: Dungeons & Dragons per lui è il nonno dei videogame, perché il cuore di D&D è l'arte di raccontare storie.

Dalla nascita di Sonic nel 1991, mascotte e gioco di punta di SEGA (che il suo disegnatore Naoto Oshima ha scelto facendo un sondaggio per le strade di New York, in cui ha mostrato ai passanti tre personaggi, chiedendo quale preferissero), all'arte del pittore e mangaka Yoshita Amano, che ha disegnato i personaggi di Final Fantasy, la docuserie mostra come da semplice intrattenimento i videogiochi siano diventati sempre più una forma d'arte.

High Score Netflix Final Fantasy

Anche un gioco apparentemente più lineare come Street Fighter, creato dalla coppia Yasuda-Nishitami per Capcom nel 1987, ha aspetti interessanti: oltre a essere il padre dei picchiaduro, è anche uno dei primissimi in cui c'è un personaggio femminile che non è né una principessa da salvare né una donzella in difficoltà, ma una donna che sa badare a se stessa e conosce le arti marziali. Sì, la meravigliosa Chun-Li, amatissima dalle videogiocatrici.

A Mortal Kombat invece, risposta americana a Street Fighter, si deve l'introduzione della "fatality" (e sì, il personaggio di Johnny Cage è ispirato a Van Damme, che rifiutò di prestare la sua immagine). Uno dei primissimi giochi a utilizzare il motion capture, grazie a cui si sono potuti digitalizzare i movimenti di veri esperti di arti marziali, Mortal Kombat ha portato la grafica dei videogame su un altro livello. E scatenato la prima grandissima polemica sulla violenza videoludica.

DooM: verso l’infinito e oltre

High Score si conclude con la storia di Doom, creato da John Romero e John Carmack, fondatori di id Software: già realizzatori di Wolfenstein 3D, in cui hanno introdotto la visuale in prima persona e la terza dimensione, nel 1993 hanno lanciato i videogame nell'era moderna grazie a Doom. Nato da una battuta di Tom Cruise nel film Il colore dei soldi di Martin Scorsese, Doom, lanciato in rete e su PC, ha permesso, per la prima volta, di giocare online con altri giocatori sparsi ai quattro angoli del mondo.

High Score Netflix Pacman

E qui si sono aperte infinite possibilità: non soltanto di entrare in contatto con altre persone, ma di cambiare, grazie all'interazione, volta per volta il gioco. Ogni giocatore può contribuire a creare la partita. Un concetto quasi commovente, che ci fa sperare in una seconda stagione di High Score.

Conclusioni

Multiplayer.it

8.0

High Score è un progetto dall'ampio respiro, adatto sia a chi è cresciuto con i videogiochi, sia a chi è digiuno di quel mondo, perché amplia lo sguardo, analizzando non soltanto l'aspetto tecnico e creativo di ogni titolo e console, ma anche il fattore umano. Da Space Invaders a DooM, passando per Pac-Man e Mortal Kombat, questo racconto ci ha messo una voglia infinita di una seconda stagione.

PRO

  • Molto interessante l'analisi del fattore umano dietro la creazione
  • Bella la grafica dal gusto vintage e nostalgico
  • La storia è raccontata come un'avventura epica

CONTRO

  • Chi vuole maggiori dettagli tecnici dovrà approfondire in un'altra sede