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Dragon Quest: la trilogia originale per Switch

I primi tre Dragon Quest arrivano su Nintendo eShop: vale la pena giocarli oggi che esiste Dragon Quest XI?

SPECIALE di Christian Colli   —   06/10/2019

Quella che state per leggere è una recensione un po' strana, perché è difficile analizzare singolarmente tre titoli come i Dragon Quest che da qualche giorno sono comparsi sull'eShop di Switch. È evidente come Nintendo stia puntando tantissimo sul marchio Square Enix: qualche mese fa Dragon Quest Builders 2 ha riscosso un ottimo successo, Dragon Quest XI S è appena arrivato sugli scaffali (avete letto la nostra recensione, a proposito?) e il protagonista del gioco, insieme alle sue controparti dei precedenti episodi, è stato aggiunto pochi mesi fa al roster di Super Smash Bros. Ultimate. Era il momento buono per rispolverare tre grandi classici, insomma, e proporli a un prezzo contenuto sullo store digitale. Il problema è che Dragon Quest, Dragon Quest II e Dragon Quest III non sono semplici classici, ma titoli che hanno fatto la storia del genere: anzi, potremmo dire che la definizione di JRPG è nata insieme a essi.

Dragon Quest 4

I tre Dragon Quest compongono inoltre una vera e propria trilogia e sono tra i pochi titoli nella serie a essere collegati narrativamente, il che rende ancora più difficile separarli in sede di analisi. In effetti, questa recensione riguarda più che altro l'offerta di Nintendo, invece che i singoli giochi, anche perché stiamo parlando di prodotti risalenti alla fine degli anni '80 ed è difficile consigliare soprattutto i primi due, praticamente il prototipo delle idee che ronzavano in testa a Yuji Horii, a chiunque cerchi un gioco impegnativo o sufficientemente complesso. È un discorso un po' complicato, perciò continuate a leggere: vi sarà tutto più chiaro.

Le origini della serie

Come abbiamo detto, i primi tre Dragon Quest compongono la cosiddetta "saga di Erdrick", un nome che suonerà familiare ai fan della serie visto che salta fuori spesso, anche soltanto come semplice citazione. Gli appassionati di manga e anime, invece, potrebbero conoscerlo meglio come Roto, il nome giapponese che ha ispirato un paio di ottime serie a fumetti. E nonostante tutto, Erdrick resta un personaggio avvolto nel mistero. Nel primo Dragon Quest, il messaggio lasciato da questo eroe leggendario sprona il protagonista senza nome a sfidare il terribile Dragonlord che ha rapito la principessa di Alefgard e sprofondato il regno nel terrore. La storia è estremamente semplice, anzi quasi inesistente, e serve solo a condurci da un luogo all'altro mentre combattiamo i nemici e ci prepariamo allo scontro finale, dato che non ci sono neppure compagni di viaggio o comprimari.

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Dragon Quest II è già un po' più elaborato. Ambientato cento anni dopo, ci cala nei panni di un giovane principe che appartiene alla dinastia dell'eroe precedente e che si imbarca insieme a due cugini in una difficile missione: scovare e sconfiggere lo stregone Hargon che minaccia di evocare un potente demone. Il trio viaggia in lungo e in largo, visita il continente di Alefgard e scopre l'esistenza di alcuni manufatti che possono neutralizzare Hargon nel fatidico scontro finale. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a una storyline asciutta, senza grandi dialoghi, sebbene comincino a delinearsi le atmosfere tipicamente umoristiche che caratterizzeranno l'intera serie.

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Dragon Quest III è effettivamente il momento della svolta, il capitolo in cui Horii e il character designer Akira Toriyama, forti del successo dei due episodi precedenti, si prendono molte più libertà e stupiscono i giocatori con un colpo di scena che preferiamo non anticiparvi: diciamo solo che Dragon Quest III è effettivamente un prequel in cui si scopre chi diamine sia questo Erdrick e perché sia tanto venerato. La storia è molto più articolata, per quanto semplice e scevra di grandi caratterizzazioni: i membri del party che accompagnano il protagonista, per esempio, non hanno personalità definite, poiché saremo noi a crearli quando li reclutiamo, idea poi ripresa tanti anni dopo in Dragon Quest IX: Le sentinelle del cielo. Dragon Quest III, infatti, usciva su NES nel lontano 1988, e portava con sé una serie di meccaniche rivoluzionarie che oggi potrebbero sembrarvi assolutamente banali.

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Il migliore dei tre

La linearità narrativa di Dragon Quest è un riflesso del gameplay: il primo episodio si completa in pochissime ore, è un JRPG estremamente basilare in cui le dinamiche del genere sono ridotte all'osso. Il giocatore non controlla un party ma il singolo protagonista, ragion per cui si combatte sempre contro un nemico alla volta. È tutto molto monotono e oggi sarebbe difficile digerire questa esperienza, se non per scopi puramente accademici, mettiamola così. Dragon Quest II è già più complesso: il party conta tre personaggi, quindi capita di combattere più nemici contemporaneamente, e sebbene la progressione sia meno lineare rispetto al primo capitolo, resta comunque enormemente limitata in termini di gameplay. Era il 1987 e Enix stava ancora sperimentando, non stupisce che si debba "grindare" parecchio solo per superare alcuni scogli in termini di difficoltà. Stupisce, invece, che Dragon Quest III, molto più bilanciato e sofisticato, sia uscito soltanto un anno dopo.

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A quel punto il successo che la serie aveva avuto in Giappone aveva convinto Enix a triplicare sforzi, budget e personale: il terzo episodio è più complesso sotto ogni aspetto e introduce nella serie un sistema a classi dinamico. Mentre il protagonista non può cambiare classe fino alla fine del gioco, i membri del party che andremo a reclutare possono invece appartenere a classi diverse; inoltre, raggiunto il livello 20, è possibile cambiare classe a un personaggio presso il tempio di Dhama - che sarebbe poi diventato un luogo ricorrente nei Dragon Quest successivi - e farlo ripartire da livello 1, mantenendo però le statistiche dimezzate. In questo modo, il giocatore ha l'opportunità di costruire il party a piacimento, rinforzando i punti deboli dei personaggi o sperimentando soluzioni ibride. È ancora tutto molto basilare per i nostri standard odierni, ma ai tempi del NES queste soluzioni erano straordinariamente rivoluzionarie e garantivano una longevità e una rigiocabilità inedite.

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I tre titoli su Switch sono figli della loro epoca a metà. Square Enix, in effetti, non ha caricato sullo store di Nintendo le versioni originali, ma i remake già usciti per sistemi mobile e per PlayStation 4 con la colonna sonora orchestrale e i testi riscritti da capo in lingua inglese. Ritoccati a livello grafico, i tre Dragon Quest rappresentano uno strano compromesso tra vecchio e nuovo, coi nuovi sprite dettagliati e colorati che si muovono su sfondi totalmente retrò fatti di grossi pixel sgranati. Fa uno strano effetto a metà tra gli 8-bit e i 16-bit che restituisce un fascino vintage gradevole ma artificiale, poco genuino. Il problema si ripercuote sui combattimenti, in cui i nemici si presentano sotto forma di grosse illustrazioni statiche in alta risoluzione, prive di qualsivoglia animazione, che esprimono al meglio il character design di Akira Toriyama ma fanno rimpiangere la pixel art dei Dragon Quest successivi che abbiamo giocato negli ultimi anni su Nintendo DS. In questo senso, Dragon Quest III resta il titolo migliore dei tre anche da questo punto di vista: è un po' più sofisticato nel dettaglio visivo, maggiormente curato nei fondali e nell'effettistica.

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Per concludere

Oggi è difficile consigliare i primi tre Dragon Quest a chi magari si è avvicinato al genere solo con Dragon Quest XI: sono titoli oggettivamente vetusti che andrebbero giocati solo dagli appassionati per comprendere meglio l'evoluzione della serie e del genere in toto. L'opera di rifacimento stessa non li ha snaturati, ma collocati in uno strano spazio tra vecchio e nuovo che potrebbe far storcere il naso ai puristi che cercano un'esperienza vintage genuina. In generale, nonostante i primi due capitoli costino relativamente poco (4,99€ e 6,99€) e stabiliscano le fondamenta di una trilogia che acquisisce significato soltanto in Dragon Quest III, ci sentiamo di consigliare unicamente l'acquisto del terzo capitolo a chi muore davvero dalla voglia di giocarli, anche se dobbiamo ammettere che, al netto di una maggiore longevità e complessità, il prezzo di 12,49€ ci sembra comunque un po' altino.