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A Quiet Place: The Road Ahead e la sostanziale differenza tra il lessico del cinema e quello dei videogiochi

A Quiet Place: The Road Ahead è la conferma di come sia possibile realizzare prodotti di grande caratura e dal sapore internazionale anche in Italia.

INTERVISTA di Luca Mazzocco   —   20/11/2024
La copertina di A Quiet Place: The Road Ahead
A Quiet Place: The Road Ahead
A Quiet Place: The Road Ahead
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Si è conclusa pochi giorni fa la quarta edizione di Game Ground, evento completamente gratuito realizzato in collaborazione con la città di Bolzano. Un festival capace di valorizzare diverse sfumature legate al mondo dei videogiochi, riuscendo a dare pari valore al lato più commerciale del settore (streamer, tornei, esport) e all'aspetto più culturale. Durante la nostra partecipazione all'evento abbiamo quindi potuto incontrare diverse figure interessanti provenienti dal mondo dello sviluppo videoludico. Figure come Luca Esposito, narrative designer presso Stormind Games e autore della narrativa dietro A Quiet Place: The Road Ahead.

È innegabile: l'ultima fatica del team italiano crea una sorta di unicum nell'industria del nostro Paese. La possibilità di mettere le mani su una proprietà intellettuale in possesso di una major come Paramount Pictures e di poter dare vita a un nuovo tassello del franchise è una responsabilità enorme.

Una questione di responsabilità

Partiamo dalle basi: Stormind Games è da sempre una software house che presta particolare attenzione al comparto narrativo dei videogiochi. Quali sono gli obiettivi dello studio? Quali credi che siano i punti di forza che permettono all'azienda di emergere nel mercato?

Guarda, posso dirti che il traguardo di Stormind Games, almeno fino a qualche anno fa, era di passare dall'essere uno studio indie a diventare uno studio AA. In verità questo A Quiet Place è proprio il coronamento di questo obiettivo. Un obiettivo che abbiamo raggiunto dopo aver passato gli ultimi anni a maturare delle skill in grado di migliorarci e, di conseguenza, di attrarre i partner giusti per permetterci di fare questo tipo di evoluzione. Il mondo dei doppia A è qualcosa che sentiamo nostro, perché ci permette di avvicinarci a un risultato simile a quello dei titoli AAA, ma mantenendo la libertà creativa del settore indie. È un po' quella via di mezzo che ci permette di realizzare giochi di un certo spessore, ma che possiamo ancora modellare secondo le nostre esigenze.
Per quanto riguarda i punti di forza, quello che posso dirti è che sicuramente continueremo a realizzare videogiochi narrativi. Posso affermare, infatti, che non abbiamo intenzione di sviluppare giochi di guida, MOBA o affini, trovando nei titoli dalla narrativa intensa un po' la nostra dimora.

Partiamo dall'inizio: come è nata la collaborazione tra la vostra azienda di videogiochi e il mondo del cinema per A Quiet Place: The Road Ahead?

Parto subito dicendo che siamo orgogliosissimi di aver potuto lavorare a un gioco come A Quiet Place: The Road Ahead. Come accennato prima, negli ultimi anni abbiamo maturato delle skill in grado di farci notare all'estero. Questa cosa ha attratto le attenzioni di Saber, il nostro publisher, che ha deciso di prendere il progetto che all'epoca era in mano a un altro team e di darlo a noi, in quanto specializzati proprio in questa tipologia di videogiochi. Non siamo quindi entrati direttamente in contatto con Paramount, bensì abbiamo comunicato prevalentemente con Saber, che aveva comprato i diritti per realizzare un videogioco tratto dal franchise cinematografico. Il nostro lavoro è stato quindi sempre filtrato da Saber, realtà che si è dimostrata sempre molto attenta, fornendoci feedback su ogni singolo passaggio dello sviluppo e lasciandoci anche una grande libertà creativa. Calcola che loro potevano provare le nuove build di settimana in settimana, rimanendo così aggiornati sull'evolversi del gioco.

Due linguaggi diversi, un solo franchise

La serie di film nata dal primo "A Quiet Place" ruota attorno a un'idea semplice, ma funzionale: qualsiasi suono può ucciderti. Come avete implementato questa idea in The Road Ahead?

Da un punto di vista ludico la situazione alla base dei vari film richiama già di per sé delle meccaniche di gameplay ben precise. Quello che abbiamo fatto io, Manuel Moavero (Lead Game Designer) e l'intero team di design è stato metterci seduti a guardare "frame by frame" ogni singola pellicola della saga. Ogni volta che capitava qualcosa di interessante ci dicevamo: "Perfetto! E ora come la traduciamo in gameplay questa cosa?". Da lì cercavamo quindi di costruire attorno alle varie scene una struttura ludica funzionante. Ci siamo presto accorti, però, che replicare queste idee pari pari al film risultava tedioso per il giocatore. La parte più difficile, infatti, è stata bilanciare il divertimento in un mondo mortale come quello di A Quiet Place. Alla fine speriamo di esserci riusciti.

Stormind Games è da sempre una garanzia di qualità. La dimostrazione di come sia possibile anche in Italia sviluppare videogiochi riusciti sia nel gameplay che nella narrativa
Stormind Games è da sempre una garanzia di qualità. La dimostrazione di come sia possibile anche in Italia sviluppare videogiochi riusciti sia nel gameplay che nella narrativa

Mi permetto di aggiungere una nota divertente sullo sviluppo: quando abbiamo cominciato a progettare The Road Ahead non avevamo ancora accesso al terzo film, quindi quello che abbiamo potuto fare è stato dare vita a qualcosa che non fosse uguale ai primi due, ma che risultasse comunque familiare ai fan della serie. Puoi immaginare la tensione quando siamo andati a vedere A Quiet Place - Giorno 1. C'era veramente il rischio che sovvertissero alcune delle scelte che avevamo preso nel gioco. Il risultato, però, è stato che il terzo film sembra quasi convalidare alcune nostre decisioni. Una volta finita la proiezione abbiamo potuto quindi tirare un lungo sospiro di sollievo.

Lavorare a un videogioco tratto da un franchise cinematografico necessita senza dubbio di un grande lavoro di comunicazione tra le due aziende. Quali materiali vi sono stati forniti per fare bene il vostro lavoro? Avevi a disposizione una sorta di bibbia narrativa?

Beh, per prima cosa il modello 3D della creatura ci è stato dato direttamente da Paramount, quindi quello che si vede nel gioco è proprio il modello utilizzato nei film, adattato ovviamente all'Unreal Engine 5. Dal punto di vista della documentazione narrativa, invece, mi sono state date solamente delle direttive da Saber e da Paramount per svolgere un lavoro coerente con le produzioni cinematografiche. Cinema e videogiochi, un binomio che esiste da diverso tempo e che trova diversi punti in comune tra le due realtà. Quali sono, però, le principali differenze tra i due linguaggi? Essere dei bravi registi e sceneggiatori di cinema significa saper lavorare correttamente come narrative designer?

L'idea alla base del film è tanto semplice quanto funzionale: chiunque emetta un qualsiasi suono rischia di venire dilaniato da giganteschi alieni dall'udito iper sensibile
L'idea alla base del film è tanto semplice quanto funzionale: chiunque emetta un qualsiasi suono rischia di venire dilaniato da giganteschi alieni dall'udito iper sensibile

Non c'è alcun dubbio che ci sia una differenza abissale tra i due linguaggi. Basti pensare che nel film c'è una regia, che sceglie cosa mostrare allo spettatore. Nei videogiochi, invece, il giocatore è libero di esplorare, rischiando così di creare delle situazioni che spezzano il rapporto tra opera e fruitore. Come dicono i ragazzi di Frictional Games (Amnesia): "il pericolo maggiore in un videogioco horror è il giocatore". Credo che questo sia assolutamente vero. Dopotutto il giocatore farà di tutto per rompere il gioco. Per scappare e salvare la pelle della sua controparte digitale. Quello che abbiamo fatto per arginare la situazione è stato fare tanto (tantissimo) playtest, in modo da costruire l'opera affinché il giocatore si senta sempre immerso nell'avventura.

Un'altra cosa da prendere in considerazione quando si realizza un videogioco tratto da un film è che parte del pubblico sarà inevitabilmente condivisa tra i due linguaggi. Per questo motivo abbiamo dovuto prestare attenzione ad alcuni dettagli come i cadaveri. A Quiet Place non è uno splatter e questo i registi lo sanno molto bene, dato che hanno evitato di soffermarsi su dettagli come viscere e sangue in tutte e tre le pellicole. Anche noi di Stormind Games abbiamo quindi dovuto attuare delle soluzioni simili, per evitare di disturbare il fan della saga, impreparato a un mood più "estremo".

A Quiet Place: The Road Ahead sfrutta il gameplay per raccontare una storia perfettamente integrata con il franchise cinematografico
A Quiet Place: The Road Ahead sfrutta il gameplay per raccontare una storia perfettamente integrata con il franchise cinematografico

Nel lavorare ad A Quiet Place: The Road Ahead hai potuto introdurre qualche elemento all'interno dell'immaginario nato dai film? E, in caso di risposta positiva, questo che effetto ti fa?

Beh, in un certo senso sì! Siamo partiti da una protagonista "diversa" rispetto al solito, dato che Alex Taylor è una ragazza che soffre di asma e che, di conseguenza, si trova in una situazione di svantaggio in un mondo nel quale se ti "permetti" di tossire rischi di venire ucciso in pochi secondi. Si tratta di un mix tra narrativa e gameplay, che serve anche come leva per aumentare la tensione mentre si esplorano i vari livelli. Al di là di questa introduzione, l'elemento che abbiamo implementato noi è senza dubbio il fonometro, uno strumento che rileva il suono e che lo paragona con il rumore ambientale, permettendoci di capire se stiamo passando inosservati o meno. Si tratta di un'idea legata a stretto giro con la protagonista, che da brava appassionata musicale ha potuto sfruttare le proprie capacità per creare una versione "fatta in casa" di questo oggetto realmente esistente.

Una vita al servizio della narrativa

Quando si parla di concept art, di modellazione 3D o di sound design tutti sanno più o meno di che tipo di lavoro si tratti, in pochi capiscono la differenza che passa tra un narrative designer e un writer. Ti va di spiegarcela?

Ma si, certamente! Il narrative designer è colui che prende la trama e la sfrutta per costruirci attorno il gameplay. Per fare in modo che che ci sia un'evoluzione dei personaggi coerente con il procedere dell'avventura e che, in generale, tutto abbia il giusto ritmo di gioco. Il narrative designer collabora con le altre figure professionali del team affinché la narrativa emerga da qualsiasi elemento. Nello specifico, io ho lavorato a stretto contatto con i level designer per fare in modo che gli ambienti raccontino qualcosa del mondo di gioco, a costo di sacrificare un po' di realismo. Dopotutto non è importante che un videogioco replichi la realtà al 100%, bensì che sia verosimile. Da non sottovalutare anche il rapporto tra narrative e game designer, che devono fare in modo che le meccaniche abbiano sempre e comunque un senso logico. Il writer, invece, è colui che scrive direttamente i contenuti del gioco, dai dialoghi ai documenti che possono essere raccolti nel corso dell'avventura.

Luca Esposito (a sinistra) e Giacomo Masi di Stormind Games
Luca Esposito (a sinistra) e Giacomo Masi di Stormind Games

Qual è stato il tuo percorso? Cosa ti ha portato a lavorare come narrative designer per Stormind? Hai qualche autore di riferimento per il tuo stile di scrittura?

Ma certo che ho delle figure di riferimento! Allora: Tim Schafer, Ron Gilbert, Josh Sawyer, Tim Cain, Warren Spector, Fumito Ueda e Jane Jensen. Tutti questi autori mi hanno formato e mi hanno permesso di seguire questa strada legata al narrative design. Per quanto riguarda il mio percorso, io vengo da quella generazione che, anche se voleva studiare "videogiochi", non aveva scuole specializzate alle quali rivolgersi. Quello che ho fatto è stato quindi assimilare per osmosi da tutti quei titoli sui quali ho messo le mani nel corso degli anni, per poi applicare le mie conoscenze creandomi dei piccoli giochi tramite Adventure Game Studio. Ho cominciato poi a lavorare con Alessandro Monopoli e Simone Tagliaferri in Dreampainters Software, collaborando alla creazione di Anna. Subito dopo ho provato ad aprire una mia realtà insieme a un gruppo di miei amici, studiando al contempo cinema sia per quanto riguarda la recitazione che per la scrittura creativa. Tutto questo mi ha portato lentamente da Stormind Games, realtà con la quale collaboro ormai da quasi quattro anni.

Quali sono i punti di forza da dover coltivare se si vuole lavorare nel mondo dei videogiochi? Come può rafforzare le proprie capacità un aspirante narrative designer?

Parlo direttamente a loro: fate giochi. Fate tanti giochi. Nel 2024 ci sono ormai una miriade di software che permettono di creare dei veri e propri titoli funzionanti. Tra le scuole e i tutorial su YouTube è ora possibile assimilare qualsiasi cosa, per non parlare della miriade di libri, interviste, podcast e affini che permettono di espandere i propri orizzonti. Diciamo che al giorno d'oggi è quasi sconsigliato presentarsi a qualche azienda senza avere almeno un piccolo gioco pubblicato su Itch o su qualche altra piattaforma. E va bene tutto, anche un solo personaggio in una singola stanza, ma cercate di mettere le mani in questo settore il prima possibile, in modo da sperimentare e comprenderne pregi e difetti. Un ultimo consiglio: fate rete sociale. Non chiudetevi a riccio, incontrate persone e, soprattutto, siate curiosi.

Trovarsi di fronte un mostro di A Quiet Place: The Road Ahead è un'esperienza terrificante
Trovarsi di fronte un mostro di A Quiet Place: The Road Ahead è un'esperienza terrificante

Ultima domanda: e ora? Qual è il futuro di Stormind Games?

Come accennato già prima, noi abbiamo appena raggiunto il nostro obiettivo. O meglio: un nostro obiettivo. Ora non ci resta altro da fare che crescere in quella direzione, consolidare le skill che abbiamo appreso e continuare a creare titoli narrativi sempre nuovi e, speriamo, sempre più interessanti per i giocatori di tutto il mondo.