44

Benvenuti nella nuova età dell’oro dei videogiochi al cinema (e TV)

Da Super Mario sul grande schermo, a The Last of Us sul piccolo: i grandi produttori cinematografici hanno scoperto solo ora i videogiochi?

SPECIALE di Lorenzo Kobe Fazio   —   15/10/2022

Non è poi troppo difficile intuire cosa smuova i grandi attori della così detta industria culturale, paradigma sociale teorizzato per la prima volta da Max Horkheimer e Theodor W. Adorno, utilizzato per individuare tutti quegli organismi, leggasi multinazionali, che operano in un territorio in cui arte e prodotto si mescolano e si confondono di continuo.

Il concetto può sembrare complesso, ma basta un esempio pratico per togliere ogni dubbio: Disney confeziona sin dalle sue origini meravigliosi lungometraggi capaci di commuovere, divertire, sorprendere, capaci insomma di generare arte e cultura. Tuttavia, allo stesso tempo, parliamo pur sempre di un'azienda, di un'industria per l'appunto, che per sopravvivere deve avere uno sguardo di riguardo verso il mero fatturato. Industria culturale, come dicevamo.

L'esempio, lo ammettiamo, è tutt'altro che privo di malizia, visto che nello scorso secolo il cinema prima, e la televisione in un secondo momento, hanno dettato l'agenda d'investimenti delle multinazionali che, con crescente velocità, non hanno fatto altro che fagocitarsi tra loro per espandere i loro business e ingigantire gli asset in loro possesso.

Al termine della rivoluzione industriale, a metà dell'Ottocento; all'indomani di quel simpatico esperimento dei fratelli Lumière che avrebbe creato un medium nuovo di zecca, mezzo secolo dopo, tra gli asset più preziosi, in questo senso, vanno annoverate le library, i brand, marchi sempre più cross-mediali, sfruttabili su più settori, spalmabili su ogni mezzo di comunicazione.

Tutta una questione di library

Una scena di Street Fighter - Sfida Finale del 1994
Una scena di Street Fighter - Sfida Finale del 1994

Sorvolando sull'intima connessione tra romanzi e film che si venne a configurare sin dalle origini del cinema, a proposito di proto-brand crossmediali, quando i colossi della nascente televisione si resero conto che non avrebbero potuto campare solo di varietà, quiz a premi e produzioni dai costi e dalle ambizioni contenute, misero gli occhi addosso al cinema e ai ricchi cataloghi delle così dette major, come Warner Bros. e MGM, avviando un processo di acquisizione e fusione che, a partire dalla seconda metà degli Anni '50, ha condotto alla creazione di multinazionali integrate, verticali, con giri d'affari nei campi più disparati. Un esempio? La nostra cara Sony, che dal produrre elettrodomestici, proprio per vedere videoregistratori è finita per acquisire la Columbia Pictures nel 1989, prima di trovare un ulteriore sbocco nel mondo dei videogiochi con la prima PlayStation a metà Anni '90.

Le industrie culturali, insomma, sono una parte di questo gigantesco business e non desta alcuna sorpresa, insomma, che i nuovi player culturali, come la già citata Sony, Microsoft e Nintendo, stiano attirando sempre più attenzioni da settori, come quello del cinema e della televisione in primis, affamati come non mai di brand dal facile richiamo, che magari possano già contare su una folta fanbase. Del resto, il caso della Marvel è piuttosto esplicativo da questo punto di vista.

Detentori di proprietà intellettuali, da una parte, e chi possiede mezzi e conoscenze per creare nuove storie da proiettare su uno schermo, dall'altra, si stanno insomma trovando sempre più a metà strada, in un territorio ormai occupato dal nuovo pubblico pagante, schiere di ventenni e ultratrentenni ovviamente cresciuti a pane e videogiochi.

Parte del cast del film di Mortal Kombat del 1995 su cui troneggia Christopher Lambert.
Parte del cast del film di Mortal Kombat del 1995 su cui troneggia Christopher Lambert.

Del vecchio Street Fighter con il sempre strafatto Jean-Claude Van Damme, del Mortal Kombat di Christopher Lambert dai costumi improbabili, del Super Mario Bros. del 1993 noto per tanti motivi, tutti sbagliati, tra cui l'allucinata intro animata, non c'è ormai più traccia; esperimenti, quando non aborti, figli di un'epoca in cui le trame dei videogiochi erano ancora rudimentali e i produttori e registi cinematografici avevano poca o nessuna conoscenza del materiale d'origine.

Oggi le cose si fanno sotto la supervisione e guida di un Shigeru Miyamoto che, sorridente, preannuncia festante il trailer del Super Mario di Illumination; seguendo le indicazioni e collaborando a stretto contatto con Neil Druckmann nella realizzazione della serie TV di The Last of Us; affidando il ruolo di protagonista a un Harry Cavill che forse non ha il physique du rôle, ma di sicuro è nerd quanto basta da conoscere e apprezzare The Witcher.

Dai sequel agli universi cinematografici

Il fin troppo testosteronico Henry Cavill nei panni dello Strigo
Il fin troppo testosteronico Henry Cavill nei panni dello Strigo

Non è solo una questione di rispetto del materiale d'origine, perché una certa interpretazione, cambiando medium di riferimento, può e deve essere consentita. L'industria dell'audiovisivo sta lentamente capendo, anche a fronte di una nuova generazione di sceneggiatori e registi come detto, che il nome di grande richiamo non basta. Serve un progetto, una cura per i dettagli, uno studio specifico. Ovviamente, la supervisione di chi quei brand li ha originariamente concepiti è fondamentale, tassello che nell'equazione è spesso mancato in passato, ma la cui presenza non è affatto scontata neanche oggi.

Di errori e orrori, come la serie Netflix su Resident Evil, ce ne sono e se ne faranno ancora; ma sembra evidente che oggi, dopo i fumetti, siano i videogiochi la principale fonte di una nuova creatività che parla ad un pubblico che solo da qualche anno si appresta a diventare predominante, anche e soprattutto in termini di potere d'acquisto. Mentre Sony apre la sua divisione filmica dedicata ai videogiochi, Nintendo valuta sempre più positivamente il potenziale crossmediale delle sue saghe storiche, Microsoft muove timidamente i primi passi con la discreta serie tv di Halo, chi produce film da anni, chi ha nel suo DNA la creazione di storie, guarda sempre più frequentemente ai videogiochi, anche quando si tratta di realizzare qualcosa che li citi sommariamente come Ralph Spaccatutto e Ready Player One.

Dobbiamo aspettarci il sorgere di universi cinematografici videoludici, sulla falsariga di quanto compiuto con Marvel? Quanto fatto con i supereroi della Casa delle Idee è stato possibile a seguito di una lunga evoluzione delle storie, e delle tecniche narrative, che hanno permesso ai fumetti di proporre intrecci, tematiche, approfondimenti psicologici di un certo tipo, adatti ad una moltitudine di potenziali spettatori. Solo negli ultimi anni sta accadendo qualcosa di simile ai videogiochi, il cui ricorso a tecniche propriamente cinematografiche, i filmati d'intermezzo per l'appunto, rende ancor più diretto e lampante la connessione tra i due media.

Una scena della prossima serie tv di HBO di The Last of Us
Una scena della prossima serie tv di HBO di The Last of Us

Se seconde stagioni e sequel sono già in calendario, la creazione di qualcosa di più ampio respiro è al momento difficile da realizzare e vedere all'orizzonte, vuoi perché gli investimenti che sarebbero necessari prevedono pianificazioni ad ampio raggio che al momento sembrano fuori portata, vuoi perché, al contrario dei supereroi Marvel e DC, mancano universi videoludici sufficientemente estesi, dove è possibile coinvolgere più protagonisti che abitano uno spazio immaginifico condiviso. A esclusione di Riot con League of Legends, che sembra si stia lentamente instradando proprio su questo sentiero, in altri contesti è più difficile individuare abbastanza figure di riferimento che possano sorreggere prodotti confezionati su misura, a meno di non imbarcarsi in improbabili spin-off o produzioni concepite con un taglio differente, come accaduto con il recente Cyberpunk: Edgerunners.

Anche senza grandi universi condivisi, tuttavia, il presente e futuro dei videogiochi tra cinema e serie TV sembra più che mai promettente e ricco di opportunità. I nuovi registi e produttori conoscono il materiale d'origine, i videogiochi a loro volta sono diventati territori fertili di storie già pronte alla crossmedialità.

Siamo insomma di fronte alla prima vera età dell'oro dei videogiochi sul grande e piccolo schermo, dopo diversi anni di rodaggio caratterizzati da qualche sparuta eccellenza, il Silent Hill di Christophe Gans, e tantissimi fallimenti, come la lunga serie di film di Uwe Boll (che se siete amanti del trash dovete correre a recuperare).

Le idee ci sono, gli investimenti anche. Il The Last of Us del duo Pascal-Ramsey e il Super Mario della combo Pratt-Black sono entrambi prodotti chiamati a dare importanti segnali in questo senso. Noi videogiocatori di lunga data, non vediamo l'ora.