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Indiana Jones e il quadrante del destino, la recensione del nuovo Indy al cinema

Harrison Ford torna al cinema nei panni di Indiana Jones: la recensione di Indiana Jones e il quadrante del destino, la sua ultima avventura.

Indiana Jones e il quadrante del destino, la recensione del nuovo Indy al cinema
RECENSIONE di Christian Colli   —   29/06/2023

Chi più chi meno, siamo cresciuti tutti con Indiana Jones. Le sue peripezie hanno definito intere generazioni, il suo cappello è diventato un'icona che rappresenta l'essenza stessa dell'avventura. I primi tre film sono pilastri della cultura pop come pochi altri al mondo e anche il quarto, tanto vituperato, ci ha insegnato qualcosa, e cioè che non sempre fa bene guardare al passato e cavalcare le vecchie glorie in cerca di sicurezze: ogni tanto bisogna andare avanti, rischiare e voltare pagina. È una lezione che Hollywood non ha ancora imparato, un errore che ultimamente ripete con fastidiosa frequenza. E se a sbagliare è addirittura uno come Steven Spielberg, che speranze poteva avere James Mangold, che lo ha sostituito al timone per riaprire una porta che sembrava essere stata chiusa?

Pertanto è con poco entusiasmo e molta diffidenza che siamo entrati in sala, domandandoci se veramente avevamo bisogno di un altro Indiana Jones, se davvero volevamo rivedere sullo schermo un Harrison Ford fin troppo invecchiato a fingere di essere giovane. Nella nostra recensione di Indiana Jones e il quadrante del destino vi spieghiamo perché ci siamo ricreduti, almeno in parte.

L'ultima cavalcata di Indy

Ormai il software di ringiovanimento fa miracoli
Ormai il software di ringiovanimento fa miracoli

Il nuovo film comincia con un lunghissimo flashback che ci riporta alla seconda guerra mondiale, sopra un treno nazista in cui Indy e il suo amico Basil Shaw (Toby Jones) stanno cercando di recuperare un certo manufatto. Oltre a fare sfoggio di una tecnologia di ringiovanimento in computer grafica che sta raggiungendo lo stato dell'arte, il flashback scopre subito le carte sul mistero archeologico di turno: la macchina di Anticitera, uno strumento dalle capacità sconfinate che avrebbe costruito Archimede a Siracusa. Quando lo ritroviamo nel presente, però, Indy è un relitto: ormai in pensione, tira a campare tra una bottiglia e l'altra nell'America dell'allunaggio, in un momento storico in cui si guarda al futuro e allo spazio piuttosto che alla X che indica il punto in cui scavare.

Dapprincipio Il quadrante del destino sembra un maldestro tentativo di cancellare Il regno del teschio di cristallo, ma in verità il quarto Indiana Jones non si può ignorare: quanto accaduto in quel film avvia il cosiddetto "viaggio dell'eroe" in questo, forse l'unica pellicola a stabilire una posta in gioco davvero intima per il personaggio interpretato da Harrison Ford. Quest'ultimo si muove con un carisma e una passione fuori dall'ordinario: l'affetto che l'attore ormai ottantenne nutre per il suo alter ego cinematografico si avverte in ogni singola scena, in una delle prove attoriali migliori del vecchio Ford.

Il quadrante del destino è un film diverso dai precedenti sotto molti aspetti, eppure il buon Mangold, che muove la macchina da presa con sicurezza e precisione, casca nell'errore più banale possibile: lo infarcisce di rimandi alla saga, in un'operazione nostalgica che più spesso sembra tradire una carenza di idee piuttosto che la volontà di strizzare l'occhio ai fan. Così tornano tutti i cliché possibili e immaginabili, dagli inseguimenti a cavallo alle grotte piene di schifezze che strisciano, passando per l'assoluto disprezzo nei confronti dei nazisti ai cammeo volanti, tipo quello di John Rhys-Davies con le sue due battute in croce nel ruolo del simpatico Sallah, e che comunque riescono a strappare un sorriso e pure una lacrimuccia ai più appassionati.

Dicendo così, potrebbe sembrare che Il quadrante del destino sia un brutto film o, peggio ancora, una pellicola inutile, ma non è così. Affatto. È un gran bell'Indiana Jones, con una regia salda e in certi momenti anche parecchio ispirata, un dosaggio di azione e introspezione che funziona, una fotografia splendida, alcuni momenti davvero memorabili e un finale frettoloso ma efficace. Non annoia né offende come faceva Il regno del teschio di cristallo coi suoi frigoriferi e le sue liane, ma al tempo stesso non sbalordisce mai, se non in una sequenza finale davvero fuori di testa che promuoviamo a pieni voti.

Sulle ali della nostalgia

Harrison Ford e Phoebe Waller-Bridge in una scena del film
Harrison Ford e Phoebe Waller-Bridge in una scena del film

Mangold non è Spielberg e neppure tutta la computer grafica del mondo riuscirà a restituire la genuina creatività ed efficacia delle scene più artigianali, ma memorabili, dei film precedenti. Il quadrante del destino è un film girato bene, che manca però di quel guizzo e di quella ricercatezza che facevano brillare anche le riprese più banali, tirando fuori dal cilindro momenti iconici come la cena ne Il tempio maledetto o il salto della fede ne L'ultima crociata. Così, scene come l'immersione - in cui la sceneggiatura sottoutilizza un carismatico Antonio Banderas - che avevano un potenziale enorme, si risolvono in brevi parentesi senza acuti.

Anche la scelta di incupire il protagonista, sprofondandolo in una crisi esistenziale, fa a pugni con lo spirito goliardico che caratterizzava la trilogia originale, ma ha senso in un'ottica moderna in cui niente è mai abbastanza e bisogna puntare sempre più in alto, esasperando intrecci e ruoli.

Mads Mikkelsen in una scena del film
Mads Mikkelsen in una scena del film

Ecco quindi il cast di comprimari che fa al caso di Indiana Jones 5. Nessun interesse sentimentale per il professor Jones, stavolta, ma una figlioccia, Helena - l'eccellente Phoebe Waller-Bridge di Fleabag - che rovescia completamente il ruolo della "damigella in pericolo": è scaltra, determinata, beffarda e un po' disonesta, ma affascinante e grintosa come l'Indy del passato. L'accompagna una giovane spalla, Teddy, ma l'acerbo Ethann Isidore, che vorrebbe essere una specie di Shorty 2.0, scricchiola un pochettino, pur essendo sicuramente meno molesto del Mutt di Shia LaBeouf ne Il regno del teschio di cristallo. Il trio instaura una dinamica simile a quella di Indy, Willie e Shorty ne Il tempio maledetto, ma questa volta è Helena a condurre i giochi, dando così a Indy lo spazio per completare il suo percorso.

Nei panni del cattivo troviamo Mads Mikkelsen, che è sempre straordinario e ormai si è cucito addosso il ruolo, ma che la pellicola abbozza senza approfondirlo troppo: è nazista, non ha scrupoli e vuole il meccanismo di Archimede per scopi tutt'altro che nobili, e non ci serve sapere altro. Non che i villain dei quattro Indiana Jones siano mai stati particolarmente memorabili, ma anche in quel caso le intuizioni di Spielberg - e di George Lucas, che aveva firmato le storie precedenti - avevano confezionato personaggi carismatici del calibro di Elsa Schneider o Irina Spalko, tratteggiate con pochi, ma efficaci tocchi di classe.

La macchina di Anticitera costruita da Archimede
La macchina di Anticitera costruita da Archimede

Alla fine, Indiana Jones e il quadrante del destino è esattamente quello che ci si aspetterebbe da un Indiana Jones: meno sbalorditivo, più contorto, ma pur sempre grande intrattenimento, peraltro sulle note di un John Williams in stato di grazia che segue ogni singola scena con una puntualità maniacale. Il film di Mangold non si porta sulle spalle il peso di un passaggio di testimone che non c'è mai stato e che mai ci sarà: come ha affermato lo stesso Harrison Ford, lui è Indiana Jones, e Indiana Jones morirà con lui.

E va bene così, questa dovrebbe essere l'ultima avventura di un uomo che ha vissuto nel passato per troppo tempo e che deve riscoprire se stesso e l'importanza del suo presente. Forse troppo cervellotico per come ci ha abituato Spielberg nei suoi Indy precedenti, Il quadrante del destino riesce nella difficile impresa di modernizzare Indiana Jones senza snaturarlo. E non è cosa da poco.

Conclusioni

Multiplayer.it

7.5

Se questa è davvero l'ultima volta che vediamo Indiana Jones al cinema, allora la pellicola di James Mangold ha un grandissimo merito, cioè quello di chiudere una saga importantissima senza farci rimpiangere troppo i film con cui ci siamo innamorati dell'archeologo più famoso del mondo. A tratti così autoreferenziale da sfiorare la nostalgia spicciola, Indiana Jones e il quadrante del destino è un film che funziona nel cast, nella messinscena e nella narrativa, ma che non brilla di luce propria in nessun aspetto, se non nell'interpretazione stellare di Harrison Ford. E nonostante questo riesce a farci volare con la fantasia, a rapirci per quel paio d'orette in cui un vecchietto che combatte i nazisti torna ad essere l'eroe di cui avevamo bisogno e che un po' ci meritavamo.

PRO

  • Harrison Ford in una delle sue migliori interpretazioni
  • La colonna sonora di John Williams
  • Il mistero archeologico di turno è davvero intrigante

CONTRO

  • Mangold se la cava ma non è Spielberg
  • L'antagonista non convince fino in fondo
  • I riferimenti ai vecchi film tendono ad essere stucchevoli