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I soldi sono reali, lo è anche il divertimento?

I pericoli dei nuovi di modelli di pagamento in un mercato che chiede guadagni assicurati ma al contempo pretende un'espansione illimitata

SPECIALE di Mattia Armani   —   05/08/2012

Le rivoluzioni videoludiche, spesso fenomeni così definiti solo da chi vuole imporre un nuovo modello al mercato, non sono sempre piacevoli. Un esempio lampante, nel mondo PC, ci viene fornito dai DRM, il servizio di protezione online antipirateria che finisce per colpire i giocatori onesti mentre le copie piratate sono tranquillamente utilizzabili. Un altro ce lo forniscono i DLC rilasciati nel giorno di lancio dei giochi e talvolta addirittura caricati sullo stesso supporto su cui si trova il gioco.

Zangief colpito a morte dall'ultimo DLC
Zangief colpito a morte dall'ultimo DLC

Un altro ancora lo troviamo nella sfera dei titoli freemium con la strategia di implementare microtransazioni quasi necessarie per poter giocare che vanno a delineare il famigerato modello pay to win. Il mercato, insomma, vuole che tutti paghino, in un modo o nell'altro, e spesso vuole ottenere di più dall'utente già abituato a pagare anche nel caso di titoli che non offrono nulla di nuovo. Ebbene, l'unica combinazione che si è rivelata vincente per limitare la pirateria, celare il DRM sotto presunti contenuti e ottenere guadagni anche in un secondo momento è ovviamente il multiplayer. Blizzard, sfruttando un'impostazione videoludica orientata alla connessione permanente, ha raccolto tutto questo in Diablo III. Nel caso del titolo Blizzard l'utenza ha accettato il compromesso, stringendo i denti, con la speranza di avere tra le mani un nuovo hack & slash indimenticabile. In parte la speranza è stata esaudita, con meccaniche ottime, ma la struttura più chiusa del gioco e le forti limitazioni in termini di possibilità di trovare bottino hanno compromesso l'esperienza per molti giocatori che manifestano con forza la loro amarezza. Tra le opinioni formulate tra i fan diffusi ecco che spunta una delle altre presunte rivoluzioni del mondo videoludico. Parliamo dell'asta a moneta reale che potrebbe certo essere un siero di lunga vita per un certo tipo di titoli, consentendo ai giocatori di guadagnare denaro giocando, ma che cela pericoli enormi. Tra l'altro Blizzard ha voluto implementare un sistema di scambio monetario tra giocatori a dir poco complesso sempre senza test, con Diablo III ancora da rifinire, con bug a non finire, con un sistema di magic finde che rende necessaria l'asta e allo stesso tempo rende difficile valutare gli oggetti e il tutto in un clima di poca trasparenza. E sapere che alcuni cheater guadagnano soldi reali mentre l'utente onesto difficilmente riesce a fare una partita in tranquillità produce sensazioni spiacevoli.

Soldi reali per un finto divertimento?

Ma ci sono altri pericoli insiti in questo modello che si avvicinano pericolosamente al pay to win. Così è stata infatti letta da molti l'estrema difficoltà dell'atto Inferno di Diablo III. E costringere i giocatori a comprare degli oggetti per usufruire pienamente di un titolo concede un vantaggio netto a chi ha maggiore disponibilità economica rende l'asta, e in altri casi la promessa del free to play, come un elemento a dir poco triviale. Ma almeno nella maggior parte dei titoli gli oggetti acquistabili sono predefiniti e il listino dei prezzi è chiaro da subito. Il costo degli oggetti di un'asta come quella di Diablo invece, con sbalzi di caratteristiche e prezzi che possono raggiungere i 250 dollari, non consente un calcolo della spesa. E se si ha la necessità assoluta di un oggetto si finisce in balia di un mercato in movimento che costringe il giocatore a diventare quasi un operatore finanziario. Inoltre la natura stessa dell'asta, che come abbiamo anticipato manca di trasparenza, instilla sospetti nei giocatori che, anche fossero infondati, rischiano di rovinare l'esperienza.

Ma quanto ci costa giocare?
Ma quanto ci costa giocare?

E se la riduzione del drop e la difficoltà esagerata di certi incontri e dell'accumulo di denaro virtuale fossero realizzati ad arte per "convincere" più giocatori a comprare usando il proprio portafogli e non quello, virtuale, dei nostri eroi? E se, e qua si va nel campo delle illazioni ma più di un giocatore ha manifestato il dubbio, alcuni oggetti fossero messi in vendita dalla stessa Blizzard? La mancanza di trasparenza, infatti, impedisce di vedere da fuori i movimenti finanziari e di sapere il nome dei venditori. Quindi pur fidandosi degli sviluppatori è quasi impossibile dissipare i sospetti, anche quando eccessivi. Ovviamente è improbabile che Blizzard abbia organizzato una macchinazione truffaldina che rischia di compromettere un impero videoludico. Ma, ripetiamo, anche il solo sospetto, viste le meccaniche davvero ostiche per chi non specula e gioca in modo rilassato, è un elemento in grado di compromettere l'intera esperienza ludica. Uscendo dalla sfera dei timori e delle insinuazioni è comunque evidente come i giocatori stessi, magari dotati di più tempo o motivazione, possano monopolizzare il mercato alzando i prezzi a dismisura. Il mercato dei beni digitali non deve infatti sottostare ai limiti di sistema di trasporti, e senza una regolamentazione l'oggetto digitale, che ha un valore indeterminabile con i canoni classici, facilita la speculazione. Ovviamente, finchè resta tutto nelle meccaniche di gioco, come in EVE, è un conto, ma la questione cambia radicalmente quando un meccanismo accessorio, e con effetti relativi sull'esperienza ludica, finisce per danneggiare il gioco. Per capire quanto devono essere temute le aste online sarebbe utile sapere quanti hanno lasciato o messo in pausa Diablo III, magari in attesa di tempi migliori. Ma difficilmente Blizzard si esporrà rivelando cifre potenzialmente imbarazzanti. In ogni caso, aste o no, il mercato cercherà altri modi di ottenere guadagni exta, lasciando che siano i giocatori a lavorare al grido di "we love the community". Il videogioco classico è in pericolo. Non è certo morto visto che, come dimostra il cinema, c'è spazio per tutti, ma ci aspettano sicuramente tempi travagliati con slogan terribili come "mercato dei servizi" che tornano a popolare i nostri incubi. Non per fare un paragone diretto, anche perchè i videogiochi non si mangiano, ma la cosiddetta "società dei servizi" è alla base della crisi odierna visto che, per l'appunto, facilita a dismisura la speculazione.

Asta la vista baby

In definitiva, uno spostamento del mercato sembra inevitabile, con le major che sono già in febbrile attività, decine di titoli free to play in arrivo e altrettanti già disponibili sul web, su Android e iOS. Resta da superare l'ostacolo di Sony, Microsoft e Nintendo che tra retail ed eventi di lancio tengono su un grosso mercato e dalle royalty ottengono grossi guadagni.

Evviva la fantasia, anche nei prezzi!
Evviva la fantasia, anche nei prezzi!

Non a caso il fenomeno del free to play è vincolato al PC. C'è chi dipinge le tre aziende come i cattivi, visto che rendono la vita difficile agli sviluppatori indie chiedendo cifre generose, ma in questo frangente senza le tre major avremmo già visto un drastico calo dei cosiddetti tripla A sviluppati per il mercato retail. Molti big su PC derivano o sono sviluppati per essere poi convertiti su console e senza le vendire al dettaglio garantite da queste probabilmente non esisterebbero. Difficile prevedere dove si andrà a parare. È anche possibile un ritorno alle origini, con parte del free to play che già ricorda il periodo d'oro dello shareware, sebbene appaia più probabile una situazione ibrida, con titoli classici mescolati o affiancati a un mercato fatto di beni digitali e di versioni meno campate per aria dell'asta online di Diablo III. Nel caso di quest'ultimo, per recuperare la situazione e limitare la sensazione di essere ingannati, l'unica soluzione papabile sembra essere quella di porre maggiori limiti monetari agli acquisti e soprattutto di aprire le porte al find evidando una morte prematura a un titolo potenzialmente ottimo. Lo stesso vale ovviamente anche per i titoli che oseranno intraprendere la stessa strada. Tre fasce di prezzo per oggetti utili, rari o eccezionali che pongano gli stessi limiti dei DLC e consentano all'utenza di valutare senza sentirsi preda di speculatori, cheater, favoritismi, politiche occulte e via dicendo.