Dopo aver dato il via ai Racconti dalla frontiera, una serie di articoli dedicati a Red Dead Redemption 2 nei quali proponiamo delle storie brevi accompagnate da immagini catturate attraverso la photo mode, abbiamo pensato di applicare il format anche a Ghost of Tsushima.
Per chi non conoscesse il concept, sostanzialmente è una sorta di omaggio e ritorno a una visione "infantile" e primordiale del medium videoludico; a quei momenti in cui, da bambini, ci mettevamo davanti a un videogioco (o qualunque altro tipo di attività ludica che prevedesse l'utilizzo di oggetti appartenenti a un brand, e quindi con una determinato universo narrativo alle loro spalle) e iniziavamo a inventare storie e avventure nostre, magari veicolate in minima parte dal background dei personaggi e dei protagonisti con i quali sceglievamo di giocare (ad esempio, una bambola di Spider-Man o delle Winx), ma comunque sempre abbastanza inedite.
Con questi articoli vogliamo proprio tornare a quelle sensazioni, quando accendevamo la nostra console e iniziavamo a girovagare per i primi mondi di gioco aperti, all'interno dei quali potevamo (seppur molto spesso legati a un personaggio prestabilito) uscire dagli schemi e utilizzare la fantasia per creare la nostra storia, anche se non portava al compimento di un obiettivo specifico.
Senza troppe pretese, senza fingersi Tolstòj o Stoker, vogliamo proporvi dei brevi racconti creati e suggeriti da eventi di gioco, oggetti e situazioni venutesi a creare durante le nostre partite. Il tutto è corredato da immagini catturate durante le sessioni di gameplay in cui hanno preso forma i racconti stessi, così da accompagnare la storia non solo attraverso le parole, ma anche attraverso una narrazione visiva che si avvicina maggiormente al medium videoludico come lo conosciamo oggi.
In questo primo capitolo dei Racconti dal Sol Levante vi racconteremo (e mostreremo) le vicende di un ronin senza pietà, desideroso di difendere la propria terra dall'invasione mongola.
Discendenze
In un tempo remoto, le isolate e rigogliose terre di Tsushima si trovavano in pace, lontane dal frastuono di un mondo sempre più implicato in una vorace espansione dei confini conosciuti. Qui nacquero e crebbero cinque fratelli.
Vissero i primi anni della loro vita confortati e protetti dalla loro famiglia, di discendenza nobile. Una volta cresciuti, i cinque fratelli abbandonarono il proprio nido e si diressero in direzioni differenti, per mai più rivedersi. Uno di loro divenne un viandante senza meta. Un altro un abile cantastorie. Un altro ancora un tagliagole cieco. Dei restanti due, i destini furono affini, ma discordanti. Il primo divenne un rispettato samurai, mentre il secondo, perso il suo onore perché incapace di difendere il suo signore, finì per diventare un ronin, un guerriero errante e solitario.
Proprio quest'ultimo è il protagonista della vicenda che state per udire: quella di un uomo, la sua lama e una furia nella tempesta.
Il ronin
La montagna parla. Racconta al guerriero i segreti di chi l'attraversa.
Riparato sotto l'ampia e candida chioma di un albero ricoperto di neve, il ronin dalla pallida carnagione si alzò e si incamminò fuori le sicure mura di un tempio alle pendici di un altipiano.
Un cappello di paglia malandato e una maschera dal ghigno intimidatorio gli coprivano il volto. Sulle spalle una grezza pelliccia, possibilmente appartenuta a una famelica bestia, lo proteggeva dalle rigide temperature del nord di Tsushima. Le sue orme solcavano il gelido manto adagiato al suolo.
Arrivato su di un pontile in legno, lo spadaccino si fermò. Dinanzi a lui un vasto lago era ghiacciato a tal punto da poter sostenere il peso di un'intera armata in marcia.
Senza pensarci due volte, il guerriero scese sulla scivolosa superficie e, come se stesse camminando su un solido e resistente terreno, si apprestò a tagliare di netto la vasta landa ghiacciata con il suo passo incessante.
Quando i piedi toccarono la sponda opposta, l'uomo iniziò a seguire un sentiero immerso tra alti muri naturali di bambù. Nel fitto della boscaglia, sentì dei rumori provenire dalla sua sinistra. Il ronin deviò immediatamente il suo cammino.
La montagna parla. E il guerriero ascolta. Sentì gli ululati dei lupi, il soffio gelido del vento, lo stridere di un falco. L'impavido spadaccino sembrava interessato all'audace canto del rapace, verso il quale iniziò a dirigersi.
Scalò con fatica il fianco dell'altura alle spalle della foresta di bambù, ma finalmente vide qualcosa che lo fece rinvigorire: una palizzata in legno e delle insegne militari, diverse da quelle giapponesi. Provenivano da una terra un tempo molto distante dalle coste di Tsushima; ora più vicina che mai.
Canto di guerra
Da dentro le mura si alzavano schiamazzi e risate, grida e melodie. Il sole era alto. Il cielo limpido. La candida neve risplendeva e brillava sotto i raggi solari.
Il ronin si immise su un sentiero tracciato alla buona. Arrivato al cancello principale, sorvegliato da due guardie mongole, gridò:
"Sfidatemi".
Lentamente, estrasse la sua lama, affilata e lucida, più accecante della neve sotto il sole.
Senza proferire parola alcuna, uno dei due soldati si avventò con la spada sull'intruso. Con un singolo, fulmineo scatto sulla destra, il ronin agitò la lama, sferrando un fatale fendente che arrestò immediatamente la corsa dell'aggressore. Traballante, con il sangue che gli sgorgava da una lunga ferita che solcava tutto il busto, il soldato si accasciò a terra. Il guerriero si raddrizzò in modo composto e con un colpo di polso pulì la lama intrisa di sangue.
La seconda guardia, paralizzata per qualche istante dal terrore, scappò all'interno del forte, urlando. Lo spadaccino spostò lo sguardo verso il falco che lo aveva condotto al campo. Volteggiava leggiadramente, noncurante di quanto accadeva al suolo.
Il terreno iniziò a vibrare. Dei passi scoordinati si avvicinarono velocemente all'intruso. In breve tempo, tutti i soldati dell'accampamento si erano riversati al cancello principale. Fermo nel punto in cui il soldato lo aveva lasciato, il ronin aspettava, la spada in mano.
La forza dell’invasore
Un paio di lancieri si diressero verso il guerriero. Senza neanche muoversi, recise di netto il braccio di uno e affondò la lama nell'altro.
Gli avversari mongoli sembravano spiazzati da quella velocità e quella pacata ferocia. Tra i loro corpi tremanti si fece avanti un uomo dalla stazza imponente, una spada in una mano e uno scudo nell'altra. Portava un'armatura ben rifinita, quella di un capo. Si fermò subito fuori il cancello, pronunciò qualche parola incomprensibile e poi si avvicinò al rivale con passo lento, ma deciso. Il ronin impugnò la sua lama con ambo le mani; la presa salda.
Il cielo iniziò a incupirsi. Il bruto sferrò il primo, devastante attacco. Il ronin lo schivò con difficoltà, ma riuscì comunque a lanciare un fendente contro l'avversario, che però lo parò prontamente con lo scudo. Il ronin provò nuovamente ad attaccare, ma il suo colpo fu respinto nuovamente. Questa volta il capo mongolo riuscì perfino a sferrare un pugno sul volto dello spadaccino, che si ritrovò con un ginocchio a terra.
Il capo alzò le armi al cielo gridando ai suoi uomini quelle che sembravano parole di incoraggiamento mentre questi lo acclamavano. Voltatosi nuovamente verso il guerriero a terra, il bruto gli disse nella sua stessa lingua:
"La furia mongola non può essere fermata. Il vostro mondo è destinato a sparire. E tu con esso".
Il capo mongolo alzò la spada alta sopra la sua testa e la calò velocemente verso l'avversario. Ma non abbastanza velocemente quanto la lama giapponese e il guerriero alla sua estremità.
Un sibilo volteggiò nell'aria. Anche in questo caso la montagna parlò. Ma furono altri guerrieri a sentire. La testa del feroce guerrafondaio si distaccò dal corpo in modo netto e pulito. Fu un attacco talmente veloce che anche il sangue impiegò qualche secondo prima di sgorgare in una macabra fontana che inondò il candido terreno coperto dalla neve.
Gli altri soldati mongoli, terrorizzati dalla morte del loro comandante, scapparono all'interno dell'accampamento in preda al panico. Avevano perso ogni sorta di organizzazione, erano sparpagliati, facili prede per un guerriero addestrato.
Furore
Uno a uno, gli uomini mongoli caddero. Chi si nascose dentro le tende, chi nell'edificio principale: nessuno sfuggi alla furia dell'uomo giapponese.
Al cancello posteriore, un piccolo gruppo di soldati si apprestò a creare un'ultima resistenza. Con la stessa sicurezza del loro capo prima che perdesse la testa, il ronin dal volto coperto avanzò verso gli spaventati nemici. Si fermò a pochi metri di distanza. Con il piede sinistro, tracciò lentamente un solco nella neve e si mise in posizione.
L'unico arciere rimasto scagliò due frecce a distanza estremamente ravvicinata. La lama del ronin le intercettò facilmente, deviandone il percorso e facendole conficcare una in un sacco di grano, l'altra su un tronco della palizzata che circondava il campo. L'arciere fece per prendere altre munizioni dalla sua faretra, ma si accorse che le frecce appena scagliate erano le ultime che aveva con sé.
I pochi guerrieri rimasti decisero di fiondarsi contemporaneamente contro il nemico. Il ronin fece un lungo respiro e chiuse gli occhi. La montagna parlava. E lui ascoltava.
La sua lama balenò nell'aria. Pochi secondi e, calò nuovamente il silenzio. Il ronin era avanzato almeno di cento passi. Si trovava sul ponte oltre il cancello posteriore. Intorno a lui solo cadaveri dai quali sgorgava sangue che, come una cascata, si riversava a valle dal passaggio sopraelevato, colando tra le assi.
Lo spadaccino pulì la lama dal sangue utilizzando la manica del suo abito, poi la ripose delicatamente nel fodero. Non fece un cenno. Si limitò a rimettersi in cammino.
Questo era il primo capitolo di una serie di racconti ispirati da Ghost of Tsushima. Noi abbiamo già in mente i possibili altri episodi che andranno a completare la saga di questa misteriosa famiglia, ma vogliamo prima sapere da voi cosa ne pensate e se siete interessati a proseguire questo viaggio insieme a noi.
Inoltre, condividete nei commenti quali sono stati (o sono tutt'ora) i videogiochi all'interno dei quali vi è sempre piaciuto staccare dal canone narrativo e creare la vostra storia, per quanto piccola o ambiziosa fosse.
Speriamo di rincontrarvi presto con altri Racconti dal Sol Levante.