Sarà stato il 2005 quando un me in miniatura si avventurava per la prima volta con la madre in uno dei tanti centri commerciali di Roma, durante un luglio stranamente mite. Da non molto ero entrato in possesso di una PlayStation 2 Slim fresca di fabbrica e gli unici giochi che possedevo erano Air Ranger: Rescue Helicopter e Harry Potter e il Calice di Fuoco. Per mesi sono andato avanti così, possedendo solo questi due titoli e noleggiandone altri al compianto Blockbuster, perché, pur costando meno all'epoca, i videogiochi rimanevano comunque una spesa bella sostanziosa (specialmente per un bambino), che solitamente si associava a "grandi eventi" come compleanni, recite scolastiche o feste comandate. Di conseguenza, quelle poche volte che avevo modo di ritrovarmi in un luogo che vendeva videogiochi, rimanevo diverso tempo a scandagliare tutti gli scaffali, cercando solo tra i giochi al di sotto della mia età, eludendo immediatamente lo sguardo da quelli che riportavano un 12+, un 16+ o, Dio ce ne scampi, un 18+ (andava proprio così, giuro, mamma), alla ricerca del mio prossimo desiderio da esprimere a genitori e parenti. Ma, in quel tiepido luglio, in quel centro commerciale che è un po' il sunto di tutti i centri commerciali che si sono fusi nella mia memoria, la mia esistenza cambiò radicalmente. Quello fu il giorno in cui lo vidi, miraggio tra i miraggi, santo protettore dei portafogli: il cestone dei videogiochi.
Cosa si intende con “cestone”?
Se avete avuto modo di crescere negli anni '90 o, come me, agli inizi del 2000, probabilmente sapete molto bene a cosa mi riferisco quando parlo di cestoni dei videogiochi. Ma, per dover di cronaca, mi pare giusto andare a esplorare un po' più a fondo il tema per tutti coloro che stanno pensando (giustamente) alle ceste con i titoli scontati che si possono trovare in luoghi come GameStop e simili. Il concetto non è troppo distante da quello. Anzi, le ceste dei negozi specializzati nella compravendita di videogiochi sono una diretta evoluzione di quelle a cui mi riferisco. Ma ci sono alcune differenze fondamentali.
Oggi siamo abituati (o, almeno, lo eravamo fino a qualche tempo fa) a vedere giochi posizionati più o meno in modo ordinato in questi contenitori reticolati in ferro che fanno un po' le veci degli scaffali, dove vengono posizionati i prodotti "minori", più datati o usati. Ma i cestoni ai quali mi riferisco sono su tutt'altra lega. Non c'era ordine, non c'era precisione, c'era solo puro caos.
I cestoni erano una zona grigia dei negozi che li ospitavano. Mentre tutto il resto stava sugli scaffali, dove a disturbare l'ordine erano solo persone che non si ricordavano dove avevano preso l'oggetto di turno o qualche giovanotto intento a commettere la solita marachella, i cestoni erano un pozzo apparentemente senza fondo di videogiochi lanciati alla rinfusa, armeggiati con violenza, rovistati con noncuranza, esplorati da qualche genitore annoiato così, "tanto per".
Un cestone dei videogiochi era un regno dell'anarchia, dove anche i prezzi erano buttati un po'a casaccio, quasi fossero stati gettati sopra il marasma di titoli e mescolati veementemente, lasciando fare tutto il lavoro al caso.
In questo limbo convivevano giochi mai sentiti prima e titoli blasonati (se il venditore non era abbastanza avvezzo al valore dei prodotti che aveva acquistato, con tutta probabilità, all'ingrosso). Così, ecco apparire Jak and Daxter a pochi spiccioli in mezzo a vagonate di Black Market Bowling o la versione spagnola di La Tigre e il Dragone (non scherzo, Tigre y Dragon di Ubisoft, ce l'ho proprio qui, davanti agli occhi, ignaro di averlo avuto in mezzo alla mia collezione per tutto questo tempo).
Un mondo diverso
Ma torniamo a me e alla mia storia, vi va? Non che abbiate molta scelta, dopotutto. Allora, sì, arrivo all'ipermercato dentro al centro commerciale e mi accorgo da lontano di questo grande contenitore pieno di custodie in plastica. All'inizio mi paiono DVD, ma, avvicinandomi, mi accorgo che si tratta di una montagna di videogiochi. C'è di tutto: PlayStation 2, Xbox 360, PC, forse anche qualcosa del GameCube. Guardo mia madre come in cerca di approvazione per iniziare a scavare in quella miniera d'oro e, fortunatamente, ricevo il suo consenso.
Così mi fiondo in quella palude videoludica e cerco, cerco, forse per dieci minuti, ma nella mia memoria quei pochi istanti si sono cristallizzati sottoforma di ore. Ed ecco che torno vincitore. Da quel pozzo masterizzato tiro fuori, come Excalibur, il mio primo gioco da cestone: Superbike GP. Ma come? Tutto questo macello per Superbike GP, gioco di corse sviluppato da Phoenix Games, gli stessi che pubblicavano le trasposizioni videoludiche dei film della Dingo Pictures? Ebbene sì. A un ragazzino a cui non importava niente di moto, che aveva provato giochi di corse solo sui dischi delle demo che davano con le riviste, quella scatola con su scritto € 1,99 pareva il Santo Graal.
Finalmente avevo la possibilità di ampliare la mia collezione di giochi e provare cose nuove, indifferentemente dalla qualità del prodotto. Al pensiero critico sarei arrivato solo qualche anno dopo. Per il momento mi bastava giocare, provare e creare storie sopra quelle che mi venivano imposte nei singoli giochi. Ed è da qui che, nel bene o nel male, la mia passione ha avuto inizio: da questo ingresso a basso prezzo nel mondo dei videogiochi.
Il declino
I cestoni mi hanno accompagnato fino a che mi è stato chiaro che avevo scavato troppo a fondo e ora non era rimasto più niente di valore. Poi, il declino. I cestoni hanno iniziato a scomparire. Perché una delle loro principali peculiarità era che non stavano solo all'interno dei negozi di elettronica, ma un po' ovunque. Si potevano trovare al supermercato, tra i libri e il pane in offerta. E non mi ci è voluto molto per capire che andare a fare la spesa con i nonni e poi con i miei genitori, ma anche con gli zii, significava tornare a casa con un altro pezzo per la mia collezione.
Quando scomparirono da questi posti ero ormai grandicello, interessato ora anche alla qualità dei titoli più che alla quantità. Però rimanevano un bel passatempo quando mi annoiavo durante le compere e, quindi, mi accorsi della loro graduale sparizione, prima al supermercato, poi nei negozi di elettronica e, infine, ovunque. Rimanevano solo i rivenditori specializzati di videogiochi, ma il caos si era sostituito all'ordine, con prezzi di listino e sconti assegnati da persone che, bene o male, comprendevano il valore di quanto stavano vendendo. La magia, così, svanì. Ma una scintilla è apparsa negli ultimi anni. Gli store online hanno preso il sopravvento. Il digitale la fa da padrone e il cestone stesso è diventato digitale.
Store online: il nuovo cestone?
Il mercato videoludico odierno ci ha regalato molte cose: la comodità di avere una libreria infinita a portata di mano (portafogli permettendo), il non doversi preoccupare dello spazio in casa, perché tutto entra benissimo all'interno delle librerie virtuali delle varie piattaforme (per giunta senza neanche accumulare polvere, se non nei sistemi di ventilazione dei dispositivi), il proporre offerte in grado di adattarsi a qualsiasi tipo di situazione economica (o quasi).
Il digitale ha rivoluzionato un po' il modo di vedere i videogiochi, ora veramente prodotti che si accumulano voracemente, tra giochi gratuiti e sconti da capogiro praticamente ogni mese. Con € 1,99 oggi non ci compri più Superbike GP, ma Inside. Avrei fatto i salti di gioia se avessi avuto a disposizione una quantità tale di videogiochi a così poco prezzo quando ero piccolo (anche se dubito che i miei genitori mi avrebbero permesso di fare spese pazze senza freni). Oppure no? Perché sì, l'offerta è tanta, i prezzi bassi e l'accessibilità illimitata, ma c'è qualcosa che manca: l'esperienza tattile.
I videogiochi, di per sé, sono una esperienza tattile. È vero che sono un medium prettamente audiovisivo, ma non si fermano qui, altrimenti sarebbero solo un film o una serie tv che passa passivamente su uno schermo. Noi "sentiamo" il gioco, lo tocchiamo. Passa attraverso le nostre dita; vive grazie all'interazione che scambiamo con esso. Riceviamo un riscontro a ogni movimento, a ogni colpo, a ogni salto, e più quel feedback è accurato alla nostra reazione, più ci sentiamo appagati, soddisfatti della nostra azione, della nostra interazione. In cuor mio, credo che quell'esperienza tattile nasca anche da prima, da fuori lo schermo, quando si prende la custodia di un gioco e la si ispeziona, la si apre, si sfoglia il manuale delle istruzioni e si estrae il disco.
Ma questa è una mia idea, espressa da uno che ha sempre trovato gli oggetti molto affascinanti, anche solo da osservare distrattamente durante la stesura di un articolo, tanto per far vagare un minimo la mente. Però, alla fin fine, sì, possiamo dire che gli store online sono diventati i nuovi cestoni, specialmente durante i periodi delle offerte: un caotico agglomerato di titoli lanciati (il più delle volte) alla rinfusa, che un potenziale acquirente scandaglia in cerca della propria gemma. Il mondo di domani è, in parte, anche quello di oggi e di ieri. L'unica differenza è che non si proverà più quella soddisfazione di scavare e scavare, fino a innalzare, alta sopra la testa, la propria spada nella roccia.