66

La rappresentazione dei musulmani nei videogiochi alla GDC 2018

Il game designer Osama Dorias spiega come la comunicazione e la ricerca siano alla base di una rappresentazione rispettosa dell'Islam nei videogiochi

SPECIALE di Vincenzo Lettera   —   27/03/2018
La rappresentazione dei musulmani nei videogiochi alla GDC 2018

Per discutere del rapporto tra Islam e videogiochi durante il suo incontro alla Game Developers Conference 2018, lo sviluppatore Osama Dorias è partito non da esempi di giochi, bensì da un fumetto in particolare. "Non sono pachistano, non sono una donna e non sono adolescente, ma Ms. Marvel riesce a coinvolgermi perché la sua storia è autentica". Vedendo protagonista il personaggio di Kamala Khan nel 2014, il fumetto Marvel ha fatto discutere e ha avuto enormi apprezzamenti proprio per il tatto e la consapevolezza con cui presenta un supereroe musulmano, diventando un esempio positivo per ogni forma d'intrattenimento. L'intervento di Dorias non aveva i toni di un'accusa diretta a franchise come Battlefield e Call of Duty, bensì sembrava più un vademecum diretto a chiunque realizzi videogiochi. L'intenzione dello sviluppatore era infatti quella di consigliare, spingere i suoi colleghi a prestare più attenzione a pochi importanti dettagli per meglio rappresentare l'Islam nelle proprie storie e nei propri personaggi. Dopotutto c'è ancora molta ignoranza attorno all'immagine dei musulmani, e i creatori di videogiochi possono da un lato accogliere un pubblico più ampio, dall'altro contribuire a combattere questa disinformazione (o quantomeno a non fomentarla ulteriormente).

La rappresentazione dei musulmani nei videogiochi alla GDC 2018

La prima parte del panel ha elencato alcuni dati che sono stati ripetuti fino allo sfinimento, ma che, evidentemente, non sembrano ancora essere stati colti da molti. È un dato di fatto che i musulmani nei videogiochi (e nei media in generale) siano quasi sempre arabi, creando nel pubblico la convinzione che le due cose siano necessariamente correlate. In realtà meno del 15% della comunità musulmana proviene da paesi arabi, e la nazione col maggior numero di musulmani è invece l'Indonesia. "È un luogo pacifico", dice Dorias "che non viene mai mostrato da nessuna parte perché non è mai coinvolto in niente". Rappresentazioni ben riuscite di musulmani nei videogiochi si contano sulle dita di una mano. Un esempio ricorrente è Faridah Malik in Deus Ex: Human Revolution, e non perché è "dalla parte dei buoni", bensì perché il suo background è autentico. Proprio come Kamala Khan. Il fatto che sia una pilota musulmana non finisce per essere l'unico tratto rappresentativo del personaggio, non definisce il suo carattere o il suo ruolo nella storia, ma è un elemento quasi sullo sfondo di un individuo molto più complesso e interessante. Dorias spiega che per una buona rappresentazione dei musulmani è fondamentale il coinvolgimento e il confronto diretto con persone appartenenti a quella cultura. Il già citato Ms. Marvel è un chiaro esempio: la storia e la protagonista sono autentici perché due delle scrittrici principali dietro al personaggio, G. Willow Wilson e Sana Amanat, sono musulmane. Discutere con persone esperte o assumere un consulente in materia può permettere agli sviluppatori di rappresentare correttamente rituali precisi, evitare di scivolare in stereotipi, e in generale creare personaggi più credibili e con un maggior appeal agli occhi di un pubblico sensibile.

La rappresentazione dei musulmani nei videogiochi alla GDC 2018

In Overwatch, il cecchino di origine egiziana Ana Amari ha la voce di Aysha Selim, doppiatrice nata e cresciuta nel Cairo e che ha approssimativamente la stessa età del personaggio. "Se sei egiziano sei in grado di riconoscere esattamente da quale parte dell'Egitto proviene Ana", spiega Dorias. "È impossibile confondere la sua voce con quella di un altro personaggio, e un dettaglio come questo può avere risvolti positivi anche in termini di gameplay". L'ultima parte dell'intervento è stata dedicata alla rappresentazione di quello che Dorias chiama Arabistan (che non c'entra col vecchio nome della regione iraniana del Khuzestan). È un modo con cui il game designer definisce un generico scenario di guerra dalle tinte marroni e ridotto in ruderi dal conflitto: lo stesso che si vede in un'infinità di mappe e ambientazioni di giochi moderni. Un esempio positivo assolutamente unico è la mappa Oasis di Overwatch, che presenta un'immagine incantevole e vivace dell'Iraq. "Io provengo dall'Iraq, e mai nella vita ho immaginato un futuro positivo e radioso per il mio paese", afferma commosso Dorias. "Constatare che qualcun altro provi a farlo ha per me un significato enorme, e spero che tocchi anche altre persone in maniera positiva".

La rappresentazione dei musulmani nei videogiochi alla GDC 2018