PlayStation, PlayStation 2, PlayStation 3, PlayStation 4, PlayStation 5. Xbox, Xbox 360, Xbox One, Xbox Series X. Nintendo 64, Nintendo GameCube, Nintendo Wii, Nintendo Switch. Basta leggere questi nomi in sequenza per capire quanta differenza intercorra tra la nomenclatura Nintendo e quella delle attuali concorrenti: in particolare Sony, che nelle home console ha sempre cambiato generazione "semplicemente" alzando il numero associato alla piattaforma del momento.
Non è certamente un discorso semplice quello che andremo ad affrontare, e più che proporre soluzioni solleveremo dei dubbi. Prima di tutto bisogna considerare che Nintendo è presente sul mercato da (almeno) due generazioni prima della concorrenza; se avessero ritenuto più adeguato il modello altrui, tuttavia, sarebbe stato possibile invertire la rotta. Invece no: molto spesso l'azienda kyotese, cambiando console, ha anche cambiato brand.
Si tratta di un modus operandi, come vedremo, con pro e contro; un modo di evolversi che, tra l'altro, sarà sempre più difficile da adottare in futuro. A primo impatto sarebbe facile sostenere che Nintendo, ogni qualvolta affronti un insuccesso, o uno scarso successo, tenda a mutare l'identità - e il marchio - delle proprie console. Eppure ci sono varie eccezioni; la più notevole delle quali, senza ombra di dubbio, è rappresentata da Nintendo DS. Una piattaforma sperimentale, con due schermi, un pennino e un touch screen, che andava a sostituire un marchio storicamente vincente, e diffuso, come quello di Game Boy (scriviamo marchio, ma sarebbe più corretto dire brand).
Il nome Nintendo è sempre stato presente in ognuna delle console citate. Ma nella maggior parte dei casi, esattamente come con Switch - o Wii - è stato subordinato a quello della piattaforma di una determinata epoca. Questo, in parte, significa azzerare il passato: buttarsi in nuovo progetto, con una nuova identità, senza paura di cambiare e innovare. Tentiamo di individuare quante volte questo "azzeramento" è avvenuto nella storia Nintendo, e quando - e se - accadrà di nuovo.
Nintendo, Nintendo 64 e Game Boy
Iniziamo il nostro resoconto dalla prima effettiva console Nintendo, il Famicom, in Occidente noto come NES (Nintendo Entertainment System). Sarebbe interessante approfondire la differenza tra il nome giapponese e quello nostrano, ma meriterebbe uno speciale a parte; in questa sede limitiamoci a segnalare una divergenza fondamentale tra le due pubblicazioni. In Giappone, in primo piano era stato messo il nome della piattaforma (Family Computer) e non quello della compagnia (Nintendo). In Occidente accadde il contrario, con Nintendo in bella vista, ed Entertainment System sullo sfondo; non è un caso che volgarmente - in Giappone - sia passato alla storia come Famicom, e da noi semplicemente come "Nintendo".
Quella console risollevò il mercato dei videogiochi e rivitalizzò l'industria, creandone di fatto una nuova. Da incontrastata dominatrice del mercato, per il successore Nintendo scelse un nome in continuità col passato: Super Famicom in Giappone, Super Nintendo Entertainment System in Occidente. Non era un iconico e sintetico "due", non era una soluzione identica a quella che avrebbe adottato Sony, ma era molto simile. Nintendo vinse anche quella generazione, ma SEGA si rivelò una contendente seria e agguerrita, sia a livello commerciale che qualitativo. Oltretutto, SNES vendette molto meno di NES: trionfò, ma segnò un passo indietro in termini di egemonia e prestigio globale.
Nella generazione successiva, per la prima volta, ci fu un parziale distacco col passato. Diciamo parziale perché non fu drastico, ma comunque Nintendo, forse avvertendo il salto tridimensionale come una nuova era, optò per un netto cambio di rotta. Sarebbe stato diverso se Nintendo 64 si fosse chiamato come previsto inizialmente, e cioè Ultra Famicom (in Giappone) e Nintendo Ultra 64 (in Occidente). Famicom, Super Famicom, Ultra Famicom: la linea sarebbe stata chiara. Invece no: venne scelto un numero che indicava i bit, a rimarcare la maggiore potenza rispetto alle rivali, e un logo molto colorato (tutti i primari più il verde), ascrivibile all'interno di un cubo.
Con questa piattaforma, per la prima volta in ambito home console, Nintendo diede un unico nome al proprio sistema: Nintendo 64 era tale anche in Giappone. Lasciare da parte il termine "Famicom", da padrona del mercato, fu una scelta estremamente coraggiosa e atipica: in Occidente si scelse "64" al posto del progressivo "Ultra", in Giappone si accantonò addirittura il termine Famicom. Per farvi capire la portata della decisione, in terra nipponica si parla ancora di "Famicom generation" per indicare coloro che erano giovani a fine anni '80. Nintendo 64 non andò bene quanto PlayStation, e a Kyoto decisero di variare ancora. Ne parleremo nel prossimo paragrafo.
Tra NES e SNES, al tramonto degli anni '80, Nintendo aveva pubblicato anche una console portatile che avrebbe ottenuto un discreto successo: Game Boy. Anche in questo caso, visto il prestigio di NES, si sarebbe potuta adottare una soluzione meno coraggiosa: Famicom Pocket (e Nintendo Pocket), ad esempio. Possiamo ipotizzare due motivazioni credibili per la scelta. La prima è che le due piattaforme non erano state sviluppate dallo stesso team interno, e all'epoca tra le varie divisioni c'era - per volontà di Yamauchi (se non sapete chi sia, ne abbiamo parlato in questa breve biografia) - una rivalità piuttosto marcata. La seconda, forse più plausibile, è che se Game Boy avesse fallito non avrebbe comunque intaccato il prestigio di Famicom e NES. Il nuovo brand si rivelò un trionfo, e sarebbe durato per anni.
Nintendo GameCube, Wii e DS
Come avevamo anticipato poco fa, vista la sconfitta subita per mano di Sony, Nintendo cercò di intraprendere una nuova strada: il logo di GameCube era ancora ascrivibile all'interno di un cubo, ma per il resto non c'era alcuna evidenza che quello fosse il successore di Nintendo 64. Il marchio era più serioso, l'aspetto completamente diverso, il supporto (un mini DVD) anche. Il pad assunse una forma meno estrema, e venne abbandonato il caratteristico e alienante tricorno di Nintendo 64. Il risultato comunque fu ancora peggiore che nella generazione precedente, e Nintendo fu scavalcata anche da Xbox.
Nel frattempo, il mercato portatile continuava a dare enormi soddisfazioni. Nintendo dominava in quell'ambito tanto quanto Sony spadroneggiava in quello casalingo. Game Boy costruì un'intera linea di piattaforme all'interno del proprio brand: Game Boy, Game Boy Pocket, Game Boy Color. Anche al momento del salto generazionale, nonostante le enormi differenze tecnologiche e morfologiche (si passò a uno schermo colorato a 16:9, a otto tasti al posto di quattro, e da un formato verticale a uno orizzontale), venne premiata la continuità. Il successore di Game Boy Color venne battezzato Game Boy Advance, che a sua volta dominò il mercato - sostanzialmente senza rivali di rilievo - ed ebbe due fratelli, Game Boy Advance SP (più serioso dell'originale) e Game Boy Micro. Non c'era alcuna necessità, a fine generazione, di alterare un marchio vincente; eppure, la temuta Sony stava per invadere anche questo territorio. Nintendo non si sarebbe fatta trovare impreparata.
Se in ambito portatile c'erano tante possibili strade, nel mercato casalingo Nintendo era alle strette: il cammino di progressiva discesa (ogni piattaforma aveva venduto meno della precedente) sembrava inarrestabile. Serviva qualcosa di forte e drastico: Nintendo Wii si separò nettamente dai predecessori, ma forse in nessun campo si distaccò come in quello del branding. Wii era un nome semplice ed intuitivo, essenziale come la console che rappresentava, e il marchio Nintendo passò completamente in secondo piano, anche come colori (venne abbandonato il rosso tipico dell'azienda): gli stessi spot, di una lucidità eccezionale, vertevano a vendere il prodotto a famiglie borghesi, a persone di qualsiasi età. I videogiocatori tradizionali erano solamente una piccola parte, e non quella principale, del marketing della società.
Quando venne annunciato Nintendo DS, alcuni pensarono che Nintendo fosse impazzita. Abbandonare il brand Game Boy, sempre vincente e noto in tutto il mondo, per buttarsi su una console a due schermi (e con un pennino), sembrò ad alcuni un piano delirante (e non senza ragioni). Iwata fu abbastanza saggio da presentare DS come "terzo pilastro" dell'azienda, che sarebbe convissuto con Game Boy e Nintendo GameCube: un progetto mai realmente esistito, ma che avrebbe consentito di tornare a Game Boy senza troppi problemi in caso di fallimento (un po' come accade ai tempi Virtual Boy).
Be', Nintendo DS non solo batté Game Boy, ma divenne la seconda console più venduta di sempre (dietro PlayStation 2). Parafrasando Steve Jobs, "se non ti mangi da solo, ti mangerà qualcun altro". Nintendo probabilmente temeva che Sony avrebbe conquistato il mercato tascabile esattamente come accaduto con quello casalingo, e decise di osare: dopo qualche mese di tentennamento, Nintendo DS trovò un'identità fortissima (anche grazie all'uscita dell'edizione Lite). DS si rivolgeva ai giocatori occasionali tanto quanto Wii, e assieme raggiunsero la strabiliante cifra di 250 milioni di console vendute: qualcosa di inimmaginabile, qualcosa di probabilmente irripetibile.
3DS, Wii U e Switch
Nintendo vinse le due console war della generazione: con Wii quella casalinga, con DS quella portatile. Entrambi, tuttavia, erano brand estremamente difficili da portare avanti. Sia perché il gaming mobile era in forte espansione, ed era molto efficace nel sottrarre utenza occasionale ai sistemi dedicati, sia perché far migrare i casual gamer da una piattaforma all'altra era molto, molto complicato.
E infatti Nintendo andò in totale confusione, portando avanti entrambi i brand in maniera caotica e disordinata. Il successore di Nintendo DS venne chiamato 3DS, e basò il proprio marketing - almeno inizialmente - sulla funzionalità tridimensionale senza occhiali della piattaforma. Una caratteristica molto affascinante per i nerd che però, finora, non è mai stata in grado di imporsi su larga scala: anche in questo caso, Nintendo cambiò marcia solamente abbassando il prezzo della piattaforma, e attraverso delle pubblicazioni eccezionali (Super Mario 3D Land, Mario Kart 7). Nonostante non sia mai stato in grado di raggiungere i numeri di Nintendo DS, nonostante all'inizio non fosse chiaro se si trattasse di un successore o di un modello alternativo, Nintendo 3DS fece comunque registrare delle vendite impressionanti - soprattutto in Giappone.
Wii U ebbe problemi simili, ma ancora più drammatici. Esattamente come per 3DS, era evidente che Nintendo non volesse abbandonare un brand di successo, ma non sapesse esattamente come portarlo avanti. Wii U non aveva quasi niente in comune con Wii, eppure venne forzato come suo successore: a posteriori, sarebbe stato più saggio staccarsi completamente. In ogni caso, dove Wii era cinico e lucido e coerente nel proporre la sua offerta, Wii U era caotico e disorganizzato. Anche in questo caso, la massa all'inizio non capì se si trattasse di una nuova versione della console, di una nuova generazione di piattaforme o di un prodotto alternativo al precedente.
Nintendo Switch, per vari motivi, rappresentava la scelta migliore possibile ma, allo stesso tempo, costituiva anche una necessità. Le differenze tra prodotti tascabili e casalinghi erano divenute sempre più piccole, e ormai creavano solo problemi; oltre a questo, Nintendo non era più in grado, proprio in termini quantitativi, di supportare due console contemporaneamente. Unificare i due mondi era l'unica via percorribile: un sentiero obbligato attraversato nel miglior modo possibile. E cioè con un'estetica chiara, un brand forte, un ritorno al rosso Nintendo: Switch era una summa di tutto ciò che era stata l'azienda fino a quel momento, e dentro di sé rendeva omaggio ad ogni piattaforma antecedente. Mercato occasionale compreso, che non è stato abbandonato, ma è stato semplicemente messo in secondo piano (dell'attuale relazione coi casual gamer avevamo parlato in questa puntata della rubrica).
In conclusione, Nintendo ha affrontato la sfida del cambio di brand molto più spesso delle sue rivali: a volte per necessità, in seguito a un insuccesso, a volte per decisioni coraggiose (Nintendo DS in primis). La storia ci dice che l'azienda kyotese, nel momento del cambiamento, non ha sempre avuto successo: tuttavia, è sempre stata più brava a lanciare nuovi marchi che a prolungare quelli già esistenti. SNES ha venduto meno di NES, Game Boy Advance meno di Game Boy, 3DS meno di DS, Wii U infinitamente meno di Wii.
Per questa ragione la prossima generazione di console sarà una grande sfida: difficilmente Nintendo abbandonerà, visto il successo e il prestigio, il brand Switch. Progettarne un seguito diretto, per il tipo di pubblico, non è così arduo come in epoca Wii (e DS): tuttavia, visti i precedenti, rappresenta comunque un rischio. Che sia il momento di seguire il modello Sony e, per una volta, limitarsi a un "semplice" Switch 2? Ne discuteremo nei prossimi mesi.