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I Cavalieri dello Zodiaco di Netflix, la recensione

È uscita la prima stagione del reboot targato Netflix di uno degli anime più amati di tutti i tempi... ma è davvero brutto come sembra?

RECENSIONE di Christian Colli   —   20/07/2019

Okay, mettiamola così: sebbene se ne sia parlato tanto negli ultimi mesi, alla fine il nuovo sesso di Andromeda è l'ultimo dei problemi di questo reboot targato Netflix. Il modo in cui lo sceneggiatore Eugene Son e Toei tutta hanno gestito il radicale cambiamento a un personaggio tanto amato fa quasi tenerezza, nella sua ingenuità, se confrontato all'impoverimento generale di tutto il resto. Badate bene, I Cavalieri dello Zodiaco (all'anagrafe nipponica, Saint Seiya) di cui state leggendo la recensione occupa un posto molto speciale nel cuore degli italiani, che ricordano con affetto la serie trasmessa a cominciare dagli anni '80 soprattutto grazie a un adattamento che si prendeva tante libertà, trasformando involontariamente un cartone animato per adolescenti in una delle produzioni più profonde e memorabili che abbiano mai graziato i nostri palinsesti. Quando Netflix ha annunciato la lavorazione del reboot, ci siamo onestamente esaltati. Quando abbiamo visto il primo trailer, ci siamo preoccupati. E ora che abbiamo visto i sei episodi che compongono la prima stagione, ci ritroviamo a scuotere tristemente la testa e a ripetere una sola, semplice domanda: ma proseguire Lost Canvas pareva brutto?

La nuova storia

La trama de I Cavalieri dello Zodiaco probabilmente la conoscerete tutti e dubitiamo che qualcuno non ne abbia visto almeno una puntata. La prima stagione del reboot ripercorre più o meno i primi quindici episodi della serie originale, pur glissando completamente su alcune sottotrame - come il viaggio di Sirio nel Jamir - e condensandone altre in pochi minuti di animazione, e si ferma appena dopo lo scontro decisivo con Nero di Phoenix per l'armatura d'oro del Sagittario. Sì, Nero. Ikki è diventato Nero, ma del resto suo fratello Shun è diventato sua sorella Shaun, non fateci caso. L'incipit, comunque, è già molto diverso, e in un primo flashback vediamo l'attacco di una forza paramilitare alla casa in cui vivono Seiya e sua sorella Patricia: nonostante l'intervento di un misterioso cavaliere dorato (è Aiolia del Leone, ovviamente) che porta via la ragazzina, Seiya sopravvive e cresce in un orfanotrofio. Anni dopo, attivando involontariamente il suo cosmo in una rissa, Seiya viene precettato da Alman di Thule per diventare un cavaliere dello zodiaco.

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In un modo un po' strampalato, la nuova trama si ricongiunge a quella originale, benché acceleratissima. Seiya si addestra, diventa cavaliere di Pegasus, combatte nelle Guerre Galattiche di Lady Isabel e incontra per la prima volta gli altri cavalieri. In questa versione, i santi non vivevano insieme da piccoli e si conoscono solo sull'arena, se così la possiamo chiamare: lo spettacolo televisivo che era la Guerra Galattica della serie originale è diventato una specie di combattimento clandestino in un hangar nel deserto. Ve l'abbiamo già detto, non fateci caso. C'è un importante innesto in questa storia che, bene o male, già conosciamo: Vander Guraad. Questo villain, a capo di un esercito privato, è un ex socio di Alman ed era presente quando il vecchiardo ha trovato la piccola Isabel tra le braccia del morente Micene del Sagittario. Guraad, tuttavia, ha studiato i cavalieri dello zodiaco per usarli come armi e intende impadronirsi dell'armatura d'oro per i suoi loschi scopi. Phoenix lavora per lui insieme ai suoi cavalieri neri e così la storia prosegue più o meno come nella serie originale.

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La sottotrama, se così si può definire, dei cavalieri neri è forse la cosa più sensata del reboot. Nell'originale erano inspiegabili sosia dei protagonisti, che indossavano le stesse armature in nero, mentre in questo reboot sono ex cavalieri rinnegati che hanno perso i duelli per le armature e sono rimasti sostanzialmente disoccupati. Uno di loro, nel reboot, è Cassios. In un certo senso, questa soluzione risponde a una domanda che ci siamo fatti sempre noi fan: che fine facevano quelli che potevano usare il Cosmo ma non indossavano nessuna armatura? Il reboot sfrutta questo plothole di Masami Kurumada in modo intelligente, aggirando l'assurda trovata dei sosia, ma diciamocelo... è praticamente l'unica cosa che si salva in uno script disastroso. I Cavalieri dello Zodiaco del 1986 ci hanno insegnato che cos'era il pathos quando non sapevamo neppure come si scrivesse. I Cavalieri dello Zodiaco del 2019 non sanno minimamente che cosa sia. La storia si svolge a una velocità eccessiva, ma quel che è peggio è che indugia su gag e intermezzi completamente inutili come la lite tra Seiya e l'intelligenza virtuale di un tombino che ha praticamente più spazio della Guerra Galattica e no, non stiamo scherzando e sì, abbiamo proprio parlato di un tombino.

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Gli scivoloni

La faccenda di Andromeda che è diventato una donna, come dicevamo, fa persino ridere, non tanto per la scelta in sé, ma per il fatto che, alla fine, è quasi ininfluente. Lo Shun di Andromeda originale era uno dei personaggi più affascinanti e inediti della sua epoca: un guerriero sensibile, docile e gentile che nascondeva una potenza straordinaria. La sua caratterizzazione ci diceva che non serviva essere una montagna di muscoli e avere lo sguardo cupo di Kenshiro per essere un vero uomo. Icona LGBTQ, Andromeda è diventato una donna perché, a detta dei nuovi scrittori, serviva una figura femminile forte. Come se I Cavalieri dello Zodiaco non ne avessero già. Il problema è che questa Shaun è assolutamente identica ad Andromeda: non hanno rovesciato nessun ruolo, non è una tsundere fredda e determinata. È Andromeda, per come lo conoscevamo, solo che ora è una donna. E quindi... a che è servito cambiargli il sesso?

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È servito a incasinare inutilmente la storia e a eliminare una delle sottotrame più belle e poetiche della serie di Kurumada... che resta comunque uno dei peggiori mangaka di sempre, ma anche lui ha avuto le sue idee brillanti. Nel reboot, Andromeda non indossa una maschera come le donne cavaliere dell'originale. Ergo nessuna donna cavaliere indossa la maschera, eccetto Castalia perché lo script deve farci credere che la maestra di Seiya è anche sua sorella Patricia in incognito. Per questo motivo, Tisifone non indossa la maschera e quindi è stata completamente cassata la sottotrama in cui Seiya gliela spacca prima di tornare in Giappone, costringendola a innamorarsi di lui o a ucciderlo come da tradizione. Non è l'unico filo dell'intreccio a essere stato tagliato. I giovani cavalieri in questa versione non si conoscono, dicevamo, e quindi sono state gettate alle ortiche tutte le rivalità e i flashback in cui ci veniva mostrato il lato più viziato e crudele di Lady Isabel, che tanto serviva a definire la sua evoluzione nella benevolente dea Atena.

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Gli stessi cavalieri di bronzo che partecipano alle Guerre Galattiche sono trattati con leggerezza e superficialità. I combattimenti durano pochissimo e sono stati epurati da qualsivoglia traccia di sangue per renderli più adatti a un pubblico giovane. No, Cassios non perde l'orecchio nello scontro con Seiya. No, nessuno sputa sangue. Lo scontro tra Crystal e Ichi, che occupava una porzione considerevole del terzo episodio, si esaurisce in pochissimi secondi, e tutta la backstory del cavaliere del cigno è riassunta in un breve flashback. L'ultimo episodio della stagione dedica lo spazio necessario a definire la sete di vendetta e la rabbia di Phoenix con un flashback molto fedele all'originale, fortunatamente, ma il resto della stagione non ne dedica altrettanto al legame che si instaura tra i cavalieri - eccezion fatta per l'amicizia che nasce tra Sirio e Seiya quando quest'ultimo salva la vita al cavaliere del dragone - e quindi l'improbabile filippica finale sul potere dell'amicizia (sic!) non può che risultare stucchevole e forzata, specialmente se la nuova caratterizzazione di Crystal ricorda a più riprese quella di un antieroe tipo Vegeta, Sasuke Uchiha o Bakugo Katsuki.

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La computer grafica

Tutto sommato, il reboot di Netflix non racconta una storia pessima come quella riadattata nel lungometraggio La leggenda del Grande Tempio del 2014, ma era altrettanto assurdo pretendere lo stesso livello qualitativo in termini di computer grafica. Partendo dal presupposto che si tratta di una miniserie televisiva, ci siamo approcciati con aspettative moderate e dobbiamo ammettere che questa versione di Saint Seiya non è proprio bruttissima come temevamo, sebbene si tratti di un prodotto estremamente altalenante soprattutto nelle scene d'azione. Partiamo da quello che c'è di buono, intanto: le armature o cloth, se preferite la nomenclatura originale. Tralasciando che anche in questo reboot si trasformano in medagliette come nel lungometraggio summenzionato o nella serie animata Saint Seiya Omega di qualche anno fa - cosa poco sensata, visto che nel reboot assumono anche la forma di Pandora's Box - quando si ricompongono intorno ai protagonisti sfoggiano un design sufficientemente moderno ma non troppo distante da quello cui ci ha abituato l'anime negli anni '80.

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Le nuove armature sono in realtà una rivisitazione della seconda versione che Seiya e gli altri indossavano nel vecchio anime, ma i dettagli sono curati e intelligenti, studiati per dare alle armature un tocco in più senza scadere nello stile assurdamente pacchiano del lungometraggio in computer grafica. Ci sono piaciute le texture, inoltre, che probabilmente richiamano di proposito la lega die-cast con cui sono fabbricate le miniature della Bandai: nel corso dei combattimenti, le armature si sporcano e graffiano visibilmente, rinforzando l'impressione di cura meticolosa che è stata riservata a questo aspetto della serie. Anche l'aspetto dei personaggi, tutto sommato, è molto fedele al tratto di Shingo Araki, il compianto character designer della serie animata originale. Purtroppo, però, il reboot scade spesso nella trappola di una resa fin troppo gommosa o plasticosa della pelle, che fa sembrare gli esseri umani dei bambolotti specialmente se l'illuminazione non è adeguata.

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Le animazioni sono invece il problema più grosso. Quando i personaggi si limitano a parlare, somigliano a burattini animati in modo esageratamente espressivo oppure fin troppo legnoso, senza vie di mezzo. Le scene d'azione sono più controverse. Alcune sequenze sono caratterizzate da una fluidità e da una coreografia interessanti, come nella scena del combattimento corpo a corpo tra Seiya e Sirio, ma nella maggior parte dei casi l'animazione rimane rigida e poco convincente. Quando i santi cominciano a scagliare i loro colpi speciali, la situazione diventa ancora più problematica: l'effettistica non è affatto male e la rappresentazione di attacchi iconici come il Colpo del drago nascente o la Polvere di diamanti è fedele all'originale e ben realizzata, ma la scenetta in cui il cavaliere lancia l'attacco viene riciclata anche più volte a puntata e nell'arco di pochi minuti. È una soluzione che salta all'occhio immediatamente e alimenta con forza l'idea di trovarsi di fronte a una produzione a budget ristretto. Gran parte del quarto episodio vede i cavalieri scontrarsi con un contingente di Guraad composto da soldati ed elicotteri da guerra: è uno scontro lungo, per nulla appassionante e anche un po' risibile. Al contrario, più avvincente e meglio coreografato quello con Phoenix e i cavalieri neri... peccato duri molto meno.

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Due parole sul doppiaggio

Anche la colonna sonora è tutt'altro che memorabile. Qualche traccia richiama timidamente i brani che hanno reso famosa la serie del 1986, ma senza troppa convinzione. Le tracce inedite sono... discutibili, per così dire. Il momento in cui Atena nomina ufficialmente cavalieri i nostri eroi avrebbe dovuto essere epico e solenne, ma ci pensano le cornamuse di sottofondo a rovinarlo senza se e senza ma. Il brano di apertura è il celeberrimo Pegasus Fantasy in lingua inglese, ora rinominato Pegasus Seiya, suonato e cantato dai The Struts: è orecchiabile ma siamo lontani anni luce dalla canzone originale in giapponese o dall'ottimo riarrangiamento in italiano firmato da Massimo Parretti e Stefano Bersola di qualche tempo fa. La band anglosassone ha composto, suonato e cantato anche la sigla di chiusura, Somebody New, che non è male, intendiamoci, ma ci è sembrata un po' troppo generica come canzone.

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Concludiamo col doppiaggio che, a onor del vero, ci ha lasciati abbastanza interdetti. Il cast italiano storico è tornato praticamente al gran completo: mancano all'appello solo Andrea de Nisco, ovviamente, e Tony Fuochi, cioè le vecchie voci di Andromeda e Phoenix, sostituiti adesso - e molto bene - da Deborah Morese e Mattia Bressan. Ivo De Palma, Marco Balzarotti, Luigi Rosa e Dania Cericola tornano a doppiare rispettivamente Pegasus, Sirio, Crystal e Lady Isabel. Non credevamo che l'avremmo mai potuto pensare, eppure durante la visione del reboot ci siamo continuati a chiedere se sia stata veramente la scelta giusta. Tutti i protagonisti hanno un aspetto e un atteggiamento sensibilmente più giovane e puerile rispetto al character design di Shingo Araki: se Pegasus sembrava avere una ventina d'anni nel 1986, in questo reboot è chiaramente un adolescente. Ivo De Palma fa quel che può, ma l'effetto è veramente troppo strano, specialmente perché questo Pegasus è stato scritto come un burlone che fa continuamente dell'ironia su tutto quello che succede. È bello risentire quel "Fulmine di Pegasus!" così convinto e carico di energia, ma quando lo stesso personaggio un attimo prima vede un elicottero armato fino ai denti ed esclama "Fico!" con la voce di De Palma, l'illusione si spezza e rimane la certezza che questo reboot è sbagliato quanto inutile.

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Conclusioni

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4.0

Il reboot de I Cavalieri dello Zodiaco non è pessimo, semmai è esattamente come temevamo: inutile. La produzione Toei Animation è una pallida imitazione, edulcorata ed eccessivamente stringata, di un'epopea che ha definito una generazione e che tutt'ora resta uno degli anime più amati di tutti i tempi. Netflix dovrà sudare sette camicie per proporre una seconda stagione che riesca a sistemare questo disastro ma, come si suol dire, il dado ormai è tratto. E noi continuiamo a farci quella domanda: ma proseguire Lost Canvas pareva brutto?

PRO

  • Il nuovo design delle armature
  • I personaggi somigliano molto alle controparti disegnate da Shingo Araki negli anni '80

CONTRO

  • La storia ha perso mordente e profondità
  • Tante, troppe sottotrame perdute nel nulla
  • Il cast italiano storico stona con l'aspetto giovanile dei personaggi
  • Il tombino parlante