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Keiichiro Toyama, Slitterhead e l’orrore del quotidiano

Un filo rosso unisce le produzioni di Keiichiro Toyama, favole oscure dove l'orrore sconvolge la quotidianità e diventa incubo.

SPECIALE di Fabio Di Felice   —   08/11/2024
Un frame di Slitterhead il nuovo videogioco realizzato da Keiichiro Toyama
Slitterhead
Slitterhead
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Keiichiro Toyama racconta spesso nelle interviste il suo punto di vista sull'horror ed è bene ascoltarlo, perché è a conti fatti uno dei grandi maestri del brivido videoludico. Uno che, negli anni '90, ha dato una spinta a un medium in piena trasformazione, per aiutarlo a fare il passo da intrattenimento per ragazzi a un affare che avrebbe interessato anche gli adulti. La sua idea di paura non nasce da una visione spaventosa, ma da un evento che sconvolge il quotidiano, dall'ignoto che fa capolino nell'ordinario.

Per sottolineare questo concetto, c'è un altro aneddoto che ha raccontato in passato, quello della sirena. Toyama è nato e cresciuto a Miyakonojo, una piccola città rurale del Kyushu. Quand'era bambino, e sentiva il suono di una sirena che irrompeva senza preavviso nel silenzio cicaleggiante della campagna, significava che stava per accadere qualcosa di brutto. A quel punto non importava quello che stavi facendo: mollavi tutto e correvi a cercare aiuto. In un attimo la tua routine si era spezzata.

In Silent Hill, Harry Mason è una persona qualunque che si trova in una situazione estrema
In Silent Hill, Harry Mason è una persona qualunque che si trova in una situazione estrema

È questo che ha spaventato il Toyama bambino, quello giovane e quello adulto. Per tutta la sua vita: dare per scontata la propria esistenza e vedersela strappata via, senza rendersi conto del valore della normalità. Però lo ha anche sempre affascinato. Ha applicato quindi questo concetto a tutti i suoi videogiochi horror, cercando di calarli nella quotidianità. Lo ha fatto con Silent Hill, lo ha fatto con Forbidden Siren, e lo ha fatto anche con il suo ultimo lavoro, Slitterhead (del quale vi rimandiamo alla nostra recensione).

Aula alla deriva

C'è un video sul canale YouTube di Katsuhiro Harada, in cui il creatore di Tekken intervista proprio Keiichiro Toyama. Il format si chiama Harada's bar, ed è molto interessante, perché Harada si fa una chiacchierata con delle personalità del mondo dello sviluppo giapponese davanti a un drink, idealmente al di fuori dai rigidi schemi sociali nipponici. In questo video, infatti, Toyama si lascia andare a una confessione, ovvero la sua volontà mai esaudita di realizzare un videogioco ispirato a un certo manga. Tutta la discussione è censurata, perché le tematiche di cui si parla non piacciono molto all'algoritmo di YouTube, ma è perfettamente comprensibile se si conosce Toyama e il suo amore per Kazuo Umezu, grande maestro del manga horror scomparso proprio in questi giorni. L'opera a cui Toyama si riferisce è Aula alla Deriva.

Aula alla Deriva è la storia di una scuola elementare che, in seguito a un fortissimo terremoto, viene trasportata in una sorta di futuro distopico. Gli adulti, ovvero i maestri, perdono completamente la testa e diventano degli aguzzini, cominciando a uccidere i propri colleghi e, cosa ancora più sconvolgente, i bambini. Questo capovolgimento delle aspettative, con le figure che dovrebbero proteggere i più piccoli che diventano improvvisamente dei tiranni, esacerbando però quella severa scala gerarchica che è insita nel sistema giapponese, è fondamentale per capire cosa rende grande quest'opera.

Aula alla Deriva, il manga di Kazuo Umezu, presenta delle situazioni e delle scene molto forti
Aula alla Deriva, il manga di Kazuo Umezu, presenta delle situazioni e delle scene molto forti

È proprio questa la caratteristica di imprevedibilità che affascina Toyama e, anche se come racconta lui stesso, non ha mai potuto realizzare questo videogioco nello specifico, ne ha messo dei frammenti all'interno di tutte le sue opere.

Silent Hill, una storia dell'orrore giapponese

Il primo, indimenticabile, Silent Hill nasce da un'esigenza totalmente diversa rispetto a ciò che poi è diventato. Quando il board di Konami chiede a Toyama di realizzare un horror sulla scia del successo di Resident Evil, probabilmente si aspetta qualcosa di differente. Da una parte c'è un videogioco dove una forza sceltissima di polizia interviene per affrontare una minaccia biologica a colpi di fucile; dall'altra un papà e una figlia che vanno in vacanza.

La copertina di Silent Hill per PlayStation
La copertina di Silent Hill per PlayStation

Nella situazione proposta da Resident Evil non c'è quotidianità, è un'operazione speciale, nasce già dall'eccezionalità di alcuni eventi che spingono una forza dell'ordine a indagare su misteriose sparizioni e atti di cannibalismo. Silent Hill è, un po' come il cinema di David Lynch da cui prende forte ispirazione, la decostruzione di una comunità apparentemente idilliaca che viene fatta a pezzi. È una storia di violenza domestica e di bullismo, di vessazioni e di fragilità, il cui vero protagonista non è nemmeno il personaggio che controlliamo, il povero Harry Mason, capitato per caso (anche se in realtà è il destino a portarlo lì, e il suo rapporto genitoriale con la figlia adottiva Cheryl) nel posto più sbagliato al mondo. Silent Hill fa paura perché è la storia di molte vicende che ci suonano tristemente familiari. Nel videogioco, tutte fanno capo a una figura in particolare: Alessa Gillespie.

Toyama e il resto del Team Silent riversano all'interno di Silent Hill le ansie e le pressioni sociali di un'intera gioventù di giapponesi. Sono le stesse che Kazuo Umezu, Koushun Takami, l'autore del ben noto Battle Royale, e Koji Suzuki, lo scritture della saga Ringu, hanno messo nelle loro opere: una generazione in aperto conflitto con la precedente, la tensione sociale di una collettività ipercompetitiva, il fenomeno di reazione dell'ijime, il bullismo di esclusione.

Alessa Gillespie è il motore del terrore delle vicende del primo Silent Hill, è lei a gettare la maledizione sulla città
Alessa Gillespie è il motore del terrore delle vicende del primo Silent Hill, è lei a gettare la maledizione sulla città

Non ultimo, Toyama e i suoi inseriscono anche la manipolazione psicologica delle sette religiose, dal momento che in quegli anni l'Aum Shinrikyo, la setta di Shoko Asahara, semina il panico nel Paese. Il loro regno del terrore culmina con l'attentato con il gas Sarin nella metro di Tokyo. Proprio quel tipo di evento traumatico in grado di sovvertire la quotidianità e la routine del popolo giapponese. Nel suo primo lavoro, c'è già tanto di ciò che Toyama racconterà in futuro. Gli manca solo di riportarlo a casa. In oriente.

Forbidden Siren, il massacro del villaggio Hanuda

Ci sono due grandi ispirazioni alla base di Forbidden Siren. Una è L'ombra su Innsmouth, il racconto di Lovecraft, l'altra è la vicenda del villaggio Sugisawa, un'altra storia in cui la quotidianità di una piccola comunità rurale viene sconvolta. È una leggenda metropolitana che ha preso piede intorno agli anni '70 e '80, durante il boom dell'occulto in Giappone: nel bel mezzo delle montagne nella regione di Aomori, un uomo che abita nel piccolissimo villaggio Sugisawa impazzisce e uccide tutti gli altri abitanti a colpi di fucile. A quel punto il villaggio diventa un luogo fantasma e, chi si avventura tra le foreste di Aomori per trovarne l'ubicazione, finisce in questo posto interdimensionale dove gli spettri dei cittadini si materializzano per tormentarlo. Chiaramente è tutto falso, ma la leggenda è ispirata a un fatto sanguinoso realmente accaduto a Kamo nel 1938, dove un ragazzo di 21 anni affetto da tubercolosi e stanco delle vessazioni degli altri abitanti del posto, uccise diverse persone prima di togliersi la vita.

In Forbidden Siren, protagonisti e mostri sono personaggi comuni: lo studente, il professore, il poliziotto, o semplicemente contadini e gente qualunque
In Forbidden Siren, protagonisti e mostri sono personaggi comuni: lo studente, il professore, il poliziotto, o semplicemente contadini e gente qualunque

Di nuovo, a farci paura di queste storie è il modo in cui distruggono un quadro fatto di facce, gesti e ruoli perfettamente inseriti nella cornice che definiamo quotidianità. È per questo motivo che in Forbidden Siren i personaggi sono gente comune, disarmata, spesso costretta a fuggire. Sono lo studente, la sacerdotessa, la ragazzina, l'insegnante, il reporter, il dottore. E, tra gli shibito, i mostri posseduti dallo spirito Datatsushi, ci sono il poliziotto, la vicina di casa, la vecchietta indifesa che diventa minacciosa. È nelle loro espressioni prive di vita, eppure ancora presenti, che leggiamo l'orrore più puro e intimo. Anche per questo motivo Toyama il suo team hanno posto così tanta enfasi su facce ed espressioni: perché risultassero più realistiche possibili, utilizzando delle foto come texture e ottenendo un risultato che, ancora oggi, mette i brividi.

Slitterhead, l’horror post pandemico

Sono passati esattamente vent'anni da Forbidden Siren. Keiichiro Toyama è cambiato e il mondo con lui. Soprattutto perché pochissimi anni fa, uno di quei cataclismi come il terremoto che trasporta la scuola di Aula alla Deriva in un incubo, è accaduto davvero. La pandemia da Covid-19 ha gettato in pochissimo tempo il mondo in uno scenario mai vissuto prima, difficile da prevedere, se non proprio in un racconto dell'orrore.

È da una nuova paura, nata dal distanziamento sociale, germogliata da un vocabolario che abbiamo imparato solo negli ultimi anni, fatto di termini come carica virale, lockdown e assembramento che viene fuori Slitterhead, l'horror post pandemico. Nell'affollata area residenziale di Kowloon, il male si trasferisce da umano a umano. È invisibile, è dentro e mai fuori, almeno fin quando non sfocia irrimediabilmente, distruggendo i connotati dell'ospite, manifestandosi senza possibilità di recupero. Slitterhead è un horror di massa, di persone che si trasmettono la minaccia l'una con l'altra. Di sguardi sospettosi, di sudore, di sangue. Recupera suggestioni dalla paranoia sci-fi de La cosa, il film di John Carpenter dove l'alieno è un espediente per rappresentare una comunità in guerra, ma è anche intimo, carnale, come ne Il Demone Sotto la Pelle, di David Cronenberg.

Il primo trailer di Slitterhead si chiudeva con uno zoom molto stretto che, da una panoramica su una serie di condomini popolari, arrivava fino a un balcone nello specifico, dove un orribile mostro si trincerava dietro al sorriso rassicurante di una signora di mezz'età. Era il 2021, mezzo mondo era ancora in quella stessa situazione: chiusi in casa, con i terrazzi e le finestre come uniche possibilità di annusare il mondo esterno, separati gli uni dagli altri. Forse, inconsapevolmente, portatori del virus. Di lì a poco saremmo usciti e avremmo di nuovo incontrato i nostri simili, sani oppure infetti. In Slitterhead è proprio la prossimità a essere il veicolo di passaggio del mostro. E in particolare la prossimità per eccellenza: gli incontri sessuali. Uno dei principali vettori della maledizione degli squarciacranio sono le prostitute di Kowloon. In una delle prime scene del gioco, tra sudore e saliva, due corpi si mescolano irrimediabilmente, contagiandosi.

All'inizio di Slitterhead si controlla un cane, è lui a dare inizio al focolaio, un po' come succede nel film La cosa
All'inizio di Slitterhead si controlla un cane, è lui a dare inizio al focolaio, un po' come succede nel film La cosa

In questo quadro così estraneo eppure così familiare, nemmeno il videogiocatore ricopre un ruolo salvifico: è uno spirito che si muove come il virus, che possiede gli esseri umani con l'intento di salvarli ma, la maggior parte delle volte, li espone a pericoli talmente grandi che finisce per ucciderli. Con sprezzo per la vita, perfino, quando li sfrutta per raggiungere luoghi inaccessibili e poi li molla lì, continuando a divorare menti, spostandosi, di persona in persona. Guardando con sospetto quegli umani che non si lasciano possedere, perché c'è una buona possibilità che siano dei mostri, degli infetti. La caccia a queste creature vive di quella sottile ma tenace diffidenza che ha guidato i nostri rapporti per mesi, per anni in tempi recenti.

È un peccato che, come vi abbiamo raccontato nella nostra recensione, Slitterhead non sia all'altezza della sua visionarietà, delle sue aspirazioni, del simbolismo lucido e spietato che mette in scena. Forse però è uno degli horror recenti che meglio è riuscito a fotografare quella orribile parentesi attraverso cui siamo passati e che ha irrimediabilmente sconvolto la nostra quotidianità.