Un paio di settimane fa ci siamo lanciati ad analizzare cosa abbia reso Deadly Premonition tanto speciale e perché dovremmo attendere il sequel, Deadly Premonition 2: A Blessing in Disguise, come un atto di fede verso il suo geniale e visionario autore. Hidetaka Suehiro, in arte SWERY, è uno di quei game designer dai quali ci si può aspettare di tutto e lo stesso non si è mai davvero preparati all'esperienza che ci offre. Pensavamo di aver visto abbastanza geniale follia con la melanconica storia di Francis York Morgan e invece, nel 2014, SWERY se ne esce con un titolo sviluppato anche in ottica Kinect. D4: Dark Dreams Don't Die è un'avventura investigativa a episodi, pensata probabilmente seguendo il trend lanciato da The Walking Dead di Telltale, rimasta nella memoria collettiva non tanto per l'eccentricità che la contraddistingue quanto perché purtroppo è un'opera rimasta incompiuta.
E quando si parla di un thriller, non c'è nulla di più angosciante del trovarsi ignari sull'identità del serial killer: è come se, leggendo qualunque romanzo di Jeffery Deaver, nel momento in cui il racconto prende la svolta decisiva ci fossero solo pagine bianche. Perché è questo che ci è rimasto di D4: pagine bianche destinate a non essere mai scritte, momentum che non ci daranno mai la risposta di cui abbiamo bisogno. Incalzato più volte sulla questione, SWERY ha chiarito che non sarebbe mai ritornato sul progetto: difficilmente dunque possiamo sperare nella ricomparsa di David Young e di tutti quegli imprevedibili personaggi che circondano la sua vita ma che per un breve istante hanno anche fatto parte della nostra. Per questo abbiamo deciso di fare un lungo passo indietro, a sei anni fa, e parlarvene. Da un lato per rientrare nel mood SWERY nella nemmeno troppo lunga attesa di Deadly Premonition 2, dall'altra perché siamo un po' crudeli e vogliamo ricordarvi che, a tutt'oggi, nessuno abbia idea di chi sia il famoso D e non lo saprà mai. Non c'è niente di peggio di un thriller incompiuto, a maggior ragione se è firmato SWERY.
Little Peggy
Dark Dreams Don't Die è la storia dell'ex agente di polizia David Young che dopo la morte della moglie Peggy, uccisa in circostanze ignote, appende la divisa al chiodo e diventa un investigatore privato dedicando tutto sé stesso alla risoluzione del caso. Introdotta così sembra la classica storia poliziesca come tante ma David gode di un potere speciale: toccando un particolare oggetto, che risponde al nome di "mementum", può viaggiare indietro nel tempo e interagire con le persone a esso legate. È tutto ciò che gli resta dal giorno in cui la moglie è morta, poiché un colpo di proiettile alla testa l'ha privato di tutti i ricordi e in cambio gli ha concesso il suo potere. Assieme a David, che almeno da quanto ci è stato fatto vedere non esce mai di casa e risolve i casi semplicemente viaggiando nel passato, c'è Amanda: il primo incontro con lei è un chiaro segno della folle sregolatezza che vige nei giochi di SWERY. Si tratta di una ragazza bionda di età indefinibile che si atteggia in tutto e per tutto come un gatto: non parla nemmeno, miagola e soffia. Forse sono stati gli anni passati e il fatto che purtroppo Dark Dreams Don't Die ha avuto vita molto breve, ma aprire la porta ed essere aggrediti all'improvviso da questa donna gatto in un'assurda sequenza QTE che ci ha visto, la prima volta, con un topo in bocca, è stata una doccia gelida di incredulità. SWERY ce l'ha fatta di nuovo, allora come oggi: pone le basi di una storia intrigante e ricca di potenziale, poi dal nulla se ne esce con una delle troppe stranezze che costellano i suoi giochi e comunque non spezzano l'immersione, anzi.
Il genio di Suehiro, in effetti, risiede proprio nel fatto che non infrange mai la sospensione dell'incredulità ma anzi, la alimenta al punto che il giocatore si abitua a questa eccentricità e l'accetta come parte integrante del mondo di gioco considerandola quasi come un neo - una imperfezione senza la quale però l'opera non sarebbe così caratteristica. Il fatto di accettare fin da subito che Amanda sia anche il nostro "negozio" di fiducia rende molto bene l'idea di quanto in fretta riusciamo ad abituarci a queste assurdità. A fare da spalla a David c'è Forrest Kaysen, suo migliore amico e partner nonché omonimo del personaggio di Deadly Premonition, con cui condivide in parte l'aspetto. Se David è un uomo che segue l'istinto, Kaysen si affida invece alla logica ed è una contrapposizione che li rende un duo in perfetta sintonia anche dopo il ritiro di David dalla polizia: è lui infatti a fornirgli le informazioni delle quali potrebbe aver bisogno per un caso, oltre a tenerlo in vita cucinando perché altrimenti David andrebbe avanti ad alcolici. Ecco un personaggio normale, verrebbe da pensare, ma basta cominciare la prima missione opzionale per vedere una surreale conversazione in cui Kaysen esalta le virtù della zuppa di vongole di Boston, mentre David gioca letteralmente col cibo e noi siamo lì davanti allo schermo a cercare di dare un senso a tutto quello. Poi Kaysen impila quattro fette di pizza, le divora in una volta sola e allora smettiamo di farci domande. È come stare in un covo di matti dal quale però ci sentiamo sempre più affascinati e che, potendo, non avremmo abbandonato fino alla fine. Perché il mistero c'è ed è intrigante, una matassa sempre più intricata.
L'aereo più pazzo del mondo
Poi arriva la sequenza dell'aereo. Guidato dalle ultime parole pronunciate dalla moglie, "cerca D", David accetta ogni caso in cui sia coinvolta almeno una persona il cui nome cominci con quella lettera. Nello specifico utilizza un mementum legato a Derek Buchanan, l'uomo incaricato di condurre al sicuro il corriere della droga Antonio Zapatero. Non c'è un singolo momento di tutta questa parte, che conclude la prima stagione e sfortunatamente lo stesso gioco, in un eterno hiatus, che non faccia mettere le mani nei capelli sia dall'assurdità delle tante situazioni che si susseguono sia da tutte quelle implicazioni che, piano piano, una sequenza all'apparenza innocua porta con sé per poi concludersi con un cliffhanger che fa molto male. Perché non sapremo mai come si concluderà. È sempre incredibile l'abilità con la quale SWERY ci manipola, riuscendo a farci accettare delle scene ben oltre il limite dell'eccentrico: lo stilista, l'assistente di volo che sembra uscito dritto dritto dal KGB, la pazza che vaneggia sullo schianto imminente dell'aereo perché i cigolii e gli scricchiolii non mentono, e nessuno degli altri passeggeri che si mostra anche solo vagamente turbato da quel circo che sta imperversando a bordo. Poi, tranquillamente e forse approfittando del nostro stordimento (nonché di un certo istintivo imbarazzo per certe situazioni), ecco che inizia a piazzare un tassello dopo l'altro per dar vita a retroscena dolorosi in cui gli eventi si incastrano alla perfezione. Congelandosi infine in un'eterna attesa.
D4: Dark Dreams Don't Die è un titolo pieno di scelte irriverenti, personaggi sopra le righe e un'eccentricità persino più marcata, ma funzionava nel suo complesso e avrebbe potuto essere il valido successore spirituale di Deadly Premonition, forte anche di un cel-shading che dava ancor più carattere ai personaggi. È un'occasione mancata, figlia di circostanze avverse ma nella quale crediamo ancora: a costo di riprendere i lavori dall'inizio, la speranza è che SWERY ritrovi fede nel proprio stesso lavoro e lo porti a compimento.