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Pandemie virtuali: i videogiocatori le hanno già vissute

I videogiochi come simulazioni e rappresentazioni della realtà, in un mondo virtuale sempre più simile a quello vero. Compresi i nostri comportamenti sociali.

SPECIALE di Claudio Camboni   —   28/11/2020

Il medium videoludico è sempre più vicino alla vita reale grazie a caratteristiche sviluppatesi esponenzialmente negli ultimi anni. Innanzitutto il concetto di gioco online e di socialità virtuale, negli anni '90 nato su PC in modo primordiale e oggi esploso tramite social network integrati e videogiochi di ruolo online. Poi, sicuramente, la sempre maggiore capacità di elaborazione grafica ha permesso simulazioni prima impensabili, con la conseguenza che molte esperienze reali o verosimili sono state trasportate in modo molto convincente in trasposizioni digitali. I fatti di cronaca mondiali di quello che passerà alla storia come uno degli anni più sfortunati di sempre, questo burrascoso 2020, stanno facendo riflettere molto la comunità videoludica. Non solo perché, spinti a rimanere chiusi in casa, il tempo passato davanti alla TV è cresciuto notevolmente, ma soprattutto perché in molti hanno associato la recente pandemia di Covid-19 a situazioni già vissute in passato in svariati videogiochi. Scopriamo insieme quali!

World of Warcraft: "corrupted blood"

Se esiste una caratteristica tipica e comune a tutti i videogiocatori è sicuramente quella dell'adattamento. Anni passati vivendo esperienze virtuali di ogni genere ci hanno plasmato facendoci vivere disastri, pandemie e situazioni di emergenza delle più svariate gravità. Una delle più incredibili storie è quella di World of Warcraft e la pandemia del "Corrupted Blood" scoppiata a causa di un bug nel 2005. Tutto ebbe origine dagli attacchi del boss Hakkar che provocava danni costanti alla vitalità dei giocatori, trasmissibili da personaggio a personaggio. Tutto ciò doveva rimanere legato alla sua quest ma inavvertitamente gli effetti del suo attacco si propagarono oltre i confini immaginati dai programmatori. Dopo pochi giorni buona parte dell'intera mappa di World of Warcraft era stata infettata, e con essa tantissimi giocatori che per l'occasione furono addirittura studiati da una equipe dell'Università di Boston e del New Jersey.

Le reazioni alla pandemia virtuale (poi rientrata con un grande "reset" del gioco) furono molto realistiche contemplando utenti "negazionisti" che se ne andavano allegramente in giro infettando altri giocatori, altri "previdenti" che staccarono la connessione per paura di danni irreparabili al proprio alter-ego virtuale, malati asintomatici come molti NPC che non presentavano sintomi ma erano in grado di trasmettere il "sangue corrotto". Una storia che ha insegnato molto a tanti, insomma.

Pandemie virtuali: i videogiocatori le hanno già vissute

L'epidemiologo e professore Eric Lofgren, intervistato da PC Gamer, ha rilasciato dichiarazioni molto interessanti affermando che: "Quando le persone reagiscono alle emergenze sanitarie, tali reazioni plasmano davvero il corso delle cose. Questo (il Covid-19, NdR) è un virus che si sta diffondendo tra le persone e il modo in cui le persone interagiscono, si comportano e si conformano alle figure di autorità, bhè, queste sono tutti fattori molto importanti per il suo sviluppo"

Uno degli aspetti più curiosi che sono stati studiati riguarda sicuramente il post pandemia. Una volta stabilizzato il gioco e fatto rientrare nella normalità, il popolo dei videogiocatori si è diviso tra chi accusava direttamente Blizzard di aver gestito male il bug, lamentando una consistente perdita di ore di gioco, e da un altro lato chi apprezzava il reset totale del titolo per tornare a una vita (seppur virtuale) più normale possibile.

The Last of Us e le similitudini con la recente pandemia mondiale

Non possiamo non citare il capolavoro di The Last of Us pensando a come, forse più di tutti, abbia saputo simulare all'interno di un videogioco una pandemia globale. La storia di questo videogioco ha un fondo di verità scientifica, inoltre. Pare che l'idea iniziale del suo sviluppo sia nata guardando una puntata di Planet Earth dell'emittente nazionale britannica BBC, durante la quale venivano mostrate delle formiche infettate dal fungo chiamato Cordycpes, poi effettivamente "usato" anche nella trama del gioco. Gli autori si chiesero cosa sarebbe accaduto se questo fungo avesse infettato l'uomo invece che un insetto, provando a immaginare i risvolti sociali e politici di una malattia a livello globale. Nel gioco, infatti, i militari provano a contenere la pericolosa diffusione del fungo tramite una lunga quarantena, ferocemente osteggiata da un gruppo organizzato chiamato "Le luci".

Possono essere notate molte similitudini con quanto accaduto nel gioco e la situazione attuale di pandemia, a partire dall'estesa quarantena in cui è finito tutto il mondo, un diritto che davamo per scontato come la libertà che ci è stato negato, ma anche la rivincita della natura sull'uomo e sulle città, per una volta abbandonate a loro stesse.

Plague Inc., un successo che torna ciclicamente come i virus

É stato il simulatore più scaricato e cercato in Italia all'inizio della pandemia, nel mese di marzo. E come confermano gli sviluppatori, ogni qualvolta da qualche parte nel mondo accade una disgrazia del genere il loro titolo torna ad essere giocato più che mai. Parliamo ovviamente del "fenomeno" Plague Inc. che consente al giocatore di simulare una vera e propria epidemia su scala mondiale con l'obiettivo di annientare l'umanità. "Non dovrebbe essere così divertente", titola una citazione sulla pagina del produttore inglese. Plague Inc. utilizza un sofisticato algoritmo di intelligenza artificiale appositamente compilato per il gioco che ricrea la situazione dello scoppio di una epidemia e i suo conseguente allargamento nel mondo passando da un paese all'altro.

Il gioco conta su 12 diverse malattie e più di cinquanta paesi del mondo dove queste si possono diffondere, attraverso strategie più o meno oculate in una sorta di "risiko" dei virus il cui obiettivo è conquistare il mondo. Da quando è uscito nel 2012 il gioco è sempre stato tra i più venduti nei vari store digitali, con un successo che non tende a placarsi (soprattutto nel 2020).

The Division e la sconfitta dell'umanità

Certamente la storia dei videogiochi è ricca di pandemie virali, malattie che si diffondono in modo molto rapido, pericolosissimi virus come il "T" di Resident Evil (forse uno dei più celebri), ma oggi il pensiero corre subito a The Division di Ubisoft che ha avuto molto successo grazie al suo comparto multiplayer e una storia molto avvincente. La pandemia di vaiolo avvenuta nel gioco ha origine proprio durante i giorni del cosiddetto Black Friday, periodo dell'anno dove gli americani (ma ormai un po' tutti) si ammassano nei grandi centri commerciali per fare shopping selvaggio. Il centro commerciale, peraltro già trattato da Romero e i suoi "Zombi", parrebbe proprio fare da incubatore delle peggiori angosce della civiltà moderna. Simbolo di consumismo senza freni ne moralità, luogo moderno di perdizione delle anime votate al "Dio" denaro e al suo sperperamento, è il posto ideale per simboleggiare la perdita di umanità e la sua sconfitta nel mondo.

Ambientato a New York, nel gioco troviamo molti riferimenti ai peggiori scenari pandemici: una zona rossa altamente contaminata dalla quale stare lontani (chiamata Dark Zone), una società sull'orlo di perdere il controllo con superstiti a caccia di cibo e acqua, militarizzazione delle città e una squadra speciale incaricata di scoprire cosa ha causato il diffondersi del terribile virus. Scene surreali e considerate fino a poco tempo fa al limite della fantascienza. Oggi, invece, risultano quantomeno inquietanti.