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Dipendenza da videogiochi: la decisione dell'OMS è un attacco ai videogiochi?

L'OMS ha confermato che la dipendenza da videogiochi è una malattia mentale con sintomi specifici: ma è davvero un male per i videogiochi che se ne parli?

VIDEO di Raffaele Staccini   —   28/05/2019

La dipendenza da videogiochi è una malattia. Lo ha stabilito l'Organizzazione Mondiale della Sanità, confermando l'introduzione dei disturbi legati ai videogiochi nell'elenco delle malattie mentali ufficialmente riconosciute, lo stesso dov'è presenta anche la dipendenza da gioco d'azzardo. Si tratta di una decisione storica, che avrà importanti effetti sulla nostra passione e sulla vita di tante persone e che, proprio per questo merita di essere trattata con attenzione, senza banalizzare la questione e, soprattutto, senza creare troppi allarmismi.

Innanzitutto cerchiamo quindi di capire cosa significa essere affetti da disordini legati ai videogiochi. Secondo l'OMS, un paziente soffre di dipendenza da videogiochi quando si verificano "una serie di comportamenti ricorrenti e persistenti, sia online che offline". Nello specifico, i segnali della malattia sono stati definiti in "un mancato controllo sulla durata e frequenza delle sessioni di gioco", in "un aumento della priorità data al gaming, fino al dargli precedenza sulle altre attività quotidiane e sugli altri interessi", e nel "continuare a giocare anche quando sia evidente che il gioco stia avendo conseguenze negative sulla propria vita". Ma non è tutto, perché l'organizzazione internazionale ha delineato anche dei precisi criteri diagnostici, così da aiutare i medici a comprendere, e di conseguenza individuare e curare in maniera efficace, il disturbo. In particolare, devono manifestarsi per almeno 12 mesi 5 dei 9 criteri stabiliti come caratteristici di questa specifica dipendenza, ovvero: preoccupazione eccessiva riguardo ai videogiochi; sintomi di astinenza quando il gioco viene negato; assuefazione verso il gioco, che richiede sessioni sempre più lunghe; tentativi falliti di ridurre le ore di gioco; perdita di interesse verso altre attività ed hobby; utilizzo eccessivo del videogioco nonostante la consapevolezza del problema; ingannare familiari, amici o terapeuti riguardo a quanto si gioca; giocare per fuggire da situazioni negative o dal cattivo umore; mettere a repentaglio o perdere lavoro, relazioni o carriera accademica per il videogioco.

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Risulta quindi evidente che non basta passare una nottata a giocare per essere considerati malati di videogiochi, e che, nella maggior parte dei casi, le sessioni di gioco più lunghe possono essere assimilate a una maratona con la serie TV del momento. Eppure non sono mancate critiche alla decisione dell'OMS, anche dalla comunità scientifica. In particolare si è puntato il dito contro lo scarso numero e qualità delle ricerche svolte al riguardo e, in secondo luogo, su una certa genericità dei sintomi individuati, che ricalcano in buona parte i criteri scelti per il gioco d'azzardo e per la dipendenza da sostanze stupefacenti. Un altro punto negativo, almeno secondo alcuni medici, sarebbe persino l'esistenza di tale diagnosi: si teme, infatti, un aumento della diffidenza verso il videogioco, già oggetto di attacchi troppo spesso infondati anche della stampa generalista, e un incremento esponenziale delle diagnosi errate di dipendenza in chi, semplicemente, passa tanto tempo a giocare. Ragioni, queste, che sono diventate il cavallo di battaglia di tante associazioni di categoria, a partire dall'ESA, in America, e la stessa AESVI, in Italia.

Questi soggetti hanno però interessi economici diretti nella questione e, di conseguenza, sono difficili da prendere a riferimento. Per questo stupiscono, in positivo, le dichiarazioni arrivate da due colossi del settore come Microsoft e Sony. Per l'azienda di Redmond ha parlato il general manager dei Microsoft Game Studios, Dave McCarthy, che vede come positiva la definizione dei limiti del problema. Ma non è tutto, perché Dave ha persino suggerito che la compagnia riduca drasticamente l'utilizzo delle microtransazioni nei propri giochi. Per Sony ha invece parlato l'amministratore delegato Kenichiro Yoshida, che ha invitato a prendere sul serio una questione per la quale la casa nipponica starebbe già studiando contromisure, da affiancare al sistema di classificazione per età già presente sulle console Sony.

Ms Exec Nadellasony Ceo Kenichiro Yoshida

Al netto delle inevitabili strumentalizzazioni dei detrattori dei videogiochi, insomma, quello compiuto dall'OMS rimane un primo passo di assoluta importanza per contrastare un problema che sarebbe dannoso ignorare. Innanzitutto perché, come abbiamo già detto, aiuterà gli specialisti a individuare la dipendenza e fornire terapie corrette; in secondo luogo, poi, perché potrà fornire a chiunque sia affetto da dipendenza da videogiochi gli strumenti per avere consapevolezza del suo problema e ricevere le cure necessarie. Ci sono margini per migliorare la definizione dei sintomi? Certamente, e speriamo che la decisione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità spinga a investire in studi sempre più approfonditi e mirati. Ma questo non significa che parlare di dipendenza sia impossibile o che sia un attacco preventivo a tutto il settore dei videogiochi. E voi cosa ne pensate? Fatecelo sapere, come sempre, nei commenti al video.