Il 2012 è stato caratterizzato da due prodotti così diversi ma al contempo incredibilmente simili, curiosamente questi titoli hanno come matrice comune la casa di sviluppo, Ubisoft Montreal. Stiamo parlando di Assassin's Creed III e Far Cry 3, due dei grandi mattatori delle feste natalizie che ci hanno fornito, proprio grazie alle loro similitudini, gli spunti per questo speciale. Ma cosa possono avere in comune un'avventura in terza persona e un first person shooter? Molto, se la visuale utilizzata è l'unico segno distintivo per due produzioni che desiderano battere il medesimo sentiero, quello di un'esperienza free roaming che trae forza dal potere dell'accumulo. In entrambi i casi infatti assistiamo a una stratificazione progressiva di risorse che vanno a creare una intricata tela di possibilità, donando quindi al giocatore non solo piena libertà in una mappa sconfinata, ma anche fornendogli un ampio margine di interazione.
Eppure questa è una caratteristica la cui paternità può essere attribuita a Desmond, da anni fucina per esperimenti e crocevia di numerose suggestioni ludiche. Suona strano parlare in questi termini di una serie così popolare, in grado di trovare a ogni iterazione grande riscontro ai botteghini, ma se ci pensate bene Ubisoft ha sempre dimostrato di non voler mostrare il fianco a facili etichettature, ma rischiando anche tanto a ogni uscita. Questo terzo capitolo è in assoluto il più ricco e controverso della saga, a partire dalla collocazione storica, quella della guerra di indipendenza americana, che porta ad ambientazioni che cambiano profondamente le meccaniche a cui eravamo abituati. Se c'è un aspetto della saga che però viene mantenuto a ogni release è proprio quello di un design interamente votato all'impalcatura scenica: i protagonisti negli Assassin's Creed sono sempre i suoi carismatici personaggi, la magnificazione della componente narrativa e le emozioni trasmesse delle ambientazioni. Sotto questo punto di vista quasi niente è cambiato. Far Cry 3 in tal senso prende dovute e significative distanze, vediamo come.
La mia isola
L'avventura nelle Rook Islands di Jason Brody si trasforma dopo poche ore in un dirompente esperimento di immersione digitale. Complice l'inquadratura utilizzata e il personaggio appena abbozzato, il giocatore "diventa" Jason Brody e l'intera isola diviene spazio totalizzante, tanto che la storia passa quasi completamente in secondo piano rispetto alla smania di esplorazione, recupero e dominio alimentate dalle meccaniche del gioco. Non è un caso che la sceneggiatura finisca per citare opere come Alice nel Paese delle Meraviglie, Apocalypse Now e addirittura Il Signore delle Mosche; l'impatto provocato dell'ambientazione selvaggia, idilliaca quanto crudele, scatena nel protagonista un'alienazione che sfocia in bestialità atavica fino alla follia, come a sottolineare l'intrinseca incompatibilità della ragione con quell'ambiente.
Particolarmente significative si rivelano le sequenze allucinate degli scontri contro i boss e la riluttanza di Jason nel voler tornare alla civiltà, preferendo un primitivo dominio dell'isola al fianco della conturbante Citra. In un momento particolarmente ispirato assistiamo a un monologo dell'inquietante Vaas Montenegro, che citando Albert Einstein sembra quasi dare un'interpretazione dello stesso videogioco: "Qual è la definizione di pazzia? Ripetere sempre le stesse cose sperando in risultati diversi". Alla stessa maniera ci scopriamo ripetere all'infinito le medesime operazioni in Far Cry 3: raccogliere gli scrigni, cacciare gli animali, combattere i pirati, e non esserne mai sazi, ma anzi godere di ogni nuova scoperta, come le lettere trovate sui cadaveri di soldati giapponesi, particolari che scatenano le ombre del passato e ci fanno capire come la nostra isola non sia poi così immacolata. Tutto questo funziona mirabilmente grazie al lavoro effettuato dai programmatori, che riescono a trovare la quadratura del cerchio riuscendo a dare omogeneità alle varie parti.
Voglia di sfida
Passiamo in rassegna gli elementi in comune tra le due produzioni. Entrambi i titoli si sviluppano su vaste mappe da svelare progressivamente attraverso la scalata di una serie di torri, soluzione inventata proprio dalla saga di Assassin's Creed. Se però in quest'ultimo l'operazione è meccanica e funzionale alla scoperta delle zone di interesse, nel caso di Far Cry 3 le torri radio si presentano sempre più ostiche da scalare grazie all'implementazione di un buon level design, che obbliga non solo alla lettura e comprensione del percorso esatto, ma anche al possesso di una buona manualità per gestire la componente platform. Anche in queste fasi come più in generale, in Far Cry 3 si muore spesso, condizione semplicemente non contemplata dalla serie di Assassin's Creed, che presenta ancora combattimenti estremamente semplificati per venire incontro alle esigenze di tutti.
Un altro elemento è rappresentato dal sistema di caccia, implementato in entrambi attraverso un articolato sistema di intelligenza artificiale che muove una fauna decisamente credibile. Raccogliere le varie pelli e rivenderle rappresenta un'operazione funzionale al crafting del nostro personaggio, anche qui però è chiaramente ravvisabile una chiara discrepanza di intenti. Se Assassin's Creed 3 si focalizza sulle finezze delle tecniche di caccia ma risulta carente nella interazione tra gli animali e i personaggi, tanto da doverli relegare a una specifica area, in Far Cry 3 la fauna vive di dinamiche non circoscritte, in modo da rappresentare una minaccia per tutti. Trovarsi davanti un orso feroce con il fucile scarico equivale a morte certa, e non è raro vedere tigri di Sumatra irrompere negli accampamenti, massacrando i pirati senza nessuna traccia del nostro intervento. È questo uno dei motivi che portano a lavorare febbrilmente sul miglioramento delle abilità di Jason, nella speranza di rendere le scorribande nell'isola meno traumatiche. Una soddisfazione che non arriva praticamente mai, neanche con tutti i perk sbloccati, le endorfine e il giubbotto antiproiettili si riesce a raggiungere quello stato di onnipotenza tipico dei giochi di ruolo, caratteristica sulla quale invece Assassin's Creed fa leva fin dall'inizio, spostando l'attenzione sull'esperienza, i personaggi e il comparto narrativo.
La stessa gestione della mappa determina il passo delle due produzioni: Assassin's Creed eredita dalle vecchie incarnazioni la natura frammentaria, con la necessità di esprimersi in mappe separate e attraverso sessioni dalle meccaniche differenti. Significativa nel terzo episodio l'inclusione delle battaglie navali, mentre il precedente Revelations tentava addirittura la strada del tower defense. Alla stessa maniera del secondo episodio è presente una parte gestionale che focalizza sul miglioramento delle nostre proprietà (chi ricorda la mitica villa di Monteriggioni?). Far Cry 3 è molto più coerente nel far ruotare attorno alla matrice shooter tutta una serie di elementi che abbracciano i più svariati generi, con un'unica mappa dalle notevoli dimensioni e farcita di segreti di ogni genere. Impossibile non citare le tante sezioni platform per la ricerca delle reliquie, come i riferimenti alla saga di Uncharted che si esprimono con l'introduzione di templi dall'elevato impatto scenico. Par contro è proprio in queste occasioni che si sente la mancanza di un solido level design, sullo stile delle tombe di Firenze o Roma in Assassin's Creed, lasciando il sapore agrodolce dell'occasione mancata, mentre accusa un evidente calo di ritmo nella confusionaria seconda parte. Un caso di parità è ravvisabile invece nelle dinamiche stealth, in questo settore entrambi i titoli risultano farraginosi e incapaci di esprimersi con piena potenzialità.
I perché di un successo
Questa analisi però, non può non ricordare il successo clamoroso di Assassin's Creed, che Far Cry 3, pur essendo stato apprezzato da tanti, non è riuscito a raggiungere. Se in tanti elementi l'FPS di Ubisoft risulta migliore, cos'è che non ha per piacere alle folle oceaniche della saga di Assassin's Creed? A ben guardare, quest'ultima ha spostato inesorabilmente il focus sull'accessibilità dell'esperienza e lo stampo filmico, a scapito però del gameplay più puro e del senso di sfida. Il terzo episodio estremizza più di ogni altro questa caratteristica, esercitando nonostante l'irregolarità strutturale un fascino che è impossibile non riconoscere, calando il giocatore (spettatore?) in un allestimento scenografico semplicemente maestoso. Queste rappresentano sostanzialmente le ragioni del suo successo, ragioni che però non giovano al suo status di mero videogioco.
Far Cry 3 riesce a sfruttare al meglio proprio le migliori idee partorite dai primi episodi della saga degli assassini, innestandole in una struttura omogenea e che non manca mai di coinvolgere e rappresenta al tempo stesso una sfida in grado di accontentare anche i più esigenti. È quindi un titolo maggiormente riuscito sotto il punto di vista della giocabilità. Discorso ben diverso per quanto concerne storia e personaggi, in questo caso Assassin's Creed III si rivela un prodotto non di poco superiore, con protagonisti in grado di entrare nell'immaginario collettivo, sceneggiature di primo livello e ambientazioni che fanno leva su un'accurata ricostruzione storica. Personaggi come Ezio Auditore sono ormai autentiche icone, la nuova entrata Connor ha buone possibilità di far breccia nel cuore dei giocatori, mentre l'onesto Jason Brody risulta poco più di un contenitore per una vicenda che anche dopo completata, escludendo il suggestivo finale, si dimentica in fretta. Sono i segni evidenti di un mondo dei videogiochi che sta cambiando e che è già cambiato, in cui la giocabilità pura cede il passo ad elementi che agli albori del medium non potevano quasi esistere soprattutto per ragioni tecniche: carisma dei personaggi, trama e narrazione. Forse i giocatori prediligono titoli maggiormente imperniati su questi elementi? In parte abbiamo provato a rispondere con uno speciale di qualche settimana fa e subito abbiamo trovato questa strana coppia di giochi che ci ha fatto riflettere ulteriormente.