Nelle tante interviste concesse da Aonuma all'E3 2014, oltre che alle varie conferenze su Hyrule Warriors, nessun giornalista si è ricordato di domandare chi fosse il responsabile di The Legend of Zelda per Wii U. Dando per scontato che gli intervistatori sapessero che già da Skyward Sword il celebre Eiji fosse deputato alla "sola" produzione del progetto, non possiamo desumere altro che la questione non abbia per tutti la stessa importanza. Da questo atteggiamento quindi abbiamo tratto due conclusioni, che hanno poi originato questa puntata della Bustina di Lakitu: innanzitutto, dato che nessuno lo aveva finora ritenuto rilevante, abbiamo indagato su chi sia, o possa essere, il direttore del prossimo Zelda. E pensiamo di averlo scoperto. In secondo luogo, poiché c'è stato questo apparente disinteresse nei confronti di qualsiasi uomo non chiamato Miyamoto oppure Aonuma (in relazione a questa saga, sia chiaro), vi faremo una dettagliata e approfondita lista, sempre che non la conosciate già, di tutti i papà di Zelda: quelli che, almeno per una volta, hanno avuto la principessa sotto la propria diretta responsabilità. Per comprendere meglio i modi in cui l'hanno plasmata, influenzata e personalizzata.
Tezuka, Aonuma e Fujibayashi hanno fornito diverse interpretazioni di Zelda, ma come l'hanno cambiata?
Miyamoto, il creatore
Non possiamo che iniziare il nostro albero genealogico da Miyamoto, e non possiamo che cominciarlo contraddicendoci: perché, se è vero che tante persone si sono occupate di The Legend of Zelda dal 1986 in poi, sarebbe più giusto chiamarle zii o padrini. Di fatto, il papà di quest'aurea saga è solo uno, per l'appunto Shigeru Miyamoto. E lo è per due motivi. Uno del tutto evidente: è lui che ha introiettato sensazioni e informazioni nelle infantili peregrinazioni nei boschi, per poi rigettarle, in modo straordinario, in quest'avventura fatta di elfi, spade, cavalieri e labirinti. È lui che ha scelto il nome, ispirandosi alla tormentata figura di Zelda Sayre, Fitzgerald da sposata, donna unica e controversa, scrittrice e pubblicista e alcolista, moglie di un genio e morta bruciata in manicomio, in una sola parola "unica": quest'ultima caratteristica, più di tutte le altre, ha ammaliato Shigeru. Che ha fatto centro anche in questo campo.
È lui ovviamente che ha diretto, oltre che ideato, il primo capitolo su NES. Ma il secondo motivo, che ci teniamo a mantenere separato perché non venga considerato una semplice conseguenza, è che sempre lui ha portato la saga in tre dimensioni: oltre ad averla inventata, l'ha anche proiettata nel nuovo millennio, e l'ha fatto in modo leggendario. Ocarina of Time, pubblicato nel 1998, da molti è tuttora considerato il miglior gioco mai creato (unico ad avere un Metascore di 99, il primo a prendere 40 su 40 su Famitsu, trionfatore dei Bafta Awards... insomma, tutto il palamarès che saprete a memoria). Come con Mario, Miyamoto ha dato vita alla sua creatura, riprendendola poi di persona solo al momento di mutar pelle nella tridimensionalità, quando doveva vestirsi di poligoni. Se i recenti The Legend of Zelda sono figli di Ocarina of Time per sistema di gioco, poiché ne hanno tutti ereditato l'ossatura, il fatto che il primo episodio venga additato come riferimento (nel 2014) non è trascurabile, e dimostra per l'ennesima volta la grandezza di Miyamoto: il capostipite su NES, aiutato anche dall'hardware, esemplifica perfettamente "cos'è" The Legend of Zelda. Ovvero: esplorazione, combattimento, sviluppo del personaggio. Tutto il resto - tutto - è pleonastico, orpello più o meno utile ad arricchire l'esperienza. Anche quando Shigeru lascerà Nintendo, questa rimarrà sempre una sua creatura, forse "la" sua creatura. Un'infanzia eternata attraverso un videogioco: non è cosa da tutti.
Tezuka, il maestro nascosto
A corroborare il parallelo tra direttore e opera, sempre che ce ne sia bisogno, ci pensa la pecora nera della serie, The Legend of Zelda II: The Adventure of Link. Un gioco tanto strambo quanto la coppia che l'ha modellato, ovvero Yamada/Sugiyama. Il secondo forse lo avrete già sentito nominare, visto che ha definito la branca motoristica Nintendo, avendo forgiato, su SNES, sia Super Mario Kart sia F-Zero.
Il primo, Yochi Yamada, pur meno celebre di Sugiyama, è quello maggiormente rilevante per la saga di Zelda: dopo The Adventure of Link infatti è stato coinvolto in ogni episodio successivo, saltellando da aiuto-direttore a planner, fino al recente A Link Between Worlds. Yamada è sempre rimasto legato alla serie, ma dopo l'esperienza del 1987 non è più tornato in cabina di regia: non perché il secondo gioco per NES sia stato un fallimento, tutt'altro, piuttosto per la sua atipicità. Composto da sezioni a scorrimento orizzontale, statistiche da classico gioco di ruolo e combattimenti casuali, doveva essere imbalsamato come esperimento, non preso ad esempio per il futuro. Detto questo, ribadiamo che si tratta di un'ottima avventura, e la damnatio memoriae a cui è stato sottoposto non è giustificata né dalla qualità dell'opera, né dal successo commerciale che ha riscosso. Ma il secondo papà di Zelda, non ce ne vogliano Yamada e Sugiyama, non può che essere Tezuka, probabilmente il designer più sottovalutato del secolo scorso: l'amico di Miyamoto, il braccio destro di Miyamoto, il collega di Miyamoto, insomma, il poveretto sembra non poter essere definito se non in chiave miyamotiana.
E il solo pensiero è un'autentica bestemmia, perché Tezuka, oltre ad aver architettato i migliori Mario bidimensionali, ha anche codificato l'impalcatura della leggenda di Zelda. Se abbiamo lodato l'essenzialità del primo episodio, va parimenti esaltato lo sviluppo proposto da A Link to the Past, che ha introdotto città, personaggi non giocanti, centri abitati e tante armi che sarebbero divenute parte integrante della saga. Miyamoto ha dato origine al tutto, Tezuka quel tutto lo ha aperto, inciso e stratificato, e le sue idee si sono cementificate negli episodi tridimensionali. Non ultima la dualità tra Light e Dark World, che, con temi diversi (temporali, stagionali, marittimi) sarebbe stata ripresa da quasi ogni iterazione successiva. Non bastasse A Link to the Past a giustificarne il ruolo paterno, aggiungiamo che il paffuto, castoriforme Tezuka ha anche diretto il primo Zelda portatile, Link's Awakening. Tralasciando la dimensione tascabile, l'episodio, oltre che per la qualità cristallina del design, va ricordato per essere stato il primo a filtrare la principessa con lente distorta e surreale, una cifra stilistica che sarebbe divampata a inizio secolo con Majora's Mask.
La successione
Durante la lavorazione dell'allora Zelda 64 a Miyamoto, già destinato a lunghi anni di produzione e supervisione, spettava il curioso compito di scegliere i propri successori: al plurale, esatto. E i due principali candidati facevano entrambi parte, non casualmente, del team di Ocarina of Time, come sotto direttori. Uno era Eiji Aonuma, l'altro Yoshiaki Koizumi. Pur non disponendo di dichiarazioni ufficiali a riguardo, è facile supporre che la scelta sia stata quasi obbligata:
se Koizumi infatti era adatto a entrambe le serie principali (cioè Mario e Zelda), Aonuma era entrato in società per amore di A Link to the Past, la sua prima opera (Marvelous) ne era stata un placido clone, e soprattutto mal sopportava i giochi d'azione, arrivando addirittura a dichiarare di non essere in grado di terminare il primo Super Mario Bros. Associare l'idraulico a Eiji sarebbe stato un suicidio, o più semplicemente un'ipotesi irrealizzabile. Così Aonuma ebbe Zelda, e Koizumi Mario. Senza divagare troppo su scenari ormai impossibili, sottolineiamo però che il mancato matrimonio della principessa con Koizumi, game designer più completo di Aonuma, se non proprio di maggior talento, ha precluso diverse possibilità. La saga è stata privata della sua anima arcade - che Aonuma non ama, per ricorrere a un eufemismo - e Koizumi non ha potuto più esternare tutto il suo amore per i racconti, nonostante li abbia comunque forzati, in qualche modo, all'interno del primo Super Mario Galaxy. Tuttavia, prima che le loro strade si separassero con Super Mario Sunshine, c'è stato un celere e magnifico rapporto clandestino tra Koizumi e Zelda, che ha originato Majora's Mask. Sebbene sia lui che Aonuma siano finiti nei credits come direttori del progetto, l'anima dell'opera (lo sappiamo da varie interviste) apparteneva proprio a Koizumi: sua l'idea dei tre giorni ciclici, sue tutte le sub-quest che hanno fatto di Majora's Mask il capitolo della saga più poetico, sfaccettato e surreale. Rimane il rimpianto di quello che sarebbe potuto essere, ma esistendo Super Mario Galaxy non possiamo certo dare torto a Miyamoto.
Aonuma, l'erede
Così dal 2000 è Eiji Aonuma, appassionato di musica e creatore di marionette, a guidare la nave di Zelda. Ha esordito in modo epocale, ribaltando l'estetica della saga, dando vita a quella meraviglia chiamata The Wind Waker. In occasione dei venticinque anni della serie, nel 2011, lo abbiamo intervistato noi stessi, e alla domanda su quale fosse l'episodio di Zelda più personale - non che avessimo troppi dubbi - Aonuma ha risposto, senza troppe esitazioni, proprio The Wind Waker. Forse è cinico sostenere che abbia esaurito tutte le idee migliori con quel gioco, ma senza dubbio per lui ha rappresentato il coronamento di vari sogni: in primis il desiderio di un'avventura il cui mondo fosse cucito assieme dal mare.
E, dato non secondario, Aonuma ha scolpito quell'agglomerato di isole, caverne, boschi e castelli inabissati immaginandoli esplorati dal figlio, all'epoca ancora piccolo: un drastico ribaltamento di prospettiva dal Link alter-ego di Miyamoto, che proiettava se stesso come eroe dell'assediata Hyrule. Quello di Eiji è un protagonista umile, che deve scoprire di essere l'eletto, senza precognizioni divine a rassicurarlo: è un Link bimbo nelle espressioni e nelle dimensioni, che deve abbandonare la vecchia nonna all'isola natale, e gettarsi alla ricerca della sorellina rapita. È un The Legend of Zelda delicato, meno epico e più intimista del solito, e rappresenta uno degli atti più coraggiosi mai compiuti da Nintendo, e da qualsiasi colosso dei videogiochi in generale. Pur con qualche problema di design, rimarrà nella storia: non è uno dei The Legend of Zelda di Aonuma, questo è "il" The Legend of Zelda di Aonuma. Da lì in avanti, dopo due giochi con grandi responsabilità e uno diretto in prima persona, Eiji avrebbe preferito passare al ruolo designatogli da Miyamoto, quello di responsabile della saga: le cose, tuttavia, non sono andate come pianificato. Poco conosciamo dei processi creativi interni a Nintendo, tuttavia sappiamo con certezza che, agli albori di quello che sarebbe divenuto Twilight Princess, c'erano due chiare direttive. Una proveniente dalla divisione americana dell'azienda che, delusa dallo stile grafico di The Wind Waker, voleva un capitolo più canonico così da sfruttare al meglio gli ultimi anni del GameCube.
L'altra, interna agli studi giapponesi, indicava per il progetto un nuovo direttore. Il nome di quest'uomo, ahinoi, è rimasto nell'ombra: per certo, a prodotto finito, lo scultore di Twilight Princess è risultato ancora Aonuma. Ma, a differenza di The Wind Waker, poco di sé ha messo nel progetto, se non abilità e artigianato. Eiji è subentrato in regia a operazioni in corso, così da completare l'opera nel miglior modo possibile, quando l'incaricato iniziale non si era dimostrato abbastanza capace da tenere le fila di un lavoro talmente complesso. Pur non conoscendo chi sia stato per vie ufficiali - lo ripetiamo - il candidato più probabile è Takano, comunque inserito nel progetto finale come responsabile dei filmati. Questo giovane all'epoca era in rampante ascesa, uscito da poco dal trionfo di 1080° Snowboarding, ed era stato coinvolto nell'elaborazione della trama di ogni Zelda tridimensionale; in molti ricorderanno, oltretutto, la sezione sulla neve appena prima del quinto dungeon (non che sia una prova, ma un indizio sicuramente). Fatto sta che Takano, in seguito a Twilight Princess, è stato "retrocesso" al team di Wii Fit, e definitivamente allontanato da Zelda.
Fujibayashi, il presente. E...
Chi, quindi, avrebbe finalmente sostituito Aonuma per il successivo Zelda, il primo sviluppato appositamente su Wii? Quando gli abbiamo chiesto quale fosse il criterio principale per designare il nuovo direttore, Aonuma ci ha risposto, forse alludendo al mancato passaggio di consegne in Twilight Princess, come "la cosa più importante sia una forte volontà, e una grande passione che lo porti a non mollare mai, perché ci sono certi momenti in cui arrivi vicino a lasciar perdere tutto, dei momenti che sono davvero difficili, e richiedono qualcuno che sia davvero, davvero deciso a fare ciò che sta facendo, che abbia un enorme, profondo desiderio di creare un nuovo gioco".
I papabili erano molti. Escludendo il già citato Yamada, sempre presente ma mai diretto responsabile dopo The Adventure of Link, uno degli eredi più probabili era Toshiaki Suzuki, responsabile di Four Swords Adventures, che però è stato, in tempi recenti, anch'egli allontanato dalla saga. Daiki Iwamoto aveva diretto Phantom Hourglass, e sarebbe stato confermato anche per il successore portatile, Spirit Tracks. Eventualità che, una volta resa nota, visto il concomitante sviluppo di The Legend of Zelda per Wii, chiudeva il cerchio su un solo nome: Hidemaro Fujibayashi, curatore dei due Oracle of Ages/Seasons, di Minish Cap, co-direttore di Phantom Hourglass, ex Flagship e Capcom, ex designer di attrazioni per Luna Park. Un curriculum niente male, soprattutto per un classe '72. La cifra stilistica di Fujibayashi è ricorrente in ogni sua produzione, ed è contraddistinta, oltre che da un afflato per l'action del tutto alieno ad Aonuma, da un'ossessiva cura per il dettaglio. Un'attenzione eccessiva, quasi maniacale, che mal si sposa coi classici overworld aperti di Zelda. E che si è tramutata, anche per limiti hardware, nel mondo più limitato e cesellato mai visto nei capitoli tridimensionali: quello di Skyward Sword. Un'opera controversa, sorella forse di quello strambo The Adventure of Link di cui parlavano poc'anzi: anomala, votata ai motion control, sviluppata a eventi in stile Super Mario 64.
Skyward Sword probabilmente troverà pace, e verrà apprezzato appieno, solo se sarà seguito da uno Zelda di nuovo aperto, libero, esplorativo. E questa è la vera sfida che attende Fujibayashi su Wii U: affinché il suo open world venga ricordato, dovrà coniugare le proprie manie di controllo con le esigenze digressive di un'ambientazione viva e pulsante. Perché sarà ancora lui (molto probabilmente) a occuparsi del prossimo, atteso, desiderato e temuto gioco: Iwamoto ha diretto il remake di The Wind Waker, sviluppato in concomitanza al nuovo episodio, e quindi è escluso dai potenziali responsabili. A Link Between Worlds è stato scolpito da Hirosama Shikata, che in precedenza aveva assistito Aonuma durante la lavorazione di Twilight Princess. Fujibayashi invece non è apparso nei crediti degli ultimi due The Legend of Zelda, quindi sta evidentemente lavorando ad altro. Crediamo di sapere bene a cosa, e speriamo che si dimostri un genitore all'altezza dei precedenti.
Nota finale: questo articolo era in programma da tempo, ma tra il concepimento e la realizzazione sono passate diverse settimane, settimane in cui si è verificato un triste evento, di cui tutti siete a conoscenza. Parlando dei papà di Zelda, certo non potevamo dimenticarci di lui.