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La generazione videoludica morta

In un'epoca d'immensi cambiamenti sul fronte del modo stesso di concepire i videogiochi, l'industria sembra essersi dimenticata di cosa significa innovare.

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   19/12/2018

Lo spunto ce l'ha dato David Jaffe. In un video pubblicato sul suo canale YouTube, il creatore delle serie God of War e Twisted Metal ha sottolineato, portando la serie Uncharted come esempio (uno dei molti fattibili, a sua detta), che l'industria videoludica sembra aver smesso di investire sulle idee. Insomma, i giochi tripla A sarebbero tutti uguali e chiederebbero ai giocatori di fare sempre le stesse cose. Jaffe è sicuramente amareggiato per il recente fallimento del suo studio dovuto all'insuccesso del suo ultimo gioco, Drawn to Death, ma è indubbiamente una personalità dell'industria dal curriculum importante che merita di essere ascoltata, soprattutto quando lancia accuse del genere. Così abbiamo deciso di scorrere l'elenco dei tripla A pubblicati per l'attuale generazione di macchine da gioco, ormai sul viale del tramonto, cercando di capire se le sue affermazioni siano esagerate o abbiano una qualche fondatezza.

2014, 2015, 2016, 2017 e 2018: originalità 0

Prima di continuare c'è bisogno di fare una premessa: l'articolo non intende in alcun modo affermare che negli ultimi anni l'industria dei tripla A non abbia prodotto bei giochi. Dirlo sarebbe semplicemente falso perché, anzi, ci sono stati diversi prodotti quantomeno notevoli. Ciò che abbiamo cercato di capire è se in cinque anni di uscite siano state introdotte nuove idee da quelle produzioni che rappresentano il fiore all'occhiello del settore. La riposta è purtroppo netta: no. Non è retorico affermare che l'unico campo in cui i tripla A abbiano innovato è quello tecnico. Dal punto di vista del gameplay, invece, abbiamo avuto moltissime rifiniture a meccaniche di gioco già ampiamente viste di generi frequentatissimi dalle masse, ma niente che possa essere definito coraggioso in termini ideativi o creativi.

La generazione videoludica morta

Si è sperimentato qualcosa con la VR, per l'ovvio motivo che si tratta di una tecnologia nuova e per la gran parte inesplorata, e con Nintendo Switch, con titoli quali The Legend of Zelda: Breath of the Wild, l'unico open world originale rispetto ai canoni stabiliti nelle precedenti generazioni, o Arms, che partendo da un concept vecchio ha sfruttato le peculiarità dell'hardware su cui gira per proporre un gameplay mai visto. Ma il resto? Se consideriamo i giochi più venduti la situazione è semplicemente disturbante. Tutto ciò che c'è stato di davvero nuovo è venuto dal basso, ossia dalla scena indipendente o da quella dei modder. Pensate ai generi più in voga: survival, battle royale, sparatutto online asimmetrici, MoBa, sparatutto tattici ed hero shooter; ce ne fosse uno che sia nato per impulso dell'industria dei tripla A. La triste verità è che sono tutti prodotti appartenenti a generi più vecchi dell'attuale generazione, che sono stati semplicemente razziati da chi dispone di ingenti mezzi per sfruttarli, ma evidentemente non di grandi menti per rinnovarli.

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L'industria dei tripla A si comporta sempre più come un parassita senza cervello che assimila le idee degli altri quando già hanno avuto successo, confezionandole ovviamente meglio in virtù della sua forza economica. Va sempre sul sicuro, senza prendersi alcun rischio e cercando di mascherare la sua endemica mancanza di coraggio con pile di dollari che permettono di mascherare la morte di ogni afflato creativo con texture ultra definite e colonne sonore suonate da intere orchestre. Con questo non vogliamo prendercela con gli sviluppatori, che fanno il loro lavoro e che hanno sempre meno voce in capitolo, ma con chi per convenienza o per indolenza ha contribuito a trasformare il medium più vitale degli ultimi cinquant'anni in un festival del più becero conformismo tecnologico.

Nessun passo in avanti

Non fraintendete, perché siamo i primi a non pretendere che ogni gioco innovi. La ripetizione di formule già sperimentate è utile e, anzi, indispensabile per non atomizzare l'intero medium. C'è chi inventa e chi perfeziona, magari definendo nuovi standard all'interno di uno stesso genere. Il problema è quando uno dei due attori diventa anemico e finisce per essere marginalizzato dall'altro.

La generazione videoludica morta

Perso l'equilibrio tra innovazione e conservazione, con la seconda che ha fagocitato la prima, si è creata una situazione mostruosa in cui osservandosi dal suo vertice il medium videoludico non riesce più a riconoscere se stesso. Sembra quasi che sia diventato un'allegoria della società tutta: ferma, rancorosa, incapace di guardare avanti e attaccata in modo patologico alle forme di un passato mitizzato ma illusorio, vecchio anche quando si presenta come nuovo, nuovissimo. La giusta concezione che non vede nell'innovazione a tutti i costi un valore, soprattutto quando fine a se stessa e poco meditata, è diventata un rifugio dell'anima morta che desidera rimuovere anche la semplice possibilità che esista qualcosa oltre agli orizzonti già tracciati, orizzonti che lo cullano rassicurandolo in un mondo sempre più complesso, fluido e difficile da decifrare. Alcuni chiamano questo abbandono alla paura "libertà di scelta", ossia la libertà di chiudersi in un guscio addobbandolo con la bandiera della sacra soggettività, sempre più traducibile in un non moto a procedere.

La generazione morta

L'attuale generazione ha cinque anni, cinque anni di grandi giochi, ma anche cinque anni di immobilismo sostanziale. È una generazione morta, un hotel di Las Vegas che scimmiotta Venezia. Anzi no, in realtà delle innovazioni ci sono state, ma nei sistemi distributivi e in quelli di monetizzazione, settori nei quali i publisher hanno investito tantissimo, tra psicologi comportamentisti ed esperti di microtransazioni. Per usare una metafora, siamo sempre gli stessi topi che tirano la stessa leva per ottenere lo stesso formaggio, ma ora viviamo in una gabbia molto più lussuosa e le resistenze tra istinto e azione sono state enormemente ridotte grazie a un deciso e costante lavoro di analisi del nostro modo di vivere la nostra prigionia. Siamo tutti in attesa dell'ennesimo gioco in cui faremo sempre le stesse cose, come tossici a caccia della prossima dose. Con questo non vorremmo apparire troppo pessimisti. Ribadiamo: gli ultimi anni sono stati ottimi per i tripla A dal punto di vista della qualità complessiva. Titoli quali Horizon Zero Dawn, Bloodborne, God of War, Red Dead Redemption 2, Halo 5: Guardians, Super Smash Bros. Ultimate, The Witcher 3: Wild Hunt, Super Mario Odyssey, Persona 5, NieR: Automata e chi più ne ha più ne metta (perdonate se non li citiamo tutti) sono prodotti eccellenti che non fanno assolutamente rimpiangere i classici del passato... soltanto che ce ne fosse uno che sia riuscito a dare una sterzata all'industria imponendo delle nuove forme. Sono tutte evoluzioni di idee già sedimentate.

God Of War New Game Plus 05

Bellissime evoluzioni, ma come sottolineato mancano titoli che galvanizzino l'intero settore, dandogli nuova argilla da lavorare. Senza andare troppo in là con gli anni, la generazione Xbox 360 / PS3 ha avuto, per fare un paio di esempi, Gears of War o Demon's Souls, che sono stati due titoli capaci di definire dei nuovi sottogeneri ancora oggi ben frequentati. Insomma, per tornare a Jaffe, oggi abbiamo un Uncharted 4 enormemente più bello di Uncharted, ma in cui si fanno sostanzialmente le stesse cose e si interagisce con il mondo di gioco in modi molto simili. Possibile che ormai l'innovazione debba venire per forza dagli sviluppatori indipendenti, ossia da coloro che hanno meno risorse a disposizione?